Sua Maestà il Barolo e… la sua favorita, la cioccolata
- Mario Crosta
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Nel 1995 ho conosciuto mia moglie in Sardegna. Abitavo lì sul lungomare, a 50 metri dalla spiaggia, in una pineta quasi svuotata di persone per 10 mesi all’anno. Sebbene sostanzialmente vuota sia un aggettivo esagerato, perché c’erano lepri, tartarughe, picchi, gabbiani, tortore, gatti e cinghiali.
Ho anche lavorato sulla costa e ogni giorno guidavo per andare al lavoro lungo una strada pittoresca. Una volta, un’amica di Bielsko, che non vedevo da anni, venne a trovarmi in vacanza, insieme al suo medico, la mia attuale moglie. Fu amore a prima vista. Dopo alcuni mesi, ho fatto le valigie e sono tornato con lei in quella Polonia che avevo conosciuto diverse volte in precedenza fin dal 1969.
Spostandomi dalla Sardegna nella Podbeskidzie, ho lasciato piatti, bicchieri, lenzuola, libri, fotografie ai miei amici e vicini per poter caricare l’auto non solo con le altre cose utili alla nuova casa, ma anche con i migliori vini, anche quelli dell’annata 1995 che è stata eccezionale per i vini italiani, una delle migliori del secolo scorso. Era particolarmente speciale per i vini di Piemonte, Lombardia, Veneto, Toscana, regioni che per me significano Barolo e Barbaresco, Valtellina e Franciacorta, Amarone e Recioto, Brunello di Montalcino e Vino Nobile di Montepulciano, conosciuti in tutto il mondo perché nelle migliori annate danno il massimo di sé. Non è un caso che in Italia gli amanti del vino raccolgano informazioni su tutte le annate e le studino con attenzione per decidere poi come investire denaro in modo redditizio e acquistare le migliori bottiglie per le loro cantine di casa a lungo invecchiamento.
I vini del 1995, almeno i miei preferiti sopra elencati, non mancano nella mia cantina perché questa annata è stata una vera svolta. Prima del 1995, annate eccezionali si alternavano ad annate normali o da dimenticare. Tuttavia, dal 1995, il clima è cambiato molto e ha aperto la strada a una straordinaria serie di meravigliose annate: 1995, 1996, 1997, 1998, 1999. Chi ha in cantina vini rossi di queste cinque, cosa che raramente accade, può considerarsi un uomo fortunato, in quanto sono diventati tutti dei veri vini da collezione. Nonostante il vino vada bevuto, non conservato come oggetto di culto o un prodotto all’asta o una rarità da collezione, i rossi italiani di queste annate sono attualmente molto apprezzati nei più importanti mercati mondiali, da New York a Londra, Parigi e Tokyo. Nel 1995 accadde un miracolo che diede inizio alla celebre serie delle grandi annate che continua ancora oggi con rarissime eccezioni. Fino ad allora alcuni grandi vini italiani erano quasi sconosciuti all’estero, invece oggi sono all’apice della loro fama. Fino al 1990 il consumatore medio estero conosceva solo Chianti e Valpolicella e aveva cominciato a incuriosirsi per Barolo e Brunello di Montalcino.
Perciò vorrei parlarvi di un vino che si era perso negli anni, un vino insolito, completamente diverso dai canoni attuali. Un vino che non troverete mai durante le degustazioni promozionali perché è raro, aromatizzato e non lo si beve tutti i giorni a pranzo o a cena. C’è stato un tempo in cui era quasi scomparso dal mercato ed è riapparso nel 1995 in una grande mostra internazionale del vino e del cioccolato. Qualcuno dirà… ”ma che assurdità!”, eppure stiamo parlando di un vino regale, di un vino che affonda le sue radici nella storia del nostro Paese ma che oggigiorno è quasi dimenticato in Italia ed è sicuramente ancora sconosciuto nel mondo. Ed ecco la sua magica storia.
Il re Vittorio Emanuele II si innamorò di Rosa Vercellana (conosciuta dai più come ”la bela Rosin” – una bella rosa), la contessa di Mirafiori che era una grande cuoca, tanto che il re pretendeva che prestasse grande attenzione al suo palato. I numerosi doveri della corte torinese non hanno mai impedito al re di cercare una tregua nella cucina della contessa e nelle sue tradizionali prelibatezze: gnocchi, agnolotti, ”tajarin”, ”coniglio allo zibetto”, coniglio al sugo, ”bagna cauda” e altre squisitezze. Il legame del re con la sua Rosa preferita non ha rovinato il suo matrimonio.
La regina non poteva proprio competere con le solide basi gastronomiche del nuovo amore del re, che fu il primo appassionato di Barolo, ed era proprio nei pressi dell’omonimo borgo, presso la tenuta di Fontanafredda, che i due amanti si incontravano sempre. Barolo è un paesino piemontese situato su una collina, incentrato su tre strade e un grande castello con una bellissima vista sui vigneti. I Barolo prodotti in queste zone sono considerati mitici: rubino intenso, con profumo di viola, superbamente strutturati e ricchi, maturano per almeno 38 mesi, di cui almeno 18 in botti di rovere. Nasce in purezza da sole uve nebbiolo coltivate su circa 2.150 ettari di vigneto attivo distribuito in 11 comuni limitrofi titolari di DOCG e suddiviso in 168 zone vinicole (terroir) per un potenziale di produzione tra 14 e 15 milioni di bottiglie. Ogni comune, ogni collina, ogni pendio produce un vino diverso, unico, esclusivo, tipico di una determinata zona o anche di un fazzoletto di terra.
