Lo stappo: l’eterna lotta tra noi e loro

Lo stappo: l'eterna lotta tra noi e loro

Lo stappo: l’eterna lotta tra noi e loro

Oggi parliamo dell’eterno secondo, o meglio del perché quello stato è da sempre e da troppo l’eterno secondo.

Ebbene si oggi vi spiego perché secondo me (e secondo molti) l’Italia del vino rimane il secondo stato più importante per qualità produttiva, secondo solo ai nostri cugini d’oltralpe la Francia.

Potrei parlarvi di coltivazione, di lavoro in vigna, di distribuzione o di pubblicità, ma di questo hanno scritto persone più esperte di me; io vi parlerò di attitudine, di coesione e di anni.

Quando si parla di vino nei nostri giorni ci si riferisce quasi esclusivamente all’espressione più moderna della bevanda stessa, ossia il risultato della fermentazione dell’uva pura e semplice senza addizioni di aromi o dolcificanti, quindi senza la creazione di quello che oggi definiamo vino fortificato.

Una premessa essenziale per capire perché la Francia ci sia superiore.

In Italia le prime vere produzioni di vino inteso in questo modo si attestano intorno ai primi 20 anni del 19esimo secolo, in Francia già nel 13esimo si produceva vino in questa maniera e già allora si discuteva sulla qualità dei vigneti.

È di questo periodo la mappatura che da origine alle denominazioni di cru della Cote d’or della Borgogna e degli stessi anni l’editto del duca di Borgogna stesso che intimava ai suoi mezzadri di espiantare tutte quelle viti che non fossero Chardonnay o Pinot Nero.

È chiaro come 600 anni in più di esperienza facciano un enorme differenza nella produzione di vino di alta qualità.

Per attitudine intendo la maniacale attenzione in vigna un modo di interagire con il territorio atto a preservare lo stesso per più tempo possibile, cercando di non allargare gli ettari vitati della denominazione stessa preservando la biodiversità, ricordandosi che il mantenimento del paesaggio boschivo è parte integrante della vita della vite stessa.

È così che la Francia negli anni si è sposata su un’agricoltura più sostenibile atta al mantenimento e non allo sfruttamento.

Il punto più importante tuttavia è quello della coesione.

I cugini francesi non parlano del proprio prodotto parlano di una denominazione, parlano di un concetto di lavoro condiviso, parlano di aiuto reciproco e di condivisione di informazioni.

Ogni volta che si và in visita in Francia si respira un’aria di unità d’intenti,la ricerca è quella di valorizzare a pieno la zona vitivinicola in cui lavorano, non esiste il mio praticello se si vuole eccellere sul mercato.

Capiamo quanto questo sia importante se lo rapportiamo al successo che riscontrano denominazioni quali Barolo e Barbaresco che, al netto di alcune differenze, provano ad applicare quest’ idea di coesione, un modo di concepire la denominazione che si manifesta nelle figure di spicco, quali Angelo Gaja e Roberto Conterno, passando dai defunti Domenico Clerico e Giuseppe Rinaldi, e che fa della denominazione e non del singolo il fulcro della discussione.

Abbiamo ancora tanto da imparare, ma fortunatamente per noi partiamo da basi di grande qualità, quindi il passo da fare è breve e mi auguro che presto possa essere fatto.

Cos’ altro dire…

#lanostravitaèincredibile

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