Bressan Mastri Vinai: gli incisori di zolle dell’Isonzo

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Che gli amici friulani mi perdonino, ma nell’iniziare a scrivere questo pezzo mi è venuta in mente come un chiodo fisso una frase dell’indimenticabile Andrea Parodi dei Tazenda che aveva detto a un concerto, ricordando il suo amico Fabrizio De André: ”Anch’io, come lui, in un certo senso arrivavo dalla Liguria (padre ligure e madre sarda), ho deciso di seguire le origini di mia madre e quindi di fare diventare veramente la Sardegna la mia terra. Fabrizio però diceva «non sei tu, è la terra che ti sceglie, con i silenzi, i colori, i profumi che ti senti addosso»”. Appena arrivato dai Bressan, nel pomeriggio del sabato sera, quando tutti sono finalmente in casa a riposarsi, lavarsi, radersi, prepararsi all’unico giorno di festa della settimana, c’era un uomo che armeggiava ancora intorno a uno dei trattori per pulirlo bene, lustrarlo come un gioiellino da esposizione: Nereo Bressan, classe di ferro 1932. Suo figlio Fulvio ci presenta e lui mi fa salire sulla 4 x 4, in fretta finché c’è ancora la luce, per andare in una vigna più lontana dall’azienda e vedere quella terra appena lavorata. Noto che i vitigni non sono gli stessi di quelli intorno alla cantina, nonostante che siano a poche centinaia di metri. È una terra appena comprata e piantata con vitigni adatti a quel suolo, che sembra uguale ma è diverso e… quel suo dirmi ”non sei tu, ma è la terra che li sceglie”. Ecco la saggezza contadina che emerge in tutta la sua grandezza. E quel terreno non l’ha sfruttato tutto, approfittando di una strada agricola comunale confinante, perché ci ha voluto far correre parallelamente una sua strada, bella larga e sul suo, come orgogliosamente mi fa notare. Ho capito qui perché quest’uomo cita volentieri Socrate (Atene 470 – 399 a.C.). “Ci sono persone nate per sgobbare e altre nate per stare a guardare. Non è questione di salute né d’intelligenza, né di bisogno. È così e basta! Dalle prime tutti si aspettano di più, dalle seconde nessuno si aspetta niente. Per le prime non ci sono mai elogi, qualunque cosa facciano è dovere. Per le seconde è il contrario; poiché non ci si aspetta niente da loro, basta che muovano un dito e tutte si affrettano a coprirle di complimenti”.

Quando siamo tornati, Fulvio mi ha portato in magazzino, dove ha scelto le bottiglie da bere con il buio della notte e ho notato che i Bressan avevano stampato altre frasi celebri e significative della loro mentalità sui cartoni che usano per dividere le bottiglie all’interno delle scatole da sei. Confezioni rigorosamente orizzontali per mantenere sempre bagnato il tappo, anche se il trasporto costa di più perché su una paletta ce ne stanno di meno altrimenti si schiacciano. I piccoli particolari non sono mai da trascurare, perché da chi ama così la terra e il lavoro c’è sempre e soltanto da imparare. Mi viene da ridere a pensare che c’è appunto chi sta a guardare e si erge a saputone, a esperto del lavoro (ma degli altri) o peggio ancora a ”giudice”, lucrandoci perfino di brutto nell’emettere sentenze a raffica con punteggi in centesimi dopo aver roteato il calice in modo forsennato, usando il vino come un collutorio del palato e fra i denti e, come se ci avesse poi capito chissà che cosa, lanciandolo in una sputacchiera (già il suo nome per me è fastidioso) brutta da vedere, ancora peggio da veder usare, che si riempie impietosamente di tutto quanto hanno sputato durante la degustazione.

I degustatori professionisti in gamba lo fanno senza farsi vedere dagli altri, in postazioni appositamente separate e con vasche adeguate, per trattare il vino, i produttori e i colleghi con il meritato rispetto, visto che dovrebbero capire e valutare il lavoro di persone che magari non sanno incantare con le parole, ma che ogni giorno, anche di festa o quando gli altri fanno i ponti, anche imbottite di antibiotici per una malattia stanno in vigna a faticare e soffrono di preoccupazioni per le malattie delle piante, la siccità dei terreni, i debiti da pagare anche nelle annate avverse per poter assicurare un briciolo di felicità con il vino. Non bisogna mai dimenticare il lavoro del contadino, del vignaiolo, del cantiniere e di tutte quelle famiglie oneste che ricavano da vivere con quel vino che alla fine si gusta nel calice, ma che è sempre il frutto di grandi sacrifici. E i Bressan li fanno da ben 9 generazioni, dal 1726, soffrendo fin dalle guerre napoleoniche, ma rimanendo sempre sotto l’egida asburgica fino alla fine della prima guerra mondiale e all’occupazione dell’esercito italiano, anche se questa zona fu formalmente annessa al Regno d’Italia solo nel 1921.

