I vini della speranza dalle vigne della Moldova
- Rolando Marcodini
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Tra i primi venti produttori di vino al mondo con 1,3 milioni di ettolitri (fonte OIV 2022) e pur producendo più vino addirittura della grande Bulgaria, la piccola repubblica di Moldova che si tenta di implicare nel conflitto USA e NATO contro la Russia per interposta Ucraina, è la nazione più povera di tutta Europa e la sua popolazione continua ad essere dissanguata da una vasta e irrefrenabile emigrazione.
Cerchiamo di conoscerla meglio.
L’anno dopo lo scioglimento dell’URSS di cui era il principale produttore di vino con un quarto delle forniture, nel 1992 i Moldavi erano 3.829.000 dopo che i 546.000 della Transnistria di Tiraspol si erano resi quasi subito indipendenti in seguito alla guerra dal marzo al luglio di quell’anno. Attualmente sono soltanto 3.072.000 senza i 475.000 della Transnistria odierna. A causa della miseria, in 30 anni se ne sono andati in ben 757.000, cioè un quinto degli abitanti, dividendo numerosi nuclei famigliari, ma sarebbe più giusto scrivere la realtà più tragica: sono le donne che se ne vanno, nove emigranti su dieci sono donne.
Questa, che fin dai tempi dell’antica Dacia era la famosa Bessarabia, terra ai confini dei Carpazi tra la Transilvania, la Valacchia e il grande fiume Dnestr, aveva subito cambiato nome da Moldavia in Moldova per distinguersi dalla regione della Moldavia che fa parte invece della Romania. Adesso la piccola Moldova conta sulle sue dolci colline per produrre i vini della speranza, della rinascita. La viticoltura e l’attività di vinificazione, soprattutto da uve autoctone (come, per esempio, băbească neagră, fetească neagră, rara neagră, fetească albă, păsărească, plavay, viorica…), occupano un ruolo significativo nell’economia moldava, considerando che viene esportato circa il 90% del vino prodotto, come nessun altro Paese vitivinicolo al mondo riesce a fare.
La Repubblica di Moldova ha una vitivinicoltura che recentemente si è sviluppata bene, con una superficie di 148.500 ettari di vigneti, di cui 107.800 ettari sono utilizzati per la grande produzione commerciale, mentre i restanti 40.700 ettari sono coltivati nei borghi, nei terreni attigui alle case e sono utilizzati per la vinificazione artigianale.
Le possibilità sono molteplici e dal 1997 sono regolate da una legge dedicata alle privatizzazioni per chi voglia entrare in possesso di imprese o terreni moldavi anche dall’estero attraverso finanziamenti diretti e con lo svolgimento di gare o aste per investitori locali o stranieri. I terreni qui sono di ottima qualità per tutte le colture, si tratta infatti in buona parte di terre nere molto fertili e adatte a qualsiasi tipo di coltivazione in questo territorio con più di tremila fiumi che dalle ultime grandi boscose montagne dell’Europa centrale discendono verso le pianure rigogliose dell’immenso granaio ucraino e del Mar Nero.
La conformazione è quella di una piana collinosa la cui massima altitudine raggiunge i 429 metri s.l.m. in un clima continentale con le estati lunghe, calde e relativamente secche (temperature medie a luglio di 20°C), mentre gli inverni sono freddi e rigidi (temperature medie a gennaio di -4°C) e le precipitazioni medie sono di 350 mm/anno che, però, in collina raggiungono anche i 600 mm. Condizioni dunque ideali per la vitivinicoltura, infatti qui si producono dei buoni vini nelle denominazioni più famose come Onești, dei vini rossi di medio corpo come i Romanești, ma anche dei vini botrytizzati come i Grătiești, tutti esportati con buon successo sulla scia di quelli bianchi da uve fetească albă.
I vini tipici moldavi sono però in gran parte rossi e ottenuti da sapienti uvaggi oppure da tradizionali assemblaggi con la base principale di cabernet sauvignon. Quelli di qualità migliore e che si avvicinano di più ai gusti europei occidentali sono:
– Kagor, di colore rubino intenso, profumo fruttato, vino di grande armonia e vellutato ottenuto da uve selezionate di cabernet sauvignon e amabile, ottimo abbinamento per i dessert;
– Negru de Purcari, di colore rubino intenso tendente al granato, profumo vinoso, più leggero e secco, ottenuto da uve di cabernet sauvignon, saperavi e rara neagră;
– Roşu de Purcari, di colore rubino chiaro, profumo ampio e complesso, vino asciutto di buona struttura e armonioso con un finale mandorlato, da uve cabernet sauvignon, merlot e malbec.
