Vini da elettroshock

blank

Non è vero che tutti cercano un sistema per ringiovanire. C’è anche chi cerca proprio il contrario. Ricordo ancora che mercoledì 17 dicembre 2008 il corrispondente scientifico del telegraph.co.uk, Richard Alleyne, aveva scritto che una squadra di ricercatori guidata dal chimico Xin An Zeng dell’università di tecnologia di Guangzhou in Cina aveva trovato il sistema d’invecchiare artificialmente il vino in pochi minuti. L’ennesima patacca, un altro dei tanti espedienti dell’estremo oriente per invadere i mercati con prodotti di basso costo che scimmiottano quelli di qualità superiore. Ma con il libero mercato garantito dal WTO ci sarà purtroppo anche il consumatore che ci casca.

Il procedimento adottato dai pataccari è come il seguente. Scaricando la corrente elettrica in un vino che scorre in un tubo posto tra due elettrodi in titanio, i campi elettrici sarebbero in grado in pochi minuti di modificarne gli elementi costitutivi e di alterarne l’età. Non ho niente contro la tecnologia (ci mancherebbe altro!) e, se ricordo bene, non sono stati certamente i cinesi ad aver sperimentato per primi un metodo artificiale per invecchiare più rapidamente il vino con la corrente. Mi sembra di aver letto, già qualche anno prima, una notizia analoga che proveniva anche dal Giappone, dall’altra parte dello stesso mare, una parola che in questo caso può far rima con… copiare.

Invecchiare è un processo naturale. C’è chi lo teme e c’è chi lo accetta. C’è chi lo contrasta e c’è chi si prepara. Non ditelo alle donne, ma l’invecchiamento è un fenomeno importantissimo, anche per molti vini e soprattutto per quelli che in qualche lustro o decennio acquistano delle finezze incredibili, strabilianti. Alle donne l’età non si dovrebbe mai chiedere. Più ne hanno e meno ne dichiarerebbero, sebbene non costituisca il metro di giudizio più importante per apprezzarle e amarle.

Al vino buono invece l’età si chiede spesso, anzi a volte è considerata uno dei requisiti più importanti. Per gustare meglio le pietanze non basta più soltanto scegliere il tipo di vino adatto a soddisfare il palato, ma occorre anche sceglierne l’età affinché le caratteristiche organolettiche dell’abbinamento siano proprio quelle predilette dal gusto personale. Tenetelo ben presente per i regali di Natale e i cenoni di Capodanno!

blank

Ci sono aromi e sapori che di solito vengono a galla soltanto con il passare del tempo. In Piemonte i bisnonni non mettevano mai proprio tutte le bottiglie di buon Barolo in cantina, ma qualcuna la riservavano alla soffitta perché lassù al calduccio potesse sviluppare in qualche anno quell’aroma di ”merdìn” che una volta era tanto ricercato per esempio nel caso dei biscotti inzuppati nel bicchiere, un’abitudine allora molto diffusa. Né posso dimenticare la fregola tutta casalese per il Grignolino invecchiato apposta, una vera chicca con certi formaggi, alcune confetture e la frutta secca.

L’invecchiamento accelerato, però, fin dai tempi del Pasteur e poi del Monti non è mai riuscito a migliorare la qualità. Conosco anche chi ha sperimentato un metodo artificiale per appassire più velocemente le uve per l’Amarone o per il Ramandolo, ma è poi tornato al metodo tradizionale con le pive in saccoccia. Non sarà dunque una scarica elettrica a nobilitare il vino. Solo il silenzio, il buio, l’umidità, la temperatura e la botte hanno un influsso positivo sulla sublimazione del bouquet.

Ma non tutti i produttori possono permettersi, per ragioni di spazio e di costi, di lasciare riposare i propri vini fino al momento ideale. La concorrenza… alla ”cinese” ha sempre messo in commercio i suoi non appena il disciplinare glielo permetteva ed è per questo che ne troviamo tanti in circolazione quando ancora non sono pronti a puntino. Da qui la delusione di molti appassionati che, traditi dalla propria curiosità e dalla fretta, stappandoli troppo in anticipo li trovano piccanti, astringenti, ruvidi, mentre in qualche anno di pazienza sarebbero diventati dei gioielli.