C’è una cosa che li accomuna tutti: la personalità più varia, ma sempre estremamente espressiva. I vini Barolo sono estremamente sensibili al terreno su cui nascono e reagiscono immediatamente a qualsiasi cambiamento apparentemente impercettibile del suo contenuto minerale o della pendenza del vigneto. In queste zone di sabbia e marne calcaree miste ad argilla che assicura la coesione del terreno nascono i grandi barolo ben costruiti, armoniosi, ricchi di gusto, di ottima qualità, famosi da oltre secolo e mezzo. Il barolo di la Morra è morbido e sottile, quello di Monforte d’Alba è ampio, forte, deciso, con una struttura austera e quello della Bussìa è più armonico. Queste sottigliezze sensuali si possono moltiplicare, passando da Serralunga d’Alba, passando per Grinzane Cavour, Diano d’Alba, Roddi e Verduno fino a Cherasco.
Il Barolo è caratterizzato da un’evoluzione molto lenta, che è plasmata da un’insolita simbiosi tra terra, sole e talento umano: la produzione di questo vino richiede una pace quasi angelica. Purtroppo i frettolosi esordi odierni, nati dalla violenza commerciale e dall’avidità dei mercati occidentali (soprattutto anglosassoni) hanno un impatto negativo, ma il Barolo è il re dei vini italiani e si comporta come il re Vittorio Emanuele II che, nonostante abbia stretto un felice matrimonio culinario con la carne di manzo stufata nel vino, si è innamorato… della favorita, cioè madame du chocolat.
Cioccolato con vino rosso? Sì. Sembra un’eresia, ma prima di arrabbiarvi per sempre provate ad ascoltatemi. Uno dei tipi di barolo, forse il meno conosciuto all’estero, ma nato da una profonda tradizione, è il barolo chinato. E’ un vino prodotto in modo particolare. A questo scopo si utilizza un autentico Barolo DOCG, poi aromatizzato con corteccia di china ed estratto di rabarbaro, e le essenze vengono estratte per macerazione a temperatura ambiente, aggiungendo altre spezie, in primis il cardamomo. In totale vengono aggiunte ventuno erbe aromatiche, accuratamente selezionate e dosate secondo ricette tradizionali. Nella cantina della famiglia Bava, attualmente diretta da Roberto Bava, enologo e presidente dell’associazione Compagnia del Cioccolato, si possono sentire questi meravigliosi aromi di erbe contenuti in grandi ampolle. Solo una è sempre vuota e senza etichetta: è un segreto aziendale.
Nella zona vinicola del Monferrato d’Asti, immersa fra dolci colline, si può riflettere sulla storia e la tradizione che hanno plasmato l’amore per le prelibatezze locali. Squisiti cioccolatini, mieli, liquori, grappe, vini da Santa Messa, ma anche musica e arte. Tutto questo, proprio come il Barolo chinato, mostra lo straordinario, meraviglioso fascino dello stile di vita ancestrale nella ”belle époque”. Il Barolo chinato nasce in Piemonte alla fine dell’Ottocento e ha avuto un successo immediato grazie al gusto equilibrato e agrodolce con il profumo della farmacia. La ricetta originale del Barolo chinato è stata inventata da Giulio Cocchi, che aveva iniziato a produrlo ad Asti nel 1891. Già nel 1913 pubblicizzava la sua azienda vinicola come una fabbrica di Barolo chinato e poteva vantare sul “Bar Barolo Chinato Cocchi” e sul “Bar Barolino Cocchi”. In quegli anni sono iniziate anche le esportazioni: il vino raggiungeva tutti gli angoli del mondo, compreso Addis Abeba, Caracas e New York.
In Italia questo vino deve la sua fama e il suo accresciuto consumo alla fama di ottima bevanda medicinale. In Piemonte il Barolo chinato era diventato un rimedio per l’angoscia oltre che per le malattie maggiori e minori, ma soprattutto era usato per il raffreddore. Il suo effetto antipiretico, digestivo e tonico è stato ampiamente lodato. Era spesso bevuto come vin brulé. Queste proprietà bastavano perché questo vino campeggiasse in bella mostra sulla credenza di ogni casa e diventasse una innocente ”medicina” che le donne potevano usare senza paura, sull’esempio delle loro nonne e bisnonne. Ma lo facevano con entusiasmo e probabilmente non solo per scopi terapeutici, ma anche per bere del buon vino con la scusa di aver bisogno di questa ”medicina”.
