Al Celone a Foggia. Dario Perrella e la pacata fierezza di un figlio di Capitanata.
- Giustino Catalano
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Al Celone a Foggia. Dario Parrella e la pacata fierezza di un figlio di Capitanata.
di Giustino Catalano
Chi mi conosce sa che ho sempre sostenuto che la Capitanata e tutta la provincia di Foggia è uno dei luoghi più interessanti e da attenzionare gastronomicamente.
A Foggia più segnatamente anni fa ero stato da un giovane chef che sotto la direzione di un imprenditore molto attivo stava facendosi notare nell’ambito cittadino. La segnalazione mi arrivò da quel genio di Gianfranco Brescia che all’epoca aveva un bellissimo locale nel centro di Foggia (Osteria della Dogana).
Oggi Dario Parrella è ulteriormente cresciuto e con il suo socio Fabio Torre, bravissimo pizzaiolo, gestisce la bella struttura posta tra le immense distese di terra destinate alla coltivazione del grano poco distante dal fiume Celone dove sino a pochi anni fa ci si faceva il bagno nei mesi più caldi.
La struttura è una dimora della ONC (Opera Nazionale Combattenti) con la quale furono date case e terreni ai soldati che avevano servito la Patria durante la sanguinosa “15-18”. Di tale struttura restano integri tutti gli ambienti seppur con differente destinazione. La stalla con tanto di mangiatoie laterali in pietra è oggi la sala per le grandi tavolate, il pollaio l’attuale cantina e sala della cella di dry age delle carni selezionatissime, il passetto tra l’ingresso e la sala dove si svolgeva la vita quotidiana un piccolo privée. A lato e sopra anche le camere che erano quelle dell’abitazione o del magazzino degli attrezzi.
La formazione di Dario nasce sotto i cuochi di una volta. Si forma come sauciére e chef de partìe dei primi piatti accanto a un vecchio cuoco ottantenne foggiano e poi, in maniera assolutamente da autodidatta, comincia ad acquistare libri e a sperimentare tecniche. Il risultato odierno è l’assoluto legame con la tradizione lavorata con tecniche moderne e presentata in maniera diversa ma senza che ne cambi la sostanza. E nei piatti questa idea si ritrova tutta indiscutibilmente. In maniera avvincente ed entusiasmante.
Il pranzo che mi propone avendogli lasciato massima libertà segue un ragionamento logico, strettamente territoriale con pochi picchi esterofili legati più alla necessità di avere delle materie prime che esaltino quelle locali che al desiderio di rinnegare i propri luoghi. Sul vino partiamo con un rosato francese però. Un piccolo salto verso un vino che amo particolarmente. “Pure” rosé della Maison Mirabeau – Côte de Provence del quale dirò a breve.
La partenza è decisamente in quarta!
Cartellata con carciofo scottato, soppressata marinata all’arancia del Gargano, stracciata di bufala locale e basilico fresco. Magnifico il gioco tra la leggerissima croccantezza della cartellata, la soppressata smorzata dalla marinatura con l’arancia e il carciofo dolce e delicato. A chiudere e ingolosire il boccone la stracciatella freschissima e il bel mentolato del basilico colto pochi secondi prima di licenziare il piatto dalla cucina.
A seguire il Magnum di fave e cicoria. Un uno-due decisamente magistrale ruotando come un perno sempre sullo stesso piede.
Nel frattempo il Pure di Mirabeau faceva il suo dovere combinandosi perfettamente con le pietanze e regalando i suoi profumi. I sentori molto mediterranei di erbe e frutti rossi ancora acerbi chiudono con una delicata sapidità marina. Al palato non si smentisce.
Il Pure è frutto di una vendemmia notturna e consequenziale soffice pressatura di uve fermentate in acciaio a temperatura controllata e affinate in bottiglia. I vitigni sono prevalentemente il Grenache (presunto padre del Cannonau e del Tocai dei Colli Berici) e il Syrah (che si coglie nelle note di frutta rossa) con una piccola presenza del meno noto Cinsault (presente in molti assemblaggi e rappresentante uno dei vitigni minori dello Chateauneuf du Pape).
Il magnum ha una magnifica croccantezza esterna che fa da scrigno a sapori di contadina memoria perfettamente mantenuti integri.
E’ il momento di un terzo antipasto. Qui Dario assembla il territorio con una polpettina di carne di “Tigrinto”, cardoncelli su salsa burro e vino e lamelle di tartufo scorzone della Murgia.
Il Tigrinto è una razza di maiale derivata dal “Vento” dell’Emilia e allevata in maniera similare alla Cinta senese, ossia allo stato brado o semi brado le cui carni, anche per la tipologia di alimentazione risultano ricche di omega3 (e quindi in grado di diminuire i grassi nel sangue) ed omega6 (in grado di svolgere funzione antitrombotica).
