Vincenzo Cioti, il vignaiolo di Campli
- redazione
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Vincenzo Cioti, il vignaiolo di Campli
Il vino italiano è unico al mondo, ma soffre di una grande mancanza: la comunicazione.
A dirlo è Vincenzo Cioti, giovane produttore di Campli, in provincia di Teramo, che, nonostante la sua giovane età, ha già maturato esperienze internazionali di grande spessore.
Tra Argentina, Nuova Zelanda e California, Cioti ha visto da vicino come si produce il vino nei Paesi più vocati al mondo, ma ribadisce che l’Italia resta insuperabile.
La prima tappa del viaggio enologico di Vincenzo risale al 2016-2017, durante i suoi studi in Enologia all’Università di Teramo, quando ha avuto l’opportunità di svolgere un tirocinio presso la Bodega Benegas a Lujan de Cuyo, in Argentina.
“Le tecniche di vinificazione non differiscono molto da quelle italiane, perché anche lì sono stati formati dalla nostra scuola”, spiega Vincenzo. Tuttavia, ciò che cambia sono i vitigni e il clima, il che rende la viticoltura unica in quella zona desertica ai piedi delle Ande.
Un aspetto che ha particolarmente colpito Cioti è stato l’approccio argentino alla produzione di vini bianchi aromatici, da cui ha appreso tecniche che ha fatto proprie.
In Argentina, tuttavia, il mercato del vino è per lo più nazionale, a causa di dazi elevati che rendono l’importazione e l’esportazione poco praticabili.
“Pensate che al McDonald’s vendono bottiglie di Malbec rigorosamente argentino,” racconta Cioti, a testimonianza del forte consumo locale.
Nel 2020, in piena pandemia, Vincenzo si è trasferito in Nuova Zelanda, una terra che lo ha sempre affascinato, anche per la sua passione per il rugby.
Qui ha lavorato come cantiniere presso Indevin, una delle aziende più grandi del Paese, situata nella regione di Hawk’s Bay.
“È stata un’esperienza straordinaria: la cantina era di ultima generazione, e l’organizzazione era impeccabile,” dice Cioti. Il lavoro era altamente metodico, con manuali che descrivevano ogni singolo passaggio e un rispetto scrupoloso del lavoro di ciascuno.
Un aspetto innovativo che ha attirato l’attenzione di Vincenzo è stato il processo di termovinificazione, utilizzato per produrre vini rossi dolci richiesti dai mercati inglesi e australiani.
Questo metodo prevede di portare il mosto a 65 gradi per estrarre rapidamente il colore e ottenere un effetto simile alla confettura.
L’ultima tappa del suo viaggio enologico è stata la Martinelli Winery in California, nel 2023.
Qui, Cioti è rimasto deluso dalle tecniche utilizzate, volte principalmente a produrre vini rossi con un effetto simile all’Amarone. “Raccoglievano le uve in ottobre, surmaturandole, ma poi aggiungevano acqua durante la fermentazione per compensare le perdite,” spiega il vignaiolo. Una pratica che ha trovato contraddittoria.
Inoltre, in Paesi come Argentina, Nuova Zelanda e California, Cioti ha notato una libertà maggiore rispetto all’Italia nell’uso di additivi e zuccheri per “correggere” i vini, creando prodotti spesso costruiti ad hoc per i mercati internazionali.
“Il vino è diventato un prodotto guidato dal brand e dalla comunicazione, ma l’Italia non ha rivali in termini di qualità. Peccato che non sappiamo comunicarlo altrettanto bene,” conclude.
Ora Vincenzo Cioti è tornato a concentrarsi sulla sua azienda a Campli, dove sta lavorando a progetti ambiziosi. Tra questi, la creazione di un rosato in stile provenzale, che potrebbe essere imbottigliato per la prima volta nel 2025, e una versione spumante del suo vino Indigena, un vitigno riscoperto dalla sua famiglia.
E sulle future esperienze internazionali? “Sono vecchio ormai,” scherza Cioti, “ma se dovessi scegliere, esplorerei il Sudafrica, che penso sia la terra più autentica.”
Con la sua esperienza globale e il suo legame profondo con il territorio abruzzese, Vincenzo Cioti rappresenta una nuova generazione di vignaioli italiani, pronti a innovare senza mai perdere di vista la tradizione.