In campagna, servire il Barolo chinato era un gesto tradizionale di ospitalità, sincerità e generosità. A mio avviso, a parte Cocchi, anche Cappellano e pochi altri hanno prodotto un delizioso Barolo chinato. Purtroppo la sua produzione è molto limitata. Con il passare del tempo, la fama di questo vino eccezionale è stata offuscata da molte altre bevande più pubblicizzate, industriali, dal gusto aggressivo, con una gradazione alcolica più elevata. Tuttavia, oggi, quando c’è un ritorno alla tradizione e alla genuinità, i consumatori stanno riscoprendo il Barolo chinato, anche se il suo consumo non è più diffuso come una volta. La ricerca ha dimostrato che le persone giovani e istruite sono il gruppo di destinatari più interessati a questa bevanda. Molti consumatori moderni, tuttavia, non sono a conoscenza dell’origine storica del Barolo chinato e lo percepiscono in maniera simile ad altri vini da dessert, come il porto, il marsala e lo sherry.
Gli intenditori apprezzano l’equilibrio e l’armonia dei profumi di questo vino, il piacere immediato del gusto, il profumo persistente in bocca e un ottimo finale, molto persistente. Una piacevole sorpresa e un vero divertimento ci aspettano a Pasqua, quando lo si può abbinare a tutti i tipi di cioccolato, ai dolci ricchi di cacao, ma anche alle torte al cioccolato e alla frutta ricoperta di cioccolato. Il Barolo Chinato va servito a temperatura ambiente, in piccoli calici da liquore. Ricordo quando sono venuto in Italia con la televisione polacca TVN ed eravamo ospitati con la troupe non in albergo, ma nella casa dei proprietari dell’azienda Cocchi, la famiglia Bava. La cucina aveva tutto quello che si poteva bere prima di andare a letto: tè, caffè e… barolo chinato.
L’attore principale aveva iniziato a suonare il pianoforte e la mamma dei fratelli Bava, appassionatissima di musica classica, era subito venuta da noi in preda a un’insolita felicità. L’assenza del regista e della cinepresa ci ha permesso di trascorrere insieme un momento di inaspettato relax. Ricordo ancora quella donna. Mezzo secolo fa non poteva bere vino, come tutte le giovani donne del paese. Si era innamorata degli occhi di un ragazzo con le vigne, lo ha sposato, ha dato alla luce tre figli, li ha cresciuti all’indipendenza, e in quel momento tutti loro, pur avendo una propria famiglia, mangiavano con lei e con il padre che era il capo dell’azienda vinicola. Anche lei cominciò così a bere vino pranzo e a cena tutti i giorni e Barolo chinato come medicinale. A tutti in famiglia piaceva un vino diverso, quindi c’erano 4 bottiglie di vini diversi sul tavolo e un Barolo chinato nell’armadietto della credenza.
Più di una volta la chiamavano dalla cantina: ”Mamma, abbiamo fatto un vino nuovo, ci vediamo per un assaggio, chiediamo la tua opinione”. Così, alla fine, era diventata una vera e propria specialista del vino in famiglia. Marito e figli erano in grado di raggiungere l’armonia del naso e del gusto nel vino, non producono neanche oggi vini muscolosi e piuttosto rozzi nello stile della vinificazione che è stato imposto come moda dai grandi buyers anglosassoni, lavorano con amore per il vino. Tornando a questo pianoforte, però, la madre di Bava ci aveva detto che amava tutti i suoi figli, ma soprattutto suo marito, perché anche dopo mezzo secolo di bevute suo marito aveva ancora lo stesso sguardo pulito e acuto di quando se n’era innamorata. E questa donna indimenticabile ci aveva lasciato in bella vista sul piano della credenza un Barolo chinato del 1995 con dei piccoli calici a tulipano.
Come potete concludere, il vino per le donne può essere un testimone d’amore, così come la cucina è un atto d’amore, ecco perché il Piemonte produce ancora il Barolo chinato che si sposa bene con il cioccolato che le donne amano. Amore a prima vista? Infatuazione di sicuro. Il caffè sveglia la mattina e aiuta la digestione dopo pranzo, il tè con il pan di Spagna accompagna le chiacchiere pomeridiane, ma il Barolo chinato è un tradizionale e gioioso abbinamento tra cioccolato e vino che ci permette di vivere il piacere del dopopranzo e del dopocena in armonia famigliare nel modo certamente più sano e conviviale del solito porto con il classico sigaro, che è roba solo per maschi ed esclude perciò le donne di casa. A Pasqua provate un Barolo chinato. Non ve ne pentirete.
Mario Crosta
Di formazione tecnica industriale è stato professionalmente impegnato fin dal 1980 nell’assicurazione della Qualità in diverse aziende del settore gomma-plastica in Italia e in alcuni cantieri di costruzione d’impianti nel settore energetico in Polonia, dove ha promosso la cultura del vino attraverso alcune riviste specialistiche polacche come Rynki Alkoholowe e alcuni portali specializzati come collegiumvini.pl, vinisfera.pl, winnica.golesz.pl, podkarpackiewinnice.pl e altri. Ha collaborato ad alcune riviste web enogastronomiche come enotime.it, winereport.com, acquabuona.it e oggi scrive per lavinium.it, nonché per alcuni blog. Un fico d’India dal caratteraccio spinoso e dal cuore dolce, ma enostrippato come pochi.