Il piatto è un incrocio tra i gusti moderni con il cardoncello appena scottato e ancora croccante e pieno dei suoi sapori e le polpettine come si sarebbe detto nelle cucine degli anni sessanta parlando della cottura della carne di maiale “al giusto rosa” adagiate su questa salsa di burro belga e vino bianco dal sapore tutto francofono. A impreziosire il tutto le lamelle piuttosto spesse del profumato scorzone murgiano.
A seguire la tradizione contadina del sud Italia e terrazzana. Il Pancotto. Il pane fatto dal locale cotto con patate, erbe selvatiche e condito con un delicatissimo e profumato giro di olio extravergine di oliva quasi certamente cultivar Peranzana. Buono nella sua essenziale semplicità.
Sembrava finito il giro di antipasti ma compare il nostro Dario con la bravissima (Sommelier tra qualche mese) Anna con 3 taglieri e una piccola zuppiera dicendo “noi siamo anche questo”!
Canestrato di bufala, soppressata e prosciutto di Tigrinto e mozzarella di bufala foggiana. Tutto eccellente, selezionato con grande cura ma su tutto sicuramente spiccava il prosciutto di Tigrinto che raccontava tutto sulla sua alimentazione attraverso quella nota oleica, quasi rancida e allappante che hanno solo i prosciutti di gran razza, quelli di animali cresciuti a ghiande. La memoria mi ha ricordato i prosciutti di Joselito o quelli di Pietraroja con oltre 30 mesi di stagionatura e di animali cresciuti a terra liberi.
Dichiaro di essere arrivato al limite ma non posso tirarmi indietro sul primo. “MachenesannoaMilano”. Rigatoni di grano Armando conditi con un ragù di salsiccia pezzente di Tigrinto confezionata da una piccola macelleria all’ingresso di Troia e pomodoro “Rosso Gargano”, a mio avviso una delle più belle espressioni di pomodoro industriale del Sud Italia.
Sopra il formaggio dei poveri. La mollica fritta. Il ragù è fatto con una salsiccia pezzente cotta a bassa temperatura ricca di sentori di peperone, aglio e vino, l’immancabile Nero di Troia.
Ed è proprio il Nero di Troia “Lingue di terra” di Borgo Turrito, un nero di Troia (100% uve nero di Troia) prodotto solo in alcune annate eccezionali con uve selezionatissime. La mia bottiglia era una 2017. Corposo fino all’opulenza e caldo con grande persistenza, sentori di frutta rossa matura, confettura, spezie e note balsamiche.
Perfetto l’abbinamento e eccellente il piatto che ricorda il ragù della domenica con i sapori di campagna.
Si chiude con i dolci. Dalla tradizione alle sperimentazioni. “Avrà fatto il panettone anche lui?” mi sono chiesto. No, ma si era cimentato in una veneziana ad onor del vero molto ben eseguita. Accanto una cartellata con mosto cotto davvero eccellente, le mandorle “atterrate” con il cioccolato, le nocciole al cioccolato bianco e i tozzetti alle mandorle
A chiudere un magnifico babà fatto in casa con della crema pasticciera ricca e profumatissima della vaniglia che la puntinava.
Una tappa assolutamente da non perdere e per chi è più distante da valutare con tanto di pernottamento che se questi sono i piatti del pranzo sono davvero curioso di sapere cosa c’è a colazione.
Bravo Dario e bravo Fabio. La strada è quella giusta. Personalmente noi di Di Testa e di Gola lo annotiamo nelle tappe di Puglia da non perdere assolutamente.
Di formazione classica sono approdato al cibo per testa e per gola sin dall’infanzia. Un giorno, poi, a diciannove anni è scattata una molla improvvisa e mi sono ritrovato sempre con maggior impegno a provare prodotti, ad approfondire argomenti e categorie merceologiche, a conoscere produttori e ristoratori.
Da questo mondo ho appreso molte cose ma più di ogni altra che esiste il cibo di qualità e il cibo spazzatura e che il secondo spesso si mistifica fin troppo bene nel primo.
Infinitamente curioso cerco sempre qualcosa che mi dia quell’emozione che il cibo dovrebbe dare ad ognuno di noi, quel concetto o idea che dovrebbe essere ben leggibile dietro ogni piatto, quella produzione ormai dimenticata o sconosciuta.
Quando ho immaginato questo sito non l’ho pensato per soddisfare un mio desiderio di visibilità ma per creare un contenitore di idee dove tutti coloro che avevano piacere di parteciparvi potessero apportare, secondo le proprie possibilità e conoscenze, un contributo alla conoscenza del cibo. Spero di esservi riuscito.
Il mio è un viaggio continuo che ho consapevolezza non terminerà mai. Ma è il viaggio più bello che potessi fare.