Il Black Bun: dal dolce dei Re alla tradizione dell’Hogmanay
- Giustino Catalano
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Il Black Bun, un tempo noto come Scotch Bun o Scotch Christmas Bun, è un dolce tipico della tradizione culinaria scozzese.
La sua origine risale alla notte del 5 gennaio, ovvero la dodicesima dal Natale, durante la quale veniva preparata la Torta dei Re, una sorta di pane dolce arricchito con frutta secca e spezie. In quell’occasione, i partecipanti nascondevano un fagiolo nella torta e chi lo trovava diventava il re della serata.
La tradizione venne introdotta in Scozia da Maria di Scozia (Maria Stuarda), dopo il suo ritorno dalla Francia.
Si racconta che la sovrana stessa avesse partecipato al gioco e che nel 1563 avesse fatto indossare vesti regali e gioielli alla sua compagna d’infanzia, Mary Fleming, che diventò la “regina” della serata.
La pratica della Torta dei Re venne però bandita in Scozia dopo la Riforma scozzese del 1560.
Il dolce, che in seguito venne rinominato Black Bun nel 1898, fu reso celebre da Robert Louis Stevenson, che lo definì “una sostanza nera ostile alla vita”.
Questa definizione, benché denigratoria scatenò l’effetto contrario e fece sì che il dolce divenisse famosissimo.
Oggi, il Black Bun è diventato un pasto tipico delle celebrazioni dell’Hogmanay, l’equivalente scozzese del Capodanno nel calendario tradizionale.
In passato, una tradizione nota come “first-foot” prevedeva la visita ai vicini di casa per augurare buon anno e, se gli ospitanti ricevevano un Black Bun dai loro ospiti, si riteneva che non avrebbero avuto fame durante l’anno a venire.
Durante l’Hogmanay, il dolce viene spesso offerto agli ospiti e accompagnato dal whisky, creando così un’esperienza gustativa unica e indimenticabile.
Il Black Bun rappresenta dunque un simbolo della cultura e della tradizione scozzese, che ancora oggi viene tramandata e celebrata con orgoglio.
Questa la ricetta.
Ingredienti
350g di farina bianca
Un pizzico di sale
125g di burro, a cubetti piccoli
50g di strutto, a cubetti piccoli
400g di uvetta
300g di uva passa gigante
100g di scorza d’arancia candita
3 cucchiai di whisky
50g di mandorle tritate
75g di zucchero muscovado scuro morbido
200g di farina bianca
1/2 cucchiaino di lievito in polvere
1/2 cucchiaino di cremor tartaro
2 cucchiaini di spezie miste
275ml – 300ml di latte
1 uovo, sbattuto, per spennellare
Procedimento
Preriscaldare il forno a 160°C se statico, 140°C se ventilato.
Imburrare una teglia per plumcake di circa 24cm e foderarla con una striscia di carta da forno che vada da un alato all’altro del lato lungo fuoriuscendo di 5-6 cm (questo aiuterà a sollevare il dolce dalla teglia una volta cotto e raffreddato).
Setacciare la farina e il sale in una ciotola grande e quindi mescolare il burro e lo strutto fino a che non assume la consistenza di briciole.
Aggiungere 2 cucchiai di acqua per ottenere un impasto solido, asciutto, non appiccicoso.
Stendere l’impasto su una tavola infarinata, con uno spessore di una moneta da un euro, e usare i tre quarti per rivestire la teglia. Avvolgere il resto nella pellicola trasparente e mettere momentaneamente in frigo.
Mettere l’uvetta e l’uva passa gigante a bagno nel whisky per 30 minuti.
Aggiungere la scorza d’arancia candita tagliata a cubetti, le mandorle e lo zucchero, e mescolare bene.
Setacciare la farina con il lievito in polvere, il cremor tartaro e le spezie miste, e poi mescolare con la miscela di frutta. Aggiungere il latte e mescolare bene. Riempire la teglia con la miscela di frutta e livellare la superficie.
Stendere il resto della pasta per fare un coperchio, bagnare i bordi della teglia con l’impasto e mettere il coperchio sopra. Sigillare e increspare i bordi in modo da sigillare bene. Spennellare con l’uovo.
Infine bucherellare la superficie con una forchetta.
Cuocere per 3 ore. Raffreddare nella teglia prima di cercare di tirarlo fuori.
Si serve con un buon whisky, possibilmente delle Highlands, torbato
Di formazione classica sono approdato al cibo per testa e per gola sin dall’infanzia. Un giorno, poi, a diciannove anni è scattata una molla improvvisa e mi sono ritrovato sempre con maggior impegno a provare prodotti, ad approfondire argomenti e categorie merceologiche, a conoscere produttori e ristoratori.
Da questo mondo ho appreso molte cose ma più di ogni altra che esiste il cibo di qualità e il cibo spazzatura e che il secondo spesso si mistifica fin troppo bene nel primo.
Infinitamente curioso cerco sempre qualcosa che mi dia quell’emozione che il cibo dovrebbe dare ad ognuno di noi, quel concetto o idea che dovrebbe essere ben leggibile dietro ogni piatto, quella produzione ormai dimenticata o sconosciuta.
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