Lo Stappo: Alto De Cantenac Brown chateau de cantenac brown 2018
- Stefano Cengiarotti Malini
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Lo Stappo: Alto De Cantenac Brown chateau de cantenac brown 2018
Chi ha detto che a Bordeaux si producano solo vini rossi di qualità probabilmente non ha mai provato qualcosa di diverso da quello che l’immaginario ci dice di quei territori meravigliosi.
Infatti sono molti gli esempi di grandi vini dolci, i famosissimi Sauternes e non così poche le espressioni di grandi bianchi a base Sauvignon Blanc e Semillon.
Oggi parliamo di uno di quei vini bianchi spesso dimenticati e bistrattati.
Alto de Cantenac Brown è a mio modesto parere un vino incredibile, espressione perfetta di una regione viticola ricca di diversità territoriali, e un bicchiere che nulla a da invidiare a i famosissimi vini che come lui nascono nella zona di Margaux.
Prima però un piccolo accenno alla cantina.
Chateau de Cantenac Brown è una tenuta nata oltre 200 anni fa, anche se più che tenuta dovremmo parlare di vigneto, infatti come già accennavo quando parlavo di Chateau Palmer, in Bordeaux si può parlare di tenuta (Chateau) solo se la villa o castello possiede un vigneto attorno alla proprietà stessa; circa 60 ettari vitati divisi per caratteristiche di terreno, da quelli argillosi il grosso della tenuta stessa e quelli ghiaiosi o calcareo argillosi.
Questa diversità è la base per la creazione del blend, terreni differenti danno differenti vini e la possibilità di unirli in un’unica espressione ne garantisce un’alta qualità.
Alto de Cantenac Brown è tutto quello che si cerca in un vino di struttura da invecchiamento in legno, l’affinamento avviene in fusti di quercia di secondo passaggio, questo dona corpo e note mielate al vino, ma sono le une usate per il blend a fare la differenza, 90% Sauvignon Blanc e 10% Semillon, frutto tropicale, aroma floreale, struttura, morbidezza ed eleganza arrivano dal Sauvignon, freschezza, acidità e profondità le dona il Semillon.
Un bicchiere che convince sempre, ma che si esprime al massimo dopo un po’ di tempo dall’apertura, lasciando da parte le note di frutta, ci regala sentori di miele, di fiori bianchi secchi e di resina; non spaventatevi a trattarlo come un vino rosso, le temperature troppo basse non aiutano ad assaporarlo, io consiglio di servirlo tra i 12 e i 14 gradi, il tempo nel bicchiere aiuterà ad alzare la temperatura e a far lavorare l’ossigeno.
Cos’altro dire…
#lanostravitaèincredibile
Stefano Cengiarotti Malini, nato a Verona l’01/02/1991, appassionato di vino dall’inizio della sua carriera, sviluppa il suo amore per lo stesso già nella sua prima esperienza al Vittorio Emanuele ristorante storico del centro della città di Romeo e Giulietta; successivamente entra a far parte della brigata dell’Antica bottega del Vino la Mecca di tutto i sommelier della città, qui incontra il suo mentore e amico Alberto Bongiovanni, figura che tutt’ora ha una grande influenza nella vita di Stefano.
Diviene ufficialmente sommelier AIS nel gennaio 2018, ma sono le visite alle cantine e la continua voglia di studiare che lo rendono quello che è ora.
Gli anni del covid sono complicati per la ristorazione della città quindi Stefano decide di approcciare il lavoro in vigna e successivamente si sposta nelle langhe in quella barbaresco che è meta enogastronomica di rilievo assoluto, qui collabora con chef Manuel Buchard all’Antinè bistrot nel centro del paese di Gaja.
Ora gestisce la cantina del Donatelli-3011 pizzeria gourmet, con 2 spicchi del gambero rosso, in provincia di Verona, locale che fa dell’innovazione e della ricerca la base su cui costruire un progetto, questi punti sono alla base delle scelte della carta di Stefano, scelte della quali sicuramente vi parlerà.