Fare il tè: la Gaiwan.

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La Gaiwan (o il Gaiwan) è una tazza con coperchio e piattino. La parola Gaiwan significa alla lettera “tazza con coperchio”.

Nell’area dove si parla il cinese di Canton [Guangzhou] (e quindi non mandarino che è il più comune) viene anche chiamata Cha Chung o Zhong.
La sua invenzione risale all’epoca Ming (1368-1644).
In alcuni casi viene datata proprio intorno al 1370 come prima diffusione, ma su tale dato non vi sono fonti attendibili e precise.
Prima di tale epoca la tazza adoperata per le infusioni e il consumo di tè era la normale tazza (anche se più grande) nella quale si beve il tè odiernamente.
Una sorta di via di mezzo tra le Ghaizì (le piccole tazzine cinesi) e la Chawan (la tazza cerimoniale giapponese del Cha No Yu).
Via via nel corso del tempo le sue dimensioni si sono ridotte sempre più e non è difficile reperirne sul mercato da 10 cl. (4 ghaizì).
Di tale uso precedente se ne trova traccia scritta nel Chajing (Il Canone Sacro del tè) di Lu Yu del 780d.C. del quale, con qualche difficoltà si trova anche un’eccellente traduzione italiana (Marco Ceresa – La scoperta dell’acqua).
L’aggiunta del manico della tazzina è sempre di tale periodo ma verso il finire della dinastia e ad opera della figlia di un commerciante di porcellane cinesi che la fece aggiungere per non scottarsi le dita con la tazza.
Di qui la nascita delle tazzine con il manico e il piattino, dove, inizialmente quest’ultimo aveva la funzione non di evitare di bagnare la superficie sulla quale poggiava la tazza ma quella di fare da strumento per sorseggiare la bevanda.
Di tale uso, che oggi farebbe storcere il naso ai più non fosse altro che per la poca eleganza che oggi rappresenta la cosa, ve ne è traccia in alcuni quadri anche recenti a testimonianza di come sino agli inizi del secolo scorso, versare tè o caffè dalla tazza nel piattino e berlo da questo fosse prassi comune e benaccetta. In questo dipinto di Kustodiev, pittore russo operante artisticamente tra la fine dell’ottocento e i primi anni del novecento, dal nome “La Mercantessa” si vede chiaramente tale modalità di beva del tè.

L’uso della Gaiwan è abbastanza semplice anche se nel corso del tempo ha avuto molte applicazioni.
Di porcellana, di terracotta o di vetro ha la funzione di infusore dal quale si beve direttamente mantenendo con una mano il piattino e con l’altra il coperchio sulla tazza in modo da lasciare un piccolo spiraglio che non lasci passare le foglie ma solo il liquore, o anche come infusore-teiera dal quale si versa o in un piccolo bricchetto o direttamente nelle piccole tazze cinesi (ghaizì).
E’ particolarmente adoperata per gli oolong (o wulong) e i neri, ma se adoperata con sapienza si presta all’uso con qualsiasi tipologia di tè.

Esistono ovviamente delle regole ben precise per una buona infusione che dia un tè degno di tale nome.
Le foglie (in genere una quantità non superiore a un quarto della tazza) vanno poste sul fondo e vi si versa acqua bollente facendo attenzione a non farla cadere direttamente sulle foglie ma lasciandola scorrere su queste dalle pareti della tazza (che personalmente consigliamo di preriscaldare sempre).
Dopo una decina di secondi il liquore ottenuto va buttato via e vanno annusate le foglie bagnate onde appagarsi con la fragranza che sprigionano.
A seguire, con la stessa modalità, si procede all’infusione.
In Cina le infusioni sono brevi e continue anche se il liquore non viene mai consumato tutto, lasciandolo in minima parte, all’interno della Gaiwan.
Con tale modalità si ottiene una continua diluizione del liquore precedente e una parziale infusione. Tale modalità di estrazione del liquore influenzò non poco idee innovative nel campo degli strumenti del tè come avvenne per il Samovar russo, dove a un concentrato posto in una piccola teiera dosato nelle tazze a piacere e gusto personale, si aggiunge acqua bollente dall’apposito bollitore.

La Gaiwan, in sintesi, è la madre di tutti i sistemi odiernamente conosciuti per l’infusione del tè.
Da quando l’adopero ho abbandonato la teiera.
Gli aromi e i sentori del tè sono più concentrati e persistenti e l’infusione è molto più avvincente.

di Giuseppe Gix Musella
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