
Cavolo cappuccio di Collina, nuovo Presidio Slow Food. Leggete bene, mi raccomando, Collina è scritto con la maiuscola ed è il nome di una frazione di Forni Avoltri (UD). La zona di produzione è situata fra i 1100 e i 1330 metri di quota, ai piedi dell’imponente Monte Cogliàns. La coltivazione di questa varietà di cavolo cappuccio è favorita da un’elevata escursione termica notturna. La coltivazione di questo ortaggio, che avviene su terreni terrazzati esposti a sud, ha rivestito da sempre una notevole importanza per la comunità: insieme a orzo e segale, il cjapût, nome dialettale della varietà, era infatti una delle poche specie coltivabili nell’area. I cavoli si vendevano bene nei mercati dei paesi circostanti e arrivavano acquirenti anche da zone lontane.
Descrizione:
Il cavolo cappuccio di Collina, leggiamo sul sito della Fondazione Slow Food, ha una testa non sferica ma un po’ schiacciata e appiattita. Il diametro è di circa 20-30 cm e il peso di 1,5-2 kg. Le foglie sono sottili con evidenti venature rossastre, di colore bianco all’interno e verde chiaro all’esterno. In autunno quelle più esterne tendono a seccarsi, lasciando il cavolo ben pulito. I cavoli maturano intorno alla fine di settembre: si raccolgono a mano in modo scalare (quando le teste sono ben formate e compatte), con un taglio al di sotto del pomo. «A differenza delle altre tipologie di cavolo cappuccio – sottolinea Andrea Collucci, referente dei produttori del cavolo cappuccio di Collina – questo presenta, innanzitutto, una forma diversa: è bislungo e ha i vertici schiacciati. Ha poi molte più foglie, che sono anche più sottili e più compatte. E il sapore, al palato, risulta più piccante». L’antica tradizione prevede di trasformare i cavoli nei cosiddetti craut garp.
Come fare i crauti: si mettono in concia le foglie sotto sale o sott’aceto. Poi si tolgono quelle esterne e il torsolo e si taglia la parte rimanente in strisce sottili che si pongono in un tino (brent) a strati alterni di cavolo e sale. Il tutto si copre con le foglie esterne eliminate inizialmente. Si copre con un coperchio e con dei pesi per mantenere il contenuto sotto pressione, e si lascia riposare in modo che possa partire la fermentazione. Dopo 40, 45 giorni, i crauti sono pronti.

Il cavolo di Collina era quasi scomparso principalmente a causa dello spopolamento delle aree montane. Se oggi possiamo ancora gustare questo ortaggio, lo dobbiamo al lavoro di salvaguardia portato avanti dalla famiglia di Ciro Toch, che ogni due anni ha rinnovato la semente. Il suo sforzo è stato raccolto da un gruppo di giovani che, nel 2018, hanno creato la cooperativa CoopMont, con l’obiettivo principale di portare avanti la coltivazione di questo varietà di cavolo cappuccio, prodotto simbolo nella zona. Un anno dopo la nascita della cooperativa, è stata inaugurata la prima edizione della “Festa dei cavoli nostri” che si tiene i primi giorni di ottobre e apre la fase della raccolta.
Il disciplinare di produzione del Presidio esclude il del diserbo chimico e prevede una rotazione di almeno 5 anni (con un cereale vernino o con orticole come fave, patate novelle, cipolle, aglio e indivie).
Se oggi possiamo annoverarlo fra i Presìdi Slow Food lo dobbiamo al lavoro di salvaguardia portato avanti dalla famiglia Toch che, inizialmente nella persona di Ciro e ora grazie a suo figlio Michele, non ha mai smesso di rinnovare la semente. Uno sforzo fortunatamente non vano: nel 2018, infatti, un gruppo di giovani agricoltori ha fatto ritorno nel territorio di Collina e, costituendo la cooperativa CoopMont, ha dato un seguito alla sua opera di conservazione e promozione di questa tipologia di cavolo cappuccio.
Autore
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Friulana di nascita, triestina di adozione. Quanto basta per conoscere da vicino la realtà di una regione dal nome doppio, Friuli e Venezia Giulia. Di un'età tale da poter considerare la cucina della memoria come la cucina concreta della sua infanzia, ma curiosa quanto basta per lasciarsi affascinare da tutte le nuove proposte gourmettare. Studi di filosofia e di storia l'hanno spinta all'approfondimento e della divulgazione. Lettrice accanita quanto basta da scoprire nei libri la seduzione di piatti e ricette. Infine ha deciso di fare un giornale che racconti quello che a lei piacerebbe leggere. Così è nato q.b. Quanto basta, appunto.
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