E’ tutta colpa dei “poverelli bianchi” se sono andato alla Locanda Severino.

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Può capitare, in autunno, che non si abbia voglia di poltrire in inutili attese del ritorno al lavoro del lunedì.

Ancor più  frequente accade che, se si sono commissionati i fagioli freschi già da prima della raccolta, della pregiatissima varietà “Poverelli bianchi del Pollino”, si è costretti, in un modo nell’altro, a mettere in moto l’auto , sebbene di domenica, per quanto fortunatamente assolata, e portarsi in campagna.

Con queste premesse ci si muove alle 8,00 del mattino in direzione Laino Borgo.

Le andature non sono proprio da record sebbene il pensiero di ritornare in serata è più che frequente. Ci accolgono i soliti affettuosi amici che, dopo il caffè di rito, mi conducono da Antonietta che conduce con la famiglia una orticoltura divenuta famosa da un po di tempo, ma che qui è prassi,  Agricoltura Familiare cioè,  sulla strada del santuario della Madonna delle Cappelle.  Siamo a Laino Borgo, aiuola del Paradiso Terrestre dove ebbi nascita e crescita. Antonietta  ci consegna il prezioso bottino. Ne incassiamo una seconda “dose”, varietà “colorata” che  Antonio ed Angela Stabile mi regalano e si riparte.

Il mio passaggio lainese, oggi,  non è stato dei migliori….Gli anni dell’adolescenza e delle prime cotte, se non la vita sa con  chi da un po di tempo mi ha lasciato orfano, generano una tremenda fitta allo sterno ed un senso di smarrimento….. Penso questo e mi accorgo che sto piangendo….

Ma devo inventarmi qualcosa che mi riconcili con gli elementi, non puo’ finire così,  ed allora si riparte ma, con il cuore orientato a qulacosa di leggero, modificando en passant, la rotta di ritorno.

LA montagna Pollina è dolce e sinuosa ed invita a escursioni gastronomiche riconcilianti con il mondo. Si va a  CAGGIANO.

Di questo paesello di meno di 3000 anime sapevo che fosse un dei comuni italiani ad alta sismicità, contenuto in una striscia di terra che è nota al mondo come Parco Nazionale del Cilento e Vallo di Diano,  che, per quello che vedo, è la naturale continuazione del paesaggio calabro lucano dell’adorato Pollino..

Puntato il navigatore, riusciamo a raggiungere IL LUOGO che oggi dovrò occuparsi della mia felicità per l’ora di pranzo.

Locanda Severino.

 Il posto è accogliente, senza elementi stressogeni e con tavoli sobri  e sistemati ad adeguata l’uono dall’altro, da far percepire da subito che non avremmo avuto disturbi sonori e percepire  una piacevole sensazione di serenità (uovo prossemico docet).

Ci accoglie un sobrio e sorridente  Maitre,  Donato Addesso nato nella vicina  Auletta,   a seguire ci impatta con il suo  saluto il patron del locale, Vitantonio Lombardi.

Ci sediamo ed attendo di vedere cosa accade.

L’approccio è felicissimo: la collaboratrice di sala ci porta un piattino concavo in cui versa dell’olio  e subito  arriva  il pane…. rappresentano il miglior inizio. E’ un olio delicato, cultivar “frantoio”del territorio, ma senza difetti. Lo assaggiamo ben lieti di essere stati accolti cosi…significa che il maestro non usa olii strani e tutto il resto ne sarà, inevitabilmente, la positiva  conseguenza verticale.

Aperitivo di bollicine lucane e andare con questa sequenza:

Mi è Caduto l’Uovo nell’Orto, geniale interpretazione di un uovo da 30 eurocent e ortaggi,  foggiati e accorpati con terra di cacao salato in un  modo che  Dio solo  sa come gli è venuto. AMAZING!!!!

Pizza in “Black”

(Dedicato a Davide Scabin maestro di Angelo in creatività), fatta con carbone vegetale e farina di frumento con tartufo in tre diverse consistenze.

 Lagane in Due Consistenze  (ancora il descrittore cinestesico orale  estasiante e che condivido appieno quale componente irrinunciabile nella costruzione e della percezione del gusto), su Passata di Ceci Bianchi,  Ceci Neri Rugosi in granella  e pancetta croccante

Ravioli di Ricotta Liquida (ancora un gioco sulle percezioni tattili trigeminali  linguali), con gamberi  e funghi porcini.

Il desiderio di strafare ci sarebbe, ma i 110 km che ci separano da casa ad  Altamura, inducono ad una morigerata assunzione di solidi  e, soprattutto, di liquidi, ragion per cui, declinando al meglio l’invito,  che lo chef ci fa per bocca di Pellegrino Artusi ben evidente e riportato sul menu…“Se volete una buona regola, nel pranzo arrestatevi al primo boccone che vi pare di troppo…….e senz’altro passate al dessert” (1910),…ci limitiamo ad un piatto condiviso (in due), di  quello che sarebbe stato un antipasto a base baccalà, ma che, viste le quantità, ci è sembrato naturalissimo considerarlo un secondo.

Un tris di baccalà fatto con  una seducente tartare cruda in guisa a di ripieno di un piccolo panino umidificato da  maionese di peperoni cruschi, un pezzo, invece classico, in pastella su letto dei soliti cruschi appenninici ed un altro, cotto nel latte, con olio aromatizzato, manco a dirlo,  ai  “cruschi”,  arredato da  una sorprendente chips fatta con la su a stessa pelle; piu che un mancato spreco, una gentile interpretazione di  parte di pesce  di minor pregio.

Siamo alla fine…Ancora una condivisione per porzioni sempre generose per viaggiatori ,  su un assaggio di un “non dolce”, da farsi venire le lacrime di gioia per  aver incontrato questo simpatico lucano trasferitosi a Caggiano. Lui non sa che io non mangio dolci e lui che cosa inventa….

…..Preceduto da un predessert rappresentato da  gelato al pecorino del pollino con salsa di fichi da meritare un sorso di passito, ci coglie con la benedizione  per il ritorno a casa con la  mirabile  costruzione del Bab’Olio al Limoncello su Insalatina di Frutta e Verdura.

Una volta per tutta mi smentisco. Mangio metà del dessert di mia moglie con tutte le mele annurche sdadolate nel liquido di governo che accompagna quello che fu, per qualche anno,  il mio pasto sostitutivo (il babà di Bellavita, a piazza Garibaldi,  quando cioè aspettavo il pullman che da  Napoli mi riportava a  casa ad  Altamura, durante gli anni di frequenza alla Facoltà di Medicina Veterinaria di Napoli per la specializzazione in Ostetricia Veterinaria).

Non aggiungiamo altro. La “cuenta”, accompagnata da un trespolo arredato con frutta essiccata al forno e piccola pasticceria, ci lascia piacevolmente sorpresi.

Non manco di salutare la brigata di cucina, le donne campane Martina e Simona Cuoco, il pisano Jacopo di  Carlo sous chef, Tessa Belmistieri di Firenze e l’atro lucano Filippo di Buono.

Questo è un posto,…il posto..direi, dove oggi ho sorriso , e,  a far pendant con gli onnipresenti  cruschi di Vitantonio, ringrazierò  a lungo i miei fagioli lainesi Poverelli Bianchi del Pollino  (..macché  di Rotonda),  grazie ai quali, ancora una volta, mi sono portato sulle ali di una bella, oramai quasi terminata,  autostrada Salerno Reggio Calabria, complice inconsapevole di questa felice fotografia dell’anima gastronomica meridionale .

di Michele Polignieri

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