Alessandro D’Amico, al manager abruzzese di Birra Moretti
Alessandro D’Amico, al manager abruzzese di Birra Moretti. Alessandro D’Amico, classe 1992, nato a Casoli (Chieti), studi alla Cattolica di Milano e master all’università di Madrid, nominato Freeman of the City of London.
Riconoscimento di tradizione secolare paragonabile alle chiavi della città, attribuito a personalità come Winston Churchill, Giuseppe Garibaldi, Luciano Pavarotti.
L’encomio, ricevuto lo scorso 12 gennaio in uno dei luoghi più emblematici del quartiere finanziario della City, la Chamberlain’s Court Room della Guildhall di Londra.
Il prestigioso riconoscimento va ai suoi meriti professionali, in particolare come manager in diversi Paesi presso Unilever, General Mills e, recentemente, come brand manager per il mercato inglese di Birra Moretti del gruppo olandese Heineken.
Il suo impegno è stato ulteriormente sottolineato grazie al ruolo di segretario in uno dei comitati della Worshipful Company of the Marketors, una delle 111 liveries companies /corporazioni della City of London.
Tra i benefici associati a questa onorificenza, Alessandro avrà diritto di essere uno degli elettori per il sindaco della City of London, un privilegio che sottolinea ulteriormente il suo ruolo di membro riconosciuto nella comunità della City.
Alessandro, insieme con il team di creativi del marketing di Birra Moretti UK, come rendete accattivante al palato dei bevitori inglesi la narrazione di un brand iconico di birra italiana?
“Interpretiamo l’ethos del tempo giocando sull’identità, l’italianità di cui all’estero tutti sono innamorati.
Nella nostra comunicazione del brand si va oltre la bevuta di diverse pinte di birra al pub come tradizionalmente usa nel Regno Unito.
Si punta piuttosto sullo stile della bevuta.
Less is more, bere con moderazione e bere meglio.
Associamo la birra al food e alla convivialità ovvero l’Italian way of life.
In pratica promuoviamo uno stile più slow living, lento e ancora più rilassato alle nostre latitudini, un modo di vivere che gode di notevole appeal presso un pubblico internazionale che va sempre di corsa”.
Un’occasione preziosa per veicolare anche il food made in Italy
“Cerchiamo di comunicare il vantaggio di associare birra e cibo.
La nuova generazione si mostra particolarmente attenta a questo tipo di discorso.
Ricerchiamo ingredienti freschi e stagionali da farmers locali, prodotti di qualità da abbinare alla pinta di birra, promuoviamo un consumo più consapevole.
Bere non solo perché piace ma anche perché fa stare bene a livello organico e mentale. Se a noi italiani la dieta mediterranea non dice niente di nuovo, qui vince questo tipo di approccio, per loro nuovo, segno di una cultura che sta cambiando”.
Su quali prodotti italiani fa leva la vostra narrazione?
“Per la pasta, per fare un esempio immediato, lavoriamo in partnership con un e-commerce di pasta fresca e sughi pronti, proponiamo masterclass per far conoscere formati tipici di pasta praticamente sconosciuti nel Regno Unito, conditi secondo ricette regionali di chef italiani in modo da poterle replicare a casa, un’esperienza gastronomica a tutto tondo per “pasta lovers””.
Quali altri trend state sviluppando?
“Per comunicare la pizza, quintessenza dell’italianità, stiamo collaborando con un’azienda che produce forni da giardino per fare la propria pizza homemade.
In linea generale spingiamo verso rivisitazioni del cibo italiano, la cucina della nonna fatta di sostanza e filiera, materia prima disponibile secondo stagione tenendo in conto le differenze ambientali e climatiche tra Italia e Regno Unito.
Dall’altra guardiamo all’evoluzione apportata in cucina dagli chef stellati, quindi creatività e nuovi trend di mercato”.
Che spazio ha il prodotto abruzzese in tutto questo?
“L’Abruzzo dispone di una grande biodiversità ambientale e dunque agricola, una fortuna al netto del radicato individualismo che impedisce la comunicazione delle tante eccellenze con un unico marchio di autenticità da valorizzare e difendere.
Indispensabile per contrastare l’Italian sounding, quelle improbabili imitazioni del prodotto italiano che affliggono il mercato estero e spesso anche nazionale.
Da italiano sono orgoglioso di poter svolgere il ruolo di ambasciatore di prodotti della mia terra, mi piace difenderne l’autenticità, la sfida è nel come comunicare mettendo a sistema le molte piccole realtà produttive insieme in un unico portfolio di eccellenze nostrane.
È questa la forza che manca per penetrare il mercato estero, ristoranti e gdo.
Prendiamo il vino, Montepulciano d’Abruzzo o Prosecco fa lo stesso: prodotti sicuramente italiani ma non accompagnati da adeguata narrazione, con etichette che non consentono di risalire al luogo di provenienza e commercializzati a prezzi irrisori, non remunerativi, a tutto vantaggio di Champagne e altri vini europei brandizzati”.
Da sei anni a questa parte è in pianta stabile a Londra, già manager in diverse multinazionali prima di legarsi al marchio del gruppo olandese Heineken. Cosa più le manca dell’Italia e dell’Abruzzo?
“Mi manca la genialità degli italiani e la loro attenzione particolare alla qualità della vita, la convivialità e lo stare insieme.
Dell’Abruzzo mi mancano le sue eccellenze nascoste, quelle dei tanti produttori artigiani da andare a scoprire, il cibo autentico e antico che caratterizza la regione.
Per me la poesia dell’Abruzzo sta nella scoperta di quei tesori, qualcosa di vero e di unico”.
A CURA DELLA GIORNALISTA JOLANDA FERRARA