Gattinara, se vuoi trasgredire!

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I grandi uomini bisogna cercarli con il lanternino, come faceva Diogene con Alessandro Magno.

Un po’ come si fa ancora oggi con le rane nelle serate estive. Quando le giornate sono particolarmente afose e calde, i ragazzi si radunano verso sera intorno ai circoli e ai bar dei paesi fra le risaie della bassa vercellese-novarese, sperando in un raduno improvviso di nuvole rinfrescanti. Se scroscia la pioggia, si salta in moto e in auto e via…. sulle strade più deserte in mezzo alle risaie, dove le rane saltano dall’acqua sull’asfalto e si fermano incantate davanti alle luci dei fari, delle lanterne, delle torce elettriche, per finire nei secchi degli intraprendenti giovanotti e poi in grossi padelloni, sbucciate e impanate dalle loro mamme, meglio ancora dalle più esperte nonne.
Vita sana all’aria aperta, in una natura che favorisce le compagnie, i gruppi, le bande. Quando ti scappa non si è mai soli. Meno il ladro e la spia sono tutti in fila a gareggiare a chi la spara più lontano. Tutte le colline moreniche intorno al Sesia, come quella del Castello di San Lorenzo e quella con la Torre delle Castelle che dall’XI secolo domina Gattinara con la bella vista sul ponte di Prato Sesia e su tutto l’arco delle Alpi intorno al Monte Rosa, sono lambite da queste vivacizzate risaie e osservano queste allegre scorribande con un po’ d’invidia per via delle luci delle lanterne da ricerca.

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Una volta queste lanterne si trovavano in mano anche ai grandi ricercatori e descrittori del buon vino, del suo ambiente e della sua gente, personaggi a cui dobbiamo gratitudine per aver dato grande risalto ai superbi e austeri vini dei più prestigiosi ceppi di nebbiolo (detto localmente spanna) e delle grandi selezioni delle sue uve con il concorso anche di vespolina e di bonarda, dal colore rosso granato tendente all’aranciato e dall’intenso profumo di viola, specialmente se molto invecchiati, con quel sapore asciutto e armonico su un fondo di goudron caratteristicamente amarognolo.
Quanto di meglio si possa bere con le locali carni di selvaggina da pelo e di asino, i primi piatti con sugo d’arrosto e le grigliate ma anche capretto arrosto, camoscio e formaggi a pasta dura, cioè sua maestà il Gattinara. Vino maschio dal corpo pieno, caldo, vellutato, fatto di nebbiolo in purezza oppure con l’apporto di poca uva vespolina (massimo 4%) e/o uva rara (bonarda di Gattinara), purché insieme non superino il 10% del totale delle uve che devono assicurare un titolo naturale di alcool minimo di 12 gradi (per le Riserve il 12,5%).
Le condizioni ambientali e di coltivazione dei vigneti, i sesti d’impianto e i sistemi di potatura sono quelli assolutamente tradizionali del luogo per conferire alle uve specifiche caratteristiche di qualità e sono idonei soltanto i dossi collinari soleggiati, ma sono esclusi i terreni pianeggianti, umidi e di fondo valle. Resa massima d’uva 80 quintali per ettaro, ma la Regione Piemonte può ulteriormente ridurla con proprio decreto prima della vendemmia, sentito il parere delle associazioni di categoria. La resa dell’uva in vino non deve superare il 70% all’inizio e il 65% alla fine del periodo d’invecchiamento obbligatorio.
La vinificazione e l’invecchiamento obbligatorio avvengono nel territorio del comune di Gattinara (salvo ditte autorizzate dal Ministero che già vinificavano il Gattinara prima del luglio 1953 nei comuni limitrofi o vicini) per almeno 35 mesi di cui 24 in botte di legno (47 mesi per le Riserve, di cui 36 in botte di legno) dal primo giorno di novembre dell’anno di vendemmia del vino principale. Nelle annate sfavorevoli è consentita l’aggiunta a scopo migliorativo fino al 20% di Gattinara identici più giovani o più vecchi.
Il tenore alcolico finale del vino è di almeno il 12,5% (per le Riserve il 13%), l’acidità minima 4,5 g/l (per le Riserve 5,0) e l’estratto secco minimo 20 g/l (per le Riserve 22,0), anche se il Ministero ha la facoltà di modificare per decreto questi ultimi due requisiti.

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Con questi attributi, la tipicità, l’armonia e la finezza del Gattinara sono perfettamente a proprio agio con il gusto dei profondi conoscitori dei grandi vini piemontesi, che sanno distinguere la tradizionale nota di goudron nei profumi del vino invecchiato in grandi botti (da 20 a 50 ettolitri) dalle note leggermente speziate di vaniglia e dal colore più rubino e intenso del vino invecchiato nelle barrique che sono dieci o venti volte più piccole. La bottiglia va stappata almeno un’ora prima, ma è consigliabile mezz’ora per ogni anno d’età.
Autentico gioiello dell’enologia tradizionale, amante della tipicità e ancorato a valori inestimabili che si tramandano di generazione in generazione, il Gattinara è un vino da degustare in ottima compagnia e senza nessuna fretta, ma proprio nessuna. Pur centellinandone con grande ammirazione ogni sorso, che riporta alla memoria tanti bei momenti e invita al dialogo e a filosofare perché la sua forza è soprattutto nel calore che infonde all’animo, non si riesce a fare a meno di farsi catturare dalla civiltà contadina di cui è espressione autentica e passionale. Vuol far l’amore sulla tavola con gli altri prodotti campagnoli di nobiltà riconosciuta, dalla cacciagione agli arrosti delle succulente carni piemontesi e se non si è in una trattoria tipica della zona (valgono tutte almeno una gita per l’indimenticabile piacere che infondono) sarebbero guai. Richiamerebbe formaggi, affettati, assaggini, anche con le castagne arrosto si perderebbe pur di assecondare l’appetito che scatena, ma anche la curiosità che suscita per i profumatissimi prodotti locali.
Non è vino da contemplazione, va detto chiaramente, anzi lascia volentieri ai suoi eterei cugini dell’albese un compito tanto delicato. Lui no, lui si tuffa elegantemente burbero qual’è nel pieno della bisboccia, è vino da sorriso, da compiacimento, in fondo i ragazzi di quelle zone li ha allevati lui e si bea di giovani compagnie e di bellissime donne. Vino d’amore senz’altro, consigliabile soprattutto dove non c’è perché lo riporta, ma dove c’è lo vivifica con una semplicità pari all’ambiente in cui è vissuto e alla gente