A Napoli nasce una startup per combattere la malnutrizione in Africa
- anna cali
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A Napoli nasce una startup per combattere la malnutrizione in Africa
Si chiama Nutriafrica ed è una startup che produce un alimento in grado di aiutare tutti quei bambini denutriti, affinché essi possano recuperare le forze ed evitare i ricoveri in ospedale.
Tutto inizia da Napoli, a Portici per l’esattezza.
Un giovane volontario della Croce Rossa, Vincenzo Armini, comincia a scrivere una tesi per diventare tecnologo alimentare. “Chiesi al docente di declinare l’elaborato in chiave umanitaria”, ricorda.
Il professore accetta e gli propone di rivedere la letteratura sulla malnutrizione acuta severa, una malattia che colpisce i bambini sotto i cinque anni (ma non solo), specialmente nelle zone più povere del pianeta.
Armini si appassiona, si laurea, e ci fa pure un dottorato: nasce così Nutriafrica.
I nosocomi in Africa, spesso devono coprire territori troppo vasti, e non riescono perciò a curare tutti.
Per questo motivo è indispensabile trattare i casi di entità moderata prima che si aggravino “sul posto, nei villaggi, riducendo la quota di casi che necessitano di ospedalizzazione”.
La strategia non è nuova.
Da anni si fa utilizzo di super cibi con alti valori nutrizionali: il problema, come hanno dimostrato anche inchieste internazionali, è che si è creato una sorta di monopolio, con poche aziende multinazionali in grado di vendere questo tipo di prodotti a costi esorbitanti.
E il giro delle agenzie intergovernative non dispone di un’alternativa.
Ma Armini e il suo staff, che nella componente operativa ormai comprende una quindicina di persone, hanno messo a punto un procedimento per produrre un alimento capace di integrare la dieta dei bambini malnutriti utilizzando materie prime locali, che non devono essere importate.
Insidiando, quindi, il dominio delle multinazionali del settore.
“È una crema che ricorda il burro di arachidi, dal sapore dolce, spalmabile o spremibile direttamente in bocca, che non necessita di preparazione e cottura ed è formata da polveri essiccate miscelate con olio” dice a Wired Armini.
Il sapore è “dolciastro, ricorda i cereali tostati, ma nulla vieta di cambiare la ricetta e adattarlo ai gusti delle persone e alle risorse disponibili nei vari luoghi”.
Nel caso dell’Uganda, per esempio, gli ingredienti che utilizzano per la preparazione sono soia, sorgo (cereale tipico dell’Africa), olio di girasole, zucchero di canna, polvere di spirulina. Ma cambiando regione mutano anche le materie prime. “Il know how di Nutriafrica è la tecnologia – spiega il fondatore -. L’innovazione che proponiamo è nel processo, e ci consente di realizzare un prodotto simile in tutto il continente, impiegando materie prime locali”.
Il processo di produzione dura quattro ore, e prevede una fase iniziale di tostatura, poi macinazione e raffinazione, che consente di ridurre la dimensione particellare delle polveri durante la miscelazione con olio.
“Abbiamo voluto raggiungere una granulometria non percepibile al palato – riprende Armini –, per rendere più facile l’accettazione dell’alimento da parte dei bambini, uno degli aspetti più critici, indipendentemente dalla cultura di appartenenza, in base agli studi etnografici.
Che peraltro, confermano che la dolcezza è apprezzata a tutte le latitudini”.
Il trattamento mediamente dura dalle sei alle otto settimane, con razioni da duecento grammi al giorno. Una dose costa “tra i dodici e i quattordici centesimi, circa il 40% in meno rispetto agli altri prodotti in commercio”.
Ma il problema adesso è un altro.
L’azienda è alla ricerca di un modello di business sostenibile che consenta di non perdere l’anima sociale con cui è nata.
Un crowdfunding ha già raccolto cinquantamila euro serviti per acquistare il macchinario con cui l’alimento verrà prodotto.
Alla fine di febbraio sarà inaugurato l’impianto pilota al Policlinico di Napoli, poi gli ultimi test.
L’obiettivo finale è trasportare tutto in Africa.