Sono tutti vini ottenuti con grandi sforzi, perché le zappature, come tutti gli altri interventi, sono in massima parte ancora manuali e abbisognano perciò di manodopera specializzata, proprio quella che diminuisce per la forte emigrazione. Bisogna vedere al lavoro questa gente nei grandi vigneti per capire che avrebbero veramente bisogno soltanto di una seria collaborazione europea per usare in campo i macchinari adeguati e in cantina le tecnologie moderne al fine di creare, con questi tre vini, degli autentici capolavori che sarebbero altamente apprezzati sulle migliori tavole d’Europa e d’America e perciò diventare remunerativi e sostenere come si deve l’economia.
Poi ci troviamo di fronte anche a una serie di vini artigianali ottenuti secondo la tradizione da tutte le uve del vigneto e questo purtroppo è il difetto dell’enologia moldava, che si affida troppo alla natura a causa della carenza di tecnologia, di botti moderne e di strumenti adatti. È vero che se l’uva è eccezionale anche il vino sarà eccezionale mentre il resto è tutto frutto del genio, ma appunto per questo in un Paese così povero si dovrebbero sacrificare le uve peggiori ai vini economici di largo consumo e puntare piuttosto su quelle migliori per i vini da esportazione, che sono scambiati con preziosa valuta pregiata.
In Moldova, inoltre, si producono molti vinelli da tavola di tenore alcolico molto basso, appena il 9%, perfino l’8%, importati dai Paesi meno ricchi dei Balcani per convenienza, ma che non possono avere fortuna altrove. Si tratta però, si badi bene, di prodotti di antica tradizione (un po’ come il nostro Asti spumante), per cui accanto ai vinelli commerciali, che costituiscono l’ossatura del debole mercato interno nonché una sgualcita carta da visita moldava per i supermercati slavi, si possono trovare anche quelli tipici che non sono proprio male, prodotti anche in confezioni molto belle, da regalo, poiché rappresentano il compendio delle feste tradizionali e devono avere il… vestito della domenica.
Auguro a tutti gli emigrati dalla Moldova di riuscire a sopportare il doloroso distacco dalle proprie famiglie e di poter tornare con maggior fortuna in patria per ricostruire vite immeritatamente travagliate, ma soprattutto inviterei tutti gli amanti del buon vino ad aiutare la vitivinicoltura moldava degustando i suoi migliori prodotti quando si trovano nelle enoteche e nei più riforniti supermercati. Vi raccomando di premiare i grandi sacrifici di quei vignaioli ed enologi che sono in guerra contro la miseria della propria patria e chiederei alle nostre autorità vinicole di andare in quella piccola e povera nazione della nostra Europa per vedere cosa è possibile concretamente fare per quei vigneti e per quella gente che ha bisogno dei vini della speranza.
Scusatemi tanto per il tono di questo articolo, assolutamente atipico, ma la civiltà del vino è fatta anche di vera solidarietà, come ha dimostrato la più recente storia della nostra migliore enologia, per esempio dopo il terremoto dell’Irpinia, quando alcune delle grandi cantine del vino di tutta Italia aveva destinato una quota simbolica di 1.000 lire per ogni bottiglia venduta alla ricostruzione delle cantine danneggiate, come la Mastroberardino, che è tornata subito ad essere quella meraviglia, quel gioiellino campano, che tutti quanti ben conosciamo e fa alcuni dei migliori vini del mondo (e vi assicuro che non esagero!).
Ha smesso di giocare in cortile fra i cestelli dei bottiglioni di Barbera dello zio imbottigliatore all’ingrosso per arruolarsi fra i cavalieri di re Nebbiolo e offrire i suoi servigi alle tre principesse del Monte Rosa: Croatina, Vespolina e Uva Rara. Folgorato dal principe Cabernet sulla via dei cipressi che a Bolgheri alti e stretti van da San Guido in duplice filar, ha tentato l’arrocco con re Sangiovese, ma è stato sopraffatto dalle birre Baltic Porter e si è arreso alla vodka. Perito Capotecnico Industriale in giro per il mondo, non si direbbe un “signor no”, eppure lo è stato finché non l’hanno ficcato a forza in pensione da dove però si vendica scrivendo di vino in diverse lingue per dimenticare la bicicletta da corsa, forse l’unica vera passione della sua vita, ormai appesa al chiodo.