Il frazionamento dei possedimenti fra sette eredi nel 1944 non aiuta certo i genitori di Nereo Bressan a dare uno sviluppo all’azienda e dopo la seconda guerra mondiale il ragazzo è costretto a rinunce e privazioni, ma la tenacia, l’energia e la combattività del suo sangue friulano (che si vedono ancora a 87 anni) temprano ancora di più il suo carattere già combattivo. Faceva il macellaio a Gorizia, la mattina, quando le donne allora andavano a fare la spesa della carne. Il pomeriggio, quando le macellerie erano chiuse, andava a fare sforzi notevoli proprio per curare la terra, in quegli anni di miseria sopravvenuta nel dopoguerra, quando la gente abbandonava la campagna per andare a lavorare nelle fabbriche, credendoci come ormai ci credevano soltanto in pochi. Accanto a un grande uomo c’è sempre una grande donna e, sostenuto dalla moglie Paolina Spessot sposata nel 1961, dopo anni di pesante lavoro aveva investito il frutto dei suoi sacrifici nell’acquisizione di terreni altamente vocati alla coltura della vite, tra cui tutti gli appezzamenti già appartenuti al nonno Antonio, riuscendo così nell’intento di ricompattare tutte quelle proprietà frazionate. Avevano creduto alla straordinaria natura dei terreni, al microclima eccezionale, avevano perfezionato le tecniche colturali e creato i presupposti per produrre grandi vini d’autore e Nereo nel 1964 è stato uno degli attivi fondatori del Consorzio del Collio.

Nello stesso anno è nato Fulvio, paracadutista nella Folgore con il mio amico Peter Soster, si è laureato in Psicologia e poi si è formato in enologia a Bordeaux, ma è anche un appassionato astrofilo (è riuscito a scoprire nel 1994 anche l’asteroide 79241 Fulviobressan), oltre che un raccoglitore di oggetti antichi. Amante della vita libera, della campagna e della viticoltura, ha voluto diventare un ”incisore di zolle”. In uno dei suoi viaggi per promuovere l’azienda all’estero (ha un feeling con la cultura giapponese) ha incontrato Jelena Misina, l’ha sposata e hanno messo al mondo quel ragazzo in gamba, diciassettenne, che è Emanuele. Basta guardare gli sguardi innamorati di Fulvio e Nereo nei confronti delle loro donne per capire che questa è una gran bella famiglia, davvero, gente di cuore, di grande cuore, con la scorza dura e magari anche le spine, ma tutto zucchero dentro, proprio come i fichi d’India.

Fulvio Bressan
Fulvio Bressan è un ”maverick”, un torello ribelle e abituato a disarcionare chi ha la pretesa di domarlo, con una foga emozionante, ma un cuore grande e tanta passione.  I piedi in testa non glieli mette nessuno. Pur avendo una gran bella vigna terrazzata nel Collio, ha deciso di uscire dal Consorzio fondato anche da suo padre sbattendo la porta in faccia alla prostituzione enologica che di tanto in tanto si affaccia alla porta con proposte oscene all’assemblea dei produttori, pontificando e predicando bene, ma razzolando male. Odia sinceramente e profondamenti quelli che vogliono appiattire il vino nei suoi caratteri e renderlo incapace di sfidare il tempo a causa dell’uso indiscriminato della chimica, ma non rinuncia nemmeno a cantarle sode contro la mediocrità e gli affaristi del vino e perfino contro le mode del biologico chic, quello cosiddetto à la page.

