Lo stappo: Barbaresco Gaja 1991
- Stefano Cengiarotti Malini
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Lo so che di barbaresco abbiamo già parlato, lo so che trattare mostro sacri come GAJA non è la normalità in questo format e so che il cliché di parlare di vini del proprio anno di nascita lascia il tempo che trova, ma se un prodotto ti fa venire la pelle d’oca e ti emoziona fino ad una lacrima non posso fare a meno di parlarne.
Piccolo intermezzo, Gaia è forse la cantina più rinomata e storicamente più attenta alla crescita della denominazione di tutta la D.O.C.G. del barbaresco, la cantina è situata nel centro del paese da cui la denominazione prende il nome, tuttavia la maggior parte dei vigneti si sviluppa nella zona al confine con Treiso, più precisamente nei cru di Roncaglie e Roncagliette, li riconoscete i vigneti di Gaia sono i soli a ritocchino di tutta la langa.
La cantina è gestita da Angelo, uomo di eleganza e grande carisma, Lucia sua moglie, donna energica e di impeccabile ospitalità, a loro si aggiungono i figli Gaia, Rossana e Giovanni, tutti attivi all’interno della cantina di famiglia.
Finito l’intermezzo torniamo a concentrarci.
La ‘91 è rinomata per essere un’annata minore, la prima di un triennio che sarà demolito dalla critica, ma ormai abbiamo imparato che da annate minori derivano grandi responsabilità; ed è così che da questa ‘91 non possiamo che aspettarci grandi cose.
(Una piccola informazione, ‘91, ‘92 e ‘93 sono state tre annate nelle quali Angelo ha prodotto tutto il barbaresco dai suoi vigneti, quindi le produzioni sono state “importanti” e le bottiglie sono ancora reperibili, soprattutto in quella langa dove sono nati).
Fine, setoso, verticale e fruttato al naso; fresco, elegante, avvolgente e piacevolmente tannico al palato, sembra un vino di pochi anni con le complessità di un vino degli anni 70; 33 anni e non sentirli ci verrebbe da pensare, ed invece così non è; è un vino scorbutico per i primi 5 minuti, quasi diffidente ad aprirsi ed esprimersi, ma appena si lascia trasportare dall’ossigeno eccolo che ti racconta molto più di quello che dovrebbe, ti narra di anno duri e difficile che lo hanno formato fino ad arrivare nel bicchiere dove ti riempie di profumi e sapori, una lunga storia che non si esaurisce nel calice e continua ad emozionarti ancora anche settimane dopo….
Cos’altro dire…… #lanostravitaèincredibile
Stefano Cengiarotti Malini, nato a Verona l’01/02/1991, appassionato di vino dall’inizio della sua carriera, sviluppa il suo amore per lo stesso già nella sua prima esperienza al Vittorio Emanuele ristorante storico del centro della città di Romeo e Giulietta; successivamente entra a far parte della brigata dell’Antica bottega del Vino la Mecca di tutto i sommelier della città, qui incontra il suo mentore e amico Alberto Bongiovanni, figura che tutt’ora ha una grande influenza nella vita di Stefano.
Diviene ufficialmente sommelier AIS nel gennaio 2018, ma sono le visite alle cantine e la continua voglia di studiare che lo rendono quello che è ora.
Gli anni del covid sono complicati per la ristorazione della città quindi Stefano decide di approcciare il lavoro in vigna e successivamente si sposta nelle langhe in quella barbaresco che è meta enogastronomica di rilievo assoluto, qui collabora con chef Manuel Buchard all’Antinè bistrot nel centro del paese di Gaja.
Ora gestisce la cantina del Donatelli-3011 pizzeria gourmet, con 2 spicchi del gambero rosso, in provincia di Verona, locale che fa dell’innovazione e della ricerca la base su cui costruire un progetto, questi punti sono alla base delle scelte della carta di Stefano, scelte della quali sicuramente vi parlerà.