Questo fenomeno della longevità va trattato dunque con i guanti bianchi dai consumatori, che dovrebbero informarsi meglio, ma i produttori non sono certo esenti da quei compiti ormai inderogabili che dovrebbero assumersi per frenare il dilagare di vini troppo giovani e decisamente impersonali, fatti ricorrendo a vinificazioni in stile atipico pur di fare assumere ai propri prodotti delle caratteristiche per le quali non hanno vocazione, che è come pretendere di far uscire il sangue da una rapa.

Quando si perde l’equilibrio nel forzare una materia viva come il mosto, anziché semplicemente accompagnarlo con estremo tatto nella sua maturazione, sono guai. È in vigna che si fa la qualità, è l’uva che dev’essere migliore. In cantina si può solo cercare di perdere il meno possibile della ricchezza naturale del frutto che, a seconda della tipologia, conferirà al vino la fragranza e la freschezza da godere appunto in gioventù oppure assicurerà la potenza e la complessità da apprezzare con l’invecchiamento.

blank

Non tutti i vini sono fatti per migliorare invecchiando, benché di grande annata a cinque stelle. Molti sono buoni subito e pur provenendo da uve sanissime e nobili non reggono più di qualche anno, anzi sono migliori da giovani. C’è solo un piccolo gruppo di vini che migliora con l’invecchiamento in botte e in bottiglia, perché un conto sono i periodi di maturazione e affinamento del vino nella cantina del produttore e un’altra cosa è la capacità di sopravvivere a lungo nel tempo e anche di migliorare, almeno fino a un certo punto nella cantinetta dell’acquirente. Una permanenza esagerata in legno e in bottiglia non renderà certo migliori i vini, nemmeno i più grandi, quelli che non sono ancora pienamente formati in giovinezza, ma che diventano eccellenti dopo un periodo d’invecchiamento sperimentato e ben calibrato dal produttore. Ecco perché non si dovrebbe prendere mai per oro colato il buon detto popolare che il vino buono migliora invecchiando.

Se i produttori dovessero mantenere presso di sé tutte le bottiglie per qualche anno in più di quelli previsti dal disciplinare, inoltre, si dovrebbero raddoppiare perlomeno le cantine, ma i costi, come i prezzi, andrebbero alle stelle, sicuramente ai livelli dei cru più famosi di Borgogna come Romanée-Conti, Vosne-Romanée, La Tâche, Richebourg, Romanée-Saint-Vivant, Vosne-Romanée e Grands Echézeaux. È vero che alcuni produttori trattengono già le migliori riserve presso le proprie cantine per un periodo maggiore, ma al comune consumatore conviene di più acquistare i vini magari dei concorrenti non appena messi in commercio, pensando che poi possano migliorare ancora presso di sé, cosa piuttosto improbabile per la stragrande maggioranza dei vini.

Come ha scritto, infatti, l’amico Angelo Peretti sul suo The Internet Gourmet, “Si può bere benissimo senza svenarsi. Occorre metterci impegno, ricerca, passione. Ma si può bere benissimo anche senza sborsare un sacco di soldi per la griffe. E con i quattrini che avreste destinato a una sola bottiglia potete farvi una bella full immersion in una serie di etichette della medesima denominazione. Etichette minori, di minor fama e minor forza evocatrice, certo, ma buone. E tanto mi basta”.

E poi c’è da dire che anche non avere l’età può costituire un pregio, specialmente per la gran parte delle pietanze quotidiane, specialmente quelle casalinghe, delle pizzerie e dei fast-food. Alcuni delicatissimi vini di grande pregio sono molto più adatti a una fragrante trifolata di funghi che a un succulento brasato, ma sono fatti per non invecchiare, bensì per accompagnare bene la pastasciutta, le verdure, i filettini di petto di pollo, il roast-beef, le grigliate di salsicce o le scaloppine. Insomma, delle diavolerie cinesi non se ne sentiva proprio il bisogno, anche perché il cosiddetto lifting operato da un alchimista o… un elettroshock come quello che può subire un elettricista possono soltanto modificare uno o l’altro dei tanti aspetti di un vino e neanche quello più importante, ma l’anima gliela tolgono di sicuro tutta.

 

Rolando Marcodini

Lascia un commento