La superficie dell’azienda si è ingrandita di recente, alla faccia dei radical-chic che anni fa ne avevano reclamato il boicottaggio dal 23 agosto 2013, arrogandosi a giudici delle antipatie politiche di Fulvio e adesso possono soltanto rosicare: oggi sono 25 ettari (di cui 19,25 già vitati). Il successo dei vini Bressan viene dal gran lavoro in vigna con il massimo rispetto per la natura, la vite, il suolo, l’ambiente, infatti sono prodotti in uno stile naturalistico, sebbene le vigne non siano volutamente certificate. L’azienda si trova là dove i pendii del Collio degradano dolcemente nella valle del fiume Isonzo, un angolo di terra protetto a Nord dalle Alpi Giulie e aperto a Sud ai venti caldi che salgono dal mare Adriatico, in condizioni pedoclimatiche eccezionali. Il suolo intorno alla cantina è sormontato da uno strato di ghiaia di fiume di circa 1 metro, attraverso il quale le radici penetrano a cercare acqua e sostanze nutritive. La ghiaia aiuta la maturazione del frutto perché riflette i raggi del sole e di notte rilascia per un po’ il calore accumulato prima del tramonto, inoltre consente all’acqua piovana di passare attraverso i livelli di argilla e marna dove viene catturata e trattenuta. Le vigne vengono costantemente arate in superficie, cosa che è la vera passione di Nereo, per non consentire l’inerbimento perenne ed escludere del tutto l’irrigazione, nemmeno quella di soccorso, al contrario di parecchie aziende limitrofe che la utilizzano in modo sistematico con impianti fissi ad ala gocciolante o con i getti lunghi a pioggia che di solito si usano per il mais.

Selezione esclusivamente massale e uso preferenziale di ceppi autoctoni (vietata la clonazione e tutti gli O.G.M.), pochi trattamenti soltanto con il minimo di rame e zolfo, niente prodotti della chimica di sintesi (esclusione totale di diserbanti e/o disseccanti e/o pesticidi) e utilizzo esclusivo di concimi naturali, cioè stallatici o vegetali, oppure nessuna concimazione. Le rese sono naturalmente limitate e non occorre la vendemmia verde, sia per il modo di operare in vigna, sia per l’età delle vigne che è molto elevata, tanto che in gran parte hanno tra i 50 e i 100 anni (a Corona c’è perfino una parcella di oltre 130 anni), anche se ce ne sono di nuove, appena comprate e piantumate, di 6 anni. Le uve di viti di età inferiore ai 7 anni non vengono mai vinificate. Gli impianti sono fitti, con una densità in genere di 4.630 ceppi per ettaro a potatura manuale cortissima, con 4 gemme a frutto (la quinta è cieca e anche la sesta non convince Nereo). Anche le spollonature sono manuali. Le potature sono soltanto invernali e non si fa quella verde, perché le vigne vecchie sono autoregolanti, perciò le rese sono molto basse, circa 35 quintali per ettaro contro i 110 previsti dal disciplinare del Collio e i 120 (anche 130 per alcune uve) del disciplinare del Friuli Isonzo. Con queste pratiche viticole molti dei suoi vini non corrispondono ai requisiti delle due DOC, ma a Fulvio non gliene può fregare di meno, non si piega agli ”aviocarenti” né ai ”collioni” e piuttosto li vende come IGT. Le vendemmie sono tutte fatte manualmente con una selezione accurata soltanto delle uve perfettamente sane e mature. Una severità che costa cara… La produzione annua di bottiglie va da 0 a un massimo di 35.000. Nel 2005 non hanno prodotto vino, l’uva era bella, ma non aveva corredo aromatico. Per un’annata intera hanno rinunciato volontariamente all’introito, ma le tasse e spese sostenute durante l’annata agraria sono state pagate lo stesso. Nel 2016 hanno dovuto rinunciare a un ulteriore 30%, con una resa di soli 25 quintali d’uva per una primavera difficilissima. Chi vuol rendersi conto del costo di produzione alla fonte di una bottiglia dovrebbe pensare anche a questo. Sono rari i produttori che hanno tanto rispetto dei consumatori da uscire sempre e soltanto con vini di alta qualità, oppure niente.

