Catastrofe olfattiva: il Bismetiltiometano
- Fabio Riccio
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Sono ripetitivo. Ho più di una ossessione.
In particolare: il Bismetiltiometano.
Non sapete che diavolo è?
Beh… in paroline facili facili, è l’aroma artificiale di tartufo.
Oddio… tanto artificiale mica è, perchè insieme ad altri aromi, questo composto chimico derivato dal petrolio, lo si trova anche naturalmente in quantità variabili nei tartufi, di cui è uno dei componenti olfattivi predominante – ma non l’unico. A puro titolo di curiosità, aggiungo che anche nella testa dei gamberi c’è del bismetiltiometano. Assaggiarli da crudi per credere.
Purtroppo, troppi, ma davvero troppi tartufi e prodotti derivati, per essere più graditi e apprezzati dal pubblico vengono irrorati oltre il limite della decenza (e della truffa…) di questo composto.
Partiamo da questo.
Dicevamo… perchè il Bismetiltiometano mi perseguita?
Semplicemente perché ormai, ogni volta che si parla di tartufo, (esclusi quelli di “fascia alta”) nella maggioranza dei casi questo olezzante composto entra in gioco. Stop. Un mero dato di fatto.
Malauguratamente, tanti italiani (iniziale rigorosamente minuscola) si autonominano d’ufficio esperti di cibo, mentre in realtà, a tavola si rivelano ingenui creduloni, talvolta senza neanche sprezzo del ridicolo. Partendo da questi fondamentali, vi narrerò (in breve) di quella che poteva essere una buona cena easy in un simpatico localetto in zona, tramutata in una vera e propria catastrofe olfattiva.
I fatti.
Per sconfiggere la pigrizia serale su cosa mettere sotto i denti, decidiamo di provare un nuovo localino, un po’ paninoteca, un po’ non-so-bene-cosa-altro-diavolo-è, posto che ha aperto di recente i battenti in una cittadina non lontana da casa. Nulla di nuovo sotto il sole, nel secondo millennio dell’era volgare, i format dei locali dove si somministrano alimenti e bevande sono ormai troppi, e mi spiace dirlo, tanti non sanno più cosa di nuovo inventarsi pur di non chiamarsi ristorante.
Un ibrido tra una paninoteca del 21° secolo e un posto dove ci sono cose buone, ma non cucinate, più birra artigianale e un po’ di vino, ecco. Chiamatelo come più vi piace.
Dunque, in rigoroso “non ordine”, taglieri di caci e salumi, birre artigianali, panini vari, qualche vino sciuè sciuè e poco altro.
Poche varianti rispetto a posti “già visti”, compreso (con calice in mano), uno sperduto Hipster di provincia con barbona d’ordinanza, non ancora al corrente di far parte di una tribù che presto si estinguerà, come i dinosauri e il dodo.
Il panino con salumi e cacio di qualità, “piastrato” fa la sua bella figura, non è per nulla malvagio, anzi: buono. Ottima materia prima, bel sapore complessivo.
Le birre artigianali vanno bene, non banali, si fanno bere, eccome! Il servizio, pur tra qualche amnesia e troppi viaggi a vuoto di chi serve, funziona.
E allora? Tutto bene?
Eh… no, non tutto.
Bastano poche mosse, per rovinare un posto che potrebbe essere interessante.
Qui, lo hanno fatto, senza scusanti.
Partiamo da un assioma: il settore della ristorazione (e affini – come questo) non sempre è in mano a veri professionisti, non nascondiamoci dietro la canonica foglia di fico.
Non bastano buona volontà ed entusiasmo.
Non basta la materia prima di qualità, anche se è un buon inizio.
Non basta un progetto estetico-grafico “corporate identity”, magari firmato da un architetto di grido.
Non basta accodarsi al trend del momento per intercettare pubblico che beve vino e birra artigianale perché è “figo”.
Bisogna necessariamente capirci qualcosa del settore.
Ecco: capirci qualcosa…
Non si può ordinare un tagliere di formaggi e due panini, in questo preciso ordine, e vederseli portare in tavola nello stesso momento.
No.
Non si può, pur in un contesto di ottima materia prima, portare nel tagliere formaggi palesemente “sudati” perché già affettati in precedenza, e non al momento.
No.
Però, sorvolando sulle violenze di conservazione perpetrate ai buoni formaggi, il peggio arriva da ricotta e miele. La classica (originariamente buona!) ricottina del tagliere è palesemente insufflata di una pleonastica quantità (industriale) di Bismetiltiometano, in parole povere, puzza di “tartufo” in maniera sospetta.
Catastrofe: Cinquanta grammi di materia bianca slealmente olezzanti da oltre un metro di distanza. Neanche tritandoci dentro un etto di un bianco di tartufo di Alba “serio” si ottiene lo stesso esito olfattivo.
Non prendiamoci per i fondelli…
Dall’aspetto, quel che punteggia di nero la ricotta è un comunissimo Scorzone, alias Tuber Aestivum Vitt, onesto fungo ipogeo che perfino a fine estate, vale a dire nel suo momento di massimo fulgore olfattivo, non odorerà mai scandalosamente in questo modo.
Ma l’apoteosi, la vera e propria catastrofe olfattiva, arriva con il miele al tartufo.
Fermo restando che mi appello sempre all’articolo 21 della nostra bella costituzione che mi consente di esprimere liberamente la mia opinione, dichiaro qui a chiare lettere che il miele al tartufo non mi piace affatto. Stop.
Motivazioni? Trovo che sia l’ennesima stortura gastro-gustativa, meglio: una catastrofe olfattiva
Partiamo da questo: il miele, al pari dell’Olio extravergine di Oliva è per sua fortuna già fornito da madre natura di un corredo olfattivo e gustativo non da poco. Ci sono centinaia e centinaia di differenti mieli in circolazione, ognuno diverso per sentori e sapori. Una bella cosa, un dolce ventaglio di aromi e sapori, un bell’allenamento per i sensi. Vero godimento.
Stesso identico discorso per l’Olio extravergine di Oliva. Chiedete a un qualsiasi assaggiatore di olio, professionista e non, e vi racconterà del sottile piacere di discernere sapori e sentori nell’olio…
Ma allora, che diavolo bisogno c’è di addizionare a olio e miele aromi non loro?
Dov’è l’utilità di questo che è un vero e proprio genocidio olfattivo?
Che… forse forse le laboriose Apis mellifera e i loro amici olivicoltori si sono improvvisamente appassionati di Tartufi?
Quien sabe?
Possibile che tanti bei sentori olfattivi di miele (anche olio) devono essere rovinati, o per meglio dire, annichiliti da superflui e coprenti sentori di tartufi (più spesso presunti tali), per non parlare poi del rischio botulino quando si mette un tartufo in olio?
A che pro?
Perchè mistificare, usiamo il termine corretto, ottimi oli e grandi mieli con il Bismetiltiometano (non tartufo…), per poi giocare a nascondino (però pienamente a termini di legge) scrivendo in caratteri microscopici in etichetta “aromi” e non aromi naturali, oppure, la sempre meno diffusa dicitura “aromi di xxxx”?
Certo, il tutto non è nocivo, legalmente non c’è nessuna sofisticazione, ci mancherebbe altro, ma la faccenda sia dal punto di vista etico, che gustativo, non mi garba lo stesso.
Una tendenza?
Chissà. Eppure… nel locale non-so-bene-cosa-altro-diavolo-è, ma anche in altri posti, questo succede e continua a succedere, nell’indifferenza generale dei clienti e, cosa più grave, di chi lo gestisce, molto spesso inconsapevole di quello che realmente mette nei piatti (taglieri…).
Lascio ai lettori immaginarsi il perché…
Tornando alla serata, posso solo dire che il miele al tartufo che accompagnava i formaggi è stato una vera catastrofe olfattiva, un qualcosa di agghiacciante, tanto che era odoroso di aroma di tartufo. In bocca non si capiva letteralmente nulla, il sentore finto-tartufaceo era talmente intenso copriva qualsiasi sentore, anche gustativo del miele.
Cui prodest?
Povero miele, povero olio…
Povera (la non) professionalità di chi gestisce questi locali, e poveri i clienti che premiano con la loro presenza locali come questo.
Interessato da più di venti anni al modo del cibo, crapulone & buongustaio seriale. Dal lontano 1998 collabora come autore alla guida dei ristoranti d’Italia de l’Espresso, ha scritto sulla guida Le tavole della birra de l’Espresso, ha collaborato a diverse edizioni della guida Osterie d’Italia di Slow Food, ha scritto su Diario della settimana, su L’Espresso e su Cucina a sud. Scrive sulla rivista il Cuoco (organo ufficiale della federazione cuochi). Membro di molte giurie di concorsi enogastronomici. Ideatore e autore del sito www.gastrodelirio.it