Bacche di Goji: la Calabria prima in classifica

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Le bacche di Goji sono i frutti di un arbusto spontaneo di origine tibetana, appartenente alla famiglia delle Solanaceae, al Genere Lycium e alla specie Barbarum.

La nomenclatura binomiale del Goji è Lycium Barbarum. Il nome “Goji” nasce nel 1973 da alcuni ricercatori dell’istituto botanico tibetano Tanaduk Research Institute, che pare l’abbiano coniato per primi.

L’inizio della diffusione del nome “Goji” è poi seguita a partire dalle prime esportazioni fatte delle bacche di Goji, le quali furono spedite all’estero la prima volta nel 1977 a scopo commerciale al Tenzing Apothecary Momo nel Pike Place Market di Seattle, Washington (come raccontano gli stessi ricercatori dell’istituto botanico).

La Calabria, grazie alle coltivazioni della Piana di Sibari, con le sue 150 mila piante distribuite su 38 ettari, è la prima regione produttrice in Italia di Goji. La coltivazione è iniziata solo pochi anni fa a livello sperimentale ed i risultati sono stati sin da subito eccellenti. Le piante madri di Lycium Barbarum sono state ottenute attraverso un lungo processo di selezione naturale (partendo da 800 piante diverse) nel corso del quale sono state considerate tre caratteristiche fondamentali per il mercato: grandezza del frutto, assenza di semi e gradi brix.

Successivamente le piante madri sono state replicate in laboratorio in modo da non perdere le caratteristiche ottenute. La maggior parte della produzione calabrese è venduta nel Nord Italia come prodotto fresco, riscontrando un notevole interesse da parte del consumatore finale, al punto che oggi si è ben lontani dal soddisfare la domanda della Gdo. Cominciano ad arrivare richieste anche dai mercati svizzero, tedesco, francese e britannico.

Le caratteristiche delle bacche di Goji

Le bacche di Goji sono di piccole dimensioni e di colore rosso. Hanno forma allungata e contengono al loro interno dei semini appiattiti. Il sapore è leggermente agrodolce.

La coltivazione

La pianta di Goji preferisce un clima temperato, nonché un terreno sabbioso e ben drenato. La messa a dimora si effettua durante i mesi primaverili mentre la potatura avviene nei mesi che vanno da novembre a gennaio. Con la potatura del Goji occorre proseguire speronando a due gemme e rami che hanno prodotto i frutti durante il raccolto precedente: il Goji fruttifica solo su rami giovani e per favorire la crescita di nuovi frutti è necessario procedere al taglio di quelli vecchi.

Nei periodi estivi occorre prestare particolare attenzione alle irrigazioni. La coltivazione del Goji può essere iniziata con propagazione vegetativa mediante talee semi-legnose. Il periodo migliore è tra la fine di agosto e inizio ottobre. Individuata la “pianta madre” è sufficiente tagliare con una cesoia ben affilata un ramo giovane (di un anno) di circa 20 cm e interrarlo per i primi 10 cm in una vasetto dal diametro di 14 cm. Nella parte interrata devono esserci almeno un paio di nodi mentre nella parte superiore bisogna contare almeno 4 foglie: sono queste le condizioni favorevoli alla radicazione. E’ possibile iniziare la coltivazione a partire dal seme: anche in questo caso non vi sono particolari difficoltà ed è sufficiente procedere con la germinazione.

Goji di Calabria: le bacche della longevità

Le numerose analisi svolte dal Prof. Antonio Procopio, docente straordinario presso l’Università Degli Studi “Magna Grecia” di Catanzaro, sottolineano una presenza massiccia di elementi sia nutritivi sia nutraceutici presenti esclusivamente nelle bacche di Goji e molto importanti per la nostra salute ed il nostro benessere.

La pianta di Lycium Barbarum è un arbusto deciduo, considerato un elemento essenziale nella medicina tradizionale cinese. Un alimento naturale che aiuta a mantenere l’organismo in buono stato di salute. Per questo motivo, viene definito “frutto della longevità” ed apporta carboidrati, proteine, lipidi, polisaccaridi, aminoacidi, ferro, potassio, calcio, vitamina C, betacarotene e tiamina. Il Ministero della Salute, in Italia, dal 2012, ha inserito il Goji nella lista degli “estratti vegetali impiegabili come integratore antiossidante”. (DLgs. 21/5/2004). Le bacche di Goji, secondo la scala del grado di capacità antiossidante, rappresentano il grado più  elevato: 45.480, tasso Orac certificato dell’Università degli Studi “Magna Grecia” di Catanzaro.

Il principale antiossidante presente nel Goji è la zeaxantina, facilmente assimilabile dal nostro organismo. Inoltre, il Goji si colloca tra gli alimenti con il più basso indice glicemico al mondo e, grazie ai polisaccaridi che garantiscono energia all’organismo e stabilizzano il livello di glucosio nel sangue, aiuta a mantenere sotto controllo la glicemia.

L’impiego in cucina

«Il Goji – ha spiegato lo chef stellato Enrico Bartolini – è importante non solo per il suo valore nutraceutico, ma può essere sfruttato anche in cucina: attraverso il corretto consumo le due cose sono in perfetto equilibrio». «Dal punto di vista enogastronomico il Goji, che è una solanacea appartiene alla stessa famiglia del pomodoro, ha dolcezza e piccantezza con una grande concentrazione antiossidanti. È un frutto carnoso, ma non è adatto a frullarlo o a farlo confit. In tavola si può abbinare con mozzarella e burrata o col pesce; nella mixology il succo di Goji si può legare a uno spumante dalla struttura ricca o a succo di mela, ananas e mandorla». Le bacche di Goji si mangiano di solito in quantitativo di 25 grammi al giorno. C’è chi le aggiunge allo yogurt, al gelato o ai cereali con il latte. Molto gustose sono anche le marmellate, le creme per guarnire dolci e le granite realizzate con le bacche di Goji.

L’azienda Favella

Da qualche anno nella Piana di Sibari, l’azienda agricola Favella, fondata nel lontano 1932, ha iniziato a coltivare, oltre al finger lime, bacche di Goji. «Abbiamo pensato su quali coltivazioni potevamo puntare e la decisione è caduta sul Goji», racconta Nicola Rizzo, proprietario dell’azienda, che nel 2014 ha messo a dimora 20.000 piante. Oggi l’azienda calabrese conta 60.000 piante di cui 18.000 sotto serra e il resto in pieno campo tra la Calabria e il Padovano dove sono 13.000 le piante coltivate.

Curiosità

E’ da qualche anno che l’agronomo reggino Rosario Previtera ha messo su praticamente dal nulla una rete di 30 imprese, che oggi dispone di oltre 15 ettari coltivati a Goji Bio in Calabria, Puglia, Basilicata e, da poco, anche nel Lazio, vale a dire l’impianto più grande del Vecchio Continente per ciò che riguarda la coltivazione di queste millenarie piante medicamentose di origine asiatica, i cui frutti anticamente venivano chiamati “diamanti rossi” per le loro notevoli proprietà terapeutiche e nutritive.

Una filiera controllata, un progetto imprenditoriale di respiro multiregionale inaugurato nel 2015 e ribattezzato “Lykion” – dalla scritta in greco impressa su un’ampolla del IV-II° secolo a.C., ritrovata a Pompei e contenente presumibilmente il “licio” appunto, considerato ai tempi un collirio naturale – che alle spalle non ha grandi investimenti né multinazionali dell’ortofrutta, ma semplicemente una scommessa, ossia quella di trapiantare nel Bel Paese il Lycium Barbarum per offrire al mercato un Goji 100% italiano di alta qualità.