Stessa filosofia non interventista in cantina. I vini fermentano con lievito naturale, non vengono filtrati e la solforosa viene aggiunta nella quantità minima prima dell’imbottigliamento. In questa cantina c’è molto pragmatismo, cemento, acciaio inox, botti rigorosamente non tostate, studio maniacale dei legni (provenienze, tostature, spessori e interazione dei legni con il vino che vi riposa non meno di tre o quattro anni o anche di più per alcuni vitigni). Non si usa mai un legno di rovere nuovo non ripulito in proprio secondo la tecnica aziendale. Si riempie la nuova botte di rovere con una soluzione di acqua di pozzo e sale marino, si lascia riposare per almeno 10 giorni, poi si svuota e si riempie ancora con acqua pura di pozzo per altri cinque giorni almeno, quindi si assaggia l’acqua e se sa ancora di rovere si ripete tutto di nuovo, finché non si sente nessun gusto di quercia, soltanto allora la botte è pronta per l’uso. Non si pratica alcuna manipolazione chimica dei vini Bressan. Dopo la diraspo-pigiatura soffice, le uve vengono delicatamente pompate nelle vasche di acciaio inossidabile a temperatura controllata. La fermentazione alcolica è innescata dai lieviti indigeni. Tra la vendemmia e il completamento della macerazione con le bucce passano circa quattro settimane.

Quando i vini sono fatti con questa saggezza contadina, ogni bottiglia può essere diversa, anche se tutte hanno un livello di qualità elevato.  Si usano la tavola, la compagnia, il cuore e la testa non per giudicare i vini, ma per berli nella loro dignitosa solennità, magari anche come dei simpaticoni che alzano un po’ il gomito, come monelli che strizzano l’occhio alla bella ragazza del tavolo accanto oppure al viavai della cameriera. Beveteveli, divertitevi, studiateli se lo preferite, ma non sviliteli con un voto. Con Fulvio e Jelena ne abbiamo degustati diversi la sera, a temperatura ambiente e poi abbiamo portato le culatte, cioè le bottiglie ancora mezze piene, il giorno dopo, al grazioso Ristorante Pasticceria Piccola Vienna da Eva Kollath nel cinquecentesco palazzo Strassoldo della bella isola pedonale di Gradisca d’Isonzo. Perciò largo ai vini, secondo l’ordine di degustazione scelto da Fulvio e Jelena che, come un Anfitrione perfetto, di squisita gentilezza e con la generosità della buona mamma, voleva prepararci qualcosa di caldo per la cena, ma noi maschiacci (che mangiamo soltanto per bere e non al contrario) le rispondevamo in coro ”mangiala te” (della serie: ”viôt di intendi, biele frute…”), anche perché i salumi fatti da Nereo con le sue mani erano delle sfiziosità eccellenti.

Bressan

Grigio in grigio 2014 IGT Venezia Giulia. Questo pinot grigio è vinificato in… grigio ed è millanta chilometri distante da quelle versioni incolori di questo vitigno che si possono trovare sugli scaffali dei supermarket e a Fulvio non piace molto, però suo padre ha insistito tanto per mantenerne tre parcelle per quasi 1,41 ettari, perché alla gente di qui piace in questa tipica versione ”maschia”, ma non ne ha ricavate più di 1.300 bottiglie. Maturato sui sedimenti dei lieviti in vasche d’acciaio per 12-15 mesi e poi 4 anni e più in botti di pero selvatico, un legno che si sente con la solida acidità e una certa struttura. È di colore ramato brillante come un tè, profuma di geranio e ortica quand’è più giovane, è secco come un chiodo e si presenta con un aroma penetrante di mallo di noce, fieno e mandorle amare che annunciano un sapore di legno laccato di fresco e un finale amarognolo.

Rosantico Moscato Rosa 2015 IGT Venezia Giulia. Una voce fuori dal coro, una vera rarità ottenuta dal vitigno moscato rosa che è un ceppo diverso dal moscato bianco e dal moscato giallo, molto più popolari in Italia. Prodotto in 2.000 bottiglie dopo 3 anni in botti di pero selvatico. Ha un colore pieno, carico, più che rosato sembra sangue di coniglio selvatico o succo di lampone. Inizialmente colpisce con un intenso aroma di geranio, ginepro e resina di pino, ma in bocca emergono aromi del tutto diversi, dalle radici al pompelmo rosa con un finale di petali di rosa appassita. Grande acidità con tannini delicati. Lo suggerisco per una sera d’inverno davanti al caminetto acceso, sgranocchiando castagne arrosto.

Friuli Colli Orientali Verduzzo 2015 rigorosamente secco (con Fulvio sono soltanto in 3 a farlo; gli altri, tutti  amabile e anche frizzante). Prodotto in 3.000 bottiglie dopo 3 anni in botti di gelso, ha un colore giallo aranciato con riflessi grigioverdi, verduzzi. All’attacco un soffio di caramelle alla frutta (quelle dure) apre un bouquet fresco, ampio e mentolato di aromi amaricanti come scorza di pompelmo, bergamotto, pera ”pirûs”, pesca-noce a polpa bianca, peperone bianco e fiori d’acacia. È leggermente tannico, ma armonioso, con un finale delicato di mandorla amara e fiori di campo secchi.

Pignol 2004 IGT Venezia Giulia. Di nome e di fatto pignolo, un termine che si riferisce alla taccagneria, alle basse rese del vitigno. Il vino è un po’ misterioso all’inizio, per la lunga elevazione in legno, in quanto è maturato per 13 anni nel rovere di Slavonia in botte grande da 20 hl per un totale di 2666 bottiglie. Di colore rosso rubino vivace, dopo alcuni minuti in un ampio calice si ossigena e cambia, aprendo un ventaglio di spezie che annuncia un bouquet ammaliante di pepe e mirtilli, ribes nero, buona pelle, con una deliziosa acidità. Di ottimo corpo, è armonico, sapido, con tannini delicati e morbidi. Può affinarsi ancora a lungo, non gli è bastato farlo già in vetro nel magazzino termocondizionato per circa 15 mesi. Un rosso da lunghissimo invecchiamento. Perfetto!

Ego 2013 IGT Venezia Giulia. L’etichetta assomiglia a quella di un vin de garage, tuttavia il soprabito non inganni, perché questo contrasto con il contenuto della bottiglia riflette benissimo la natura ribelle di Fulvio, il suo ego. Uve schioppettino e cabernet franc in parti uguali, raccolte sovramature e vinificate separatamente con ammostatura e lunga macerazione sulle bucce per 30 giorni, fermentazione alcolica in acciaio inox 316, malolattica completa in barriques di rovere francese, quindi assemblaggio in acciaio inox e poi botti di ciliegio selvatico per 5 anni. Anche questo vino matura per altri 15 mesi in bottiglia nel magazzino termocondizionato. Il profumo di muschio e di sottobosco apre un bouquet di cipresso, tartufo, pepe, goudron e resine di legni balsamici. Un vino di razza, con una grande struttura. L’acidità elevata e i tannini sono in piena armonia. Prevedo una longevità straordinaria per questa nicchia di circa 700 bottiglie firmate col pennarello da Fulvio.

Schioppettino 2013 IGT Venezia Giulia. Schioppettino significa piccolo schioppo, cioè che spara, infatti durante la fermentazione si sentono spesso dei botti provenire da dentro i tini. In realtà è una ribolla nera e soffre anche di aborto floreale fisiologico, come il picolit. Le uve provengono da 3 diverse parcelle della vigna Sclupit, che hanno densità differenti tra i 3.086 e i 4.630 ceppi per ettaro e che trasmettono perfettamente anche la loro diversa natura nei vini che ne risultano, piuttosto austeri, rustici. Anche qui una lunga fermentazione di oltre 35 giorni e 5 anni di invecchiamento in botti di rovere di Slavonia da 20 hl per un totale di 7.000 bottiglie. Di colore rosso rubino intenso dai riflessi granati con un barlume violaceo, ha un attacco al geranio, al pepe e al cipresso che aprono un bouquet fruttato di mora selvatica, mirtillo, aronia, anche lampone maturo e pera nera (Schwarze Birne) su fondo di sottobosco, muschio e resine di legni balsamici. Vino di ottimo corpo, pieno, vellutato, con una piacevole, piccantina, acidità.

Pinot Nero 2012 IGT Venezia Giulia. Come ricorda Fulvio, l’unica cosa che non può essere comprata è il tempo e non si può bere un Pinot Nero prima dei 5 anni, altrimenti è infanticidio. Perciò, dopo una fermentazione lunga circa un mese, quei 5 anni glieli ha fatti passare tutti in legno (1/3 in botti di rovere di Slavonia da 20 hl e 2/3 in botti di ciliegio) per un totale di 4.000 bottiglie, anche se in alcune annate può arrivare fino a 5.000, perfino 7.000, tutte affinate a lungo in vetro nel magazzino termocondizionato. Di colore rosso rubino, attacca con la noce moscata e ha un bouquet di piccoli frutti maturi, come il ribes rosso, su un bel fondo di spezie, pepe, incenso e terra rossa pulita. In bocca mostra un fruttato succoso di mora selvatica, lampone e sfumature di tartufo bianco, sottobosco, muschio.

 

Fonte Lavinium