È nata una stella di nome Vegan
“Uno spostamento globale verso un’alimentazione vegan è vitale per salvare il mondo dalle fame e dagli impatti peggiori del cambiamento climatico“. Dal quotidiano inglese The Guardian a commento del report delle Nazioni Unite
“C’è come un velo sulla retina dei non vegetariani, quasi un materializzarsi di un velo sull’anima, che gli impedisce di vedere il cadavere, il pezzo di cadavere cotto, nel piatto di carne o di pesce.” Guido Ceronetti
Il nuovo report dell’UNEP (Programma per l’Ambiente delle Nazioni Unite), uscito il 2 giugno 2010 e intitolato “Calcolo degli impatti ambientali dei consumi e della produzione”, ci dice che il consumo di alimenti animali – carne, pesce, latticini è una delle cause primarie di impatto ambientale, inquinamento, effetto serra e spreco di risorse.
Continua il NEIC Centro Internazionale di Ecologia della Nutrizione: “Per questi motivi, l’unica soluzione è quella di spostarsi verso un’alimentazione vegetariana, o meglio, vegana, perché tutti gli allevamenti sono una minaccia per l’ambiente e provocano un enorme spreco di risorse (cibo, terreno fertile, acqua, sostanze chimiche, combustibile), che si tratti di produrre ‘carne e pesce’ o derivati come latte e uova.” Concludono gli esperti del NEIC: “Lo spostamento verso un’alimentazione a base vegetale è ormai necessario, imprescindibile e la sua urgenza è innegabile. Anche per la salute umana si tratta di una scelta positiva, perché consente di prevenire le maggiori patologie cosiddette ‘del benessere’. La produzione di cibo è quella che più influenza l’utilizzo del terreno, e quindi il cambiamento di habitat, il consumo di acqua, il sovrasfruttamento delle zone di pesca e l’inquinamento da azoto e fosforo. Nei paesi più poveri è anche la maggiore causa di emissione di gas serra. Sia le emissioni che l’utilizzo della terra dipendono molto dalla dieta. I prodotti animali, sia carne che latticini, in generale richiedono maggiori risorse e causano maggiori emissioni rispetto ai prodotti vegetali”.
Questo è l’ugenza del nostro pianeta che ci induce necessariamente a decolonizzare l’immaginario culinario.
Nata e cresciuta nel centro di Torino, ho respirato l’universo contadino dei miei genitori che, lasciata la campagna, traslocarono in città su un carro trainato dal cavallo.
Ho respirato la terra, la Natura e il modo autosufficiente di vivere dei loro antenati : si allevavano poll, maiali e vitelli per poi nutrirsi, così come si coltivava in pieno campo e negli orti. Si faceva pane e salumi in casa.
Si coltivava il lino e la canapa per farne lenzuola e cordami, si faceva il sapone con ossa e cartilagini degli animali. Tutto a quell’epoca era circolare, senza sprechi.
Poi è arrivato “il progresso” e non siamo più contadini, allevatori o raccoglitori: condizione ormai di intere generazioni che mai hanno conosciuto i cicli produttivi della natura. Al coltivare, allevare, fare, abbiamo sostituto solo una doppia esperienza spesso coincidente: “comprare e consumare“.
Si tratta quindi di decolonizzare l’immaginario culinario.
Quando avviene in noi il cambiamento? In persone come me, assolutamente radicate nella tradizione, con nel cervello e nel cuore il profumo del brasato al barolo, il vitel tonnè di magatello e una tonnata fatta a mano, la lasagna con un ragu cotto 3 ore, agnolotti con due arrosti e salsiccia, spezzatino e molto altro, l’unica molla per decolonizzare rapidamente l’universo culinario sono i figli:
“Mamma, verrò a casa a Natale! “
“Che bello! Viene anche il tuo moroso? Che cosa vi preparo?”
“Ah, mamma, siamo vegetariani, se fai qualcosa di vegano ancora meglio!”
La prima reazione è il panico!
Penso…..”Io sono…”ero” una brava cuoca, sicura di me…acc….
L’identità vacilla
All’inizio ci si sente un po’ stupidi e senza risorse, come se non fosse possibile prescindere dalle uova, dalla carne o dal latte e dal burro.
Ci si sente un po’ deprivati e castigati…si immagina che sicuramente il cibo vegano faccia schifo….ci si rincuora pensando che se vita sobria dev’essere, allora che sia! Ci si sente un po’ come in periodo di carestia o guerra dove si doveva improvvisare senza avere le materie prime.
Poi anche questo, si capisce, è frutto dell’immaginario da decolonizzare. Si scoprono ingredienti vegetali di cui ignoravamo l’esistenza anche solo dieci anni fa: lo zenzero, i semi di chia, la quinoa, l’ Umeboshi ecc.
Quindi si fa il primo esperimento: la maionese senza uova! Poco latte di soia , olio arachidi e oliva in parti uguali, pizzico di sale e limone alla fine della montatura.
Wow! E’ venuta una meraviglia e nessuno direbbe che non ci sono le uova.
Poi le meringhe con l’acqua faba dei ceci : un vero successo!
Fiuuuuu! Anche questa è andata! Mi sono allenata una settimana intera e ho cucinato cose squisite.
La migliore in assoluto è stata la torta con una frolla vegana come guscio con un ripieno di succo e buccia di un’arancia, mandorle tostate 5 minuti al microonde, funzione crisp e poi macinate con lo zucchero.
Ecco la mia ricetta
Frolla vegana
150 g farina 0
100 g farina di farro
100 g zucchero di canna
1/2 banana matura ( sostituto dell’uovo)
80g olio di arachide ( sostituto del burro)
Un cucchiaino da the colmo di cannella
Succo di mezzo limone
Vaniglia bourbon
2 cucchiaini rasi di lievito
Ripieno n°1
150 g di mandorle tostate e macinate
150 g di zucchero di canna
Il succo e la buccia di un’arancia
Ripieno n° 2
Base di marmellata di mele cotogne, un velo
Mele sbucciate e tagliate a fette
Zucchero di canna, cannella, succo di limone e zenzero sulle fette di mela
L’uovo si puo sostituire anche con i semi di lino o chia immersi in acqua per ottenere una pasta gelatinosa, maizena o yogurt Il burro si può sostituire anche con composta di mele, zucchine o ricotta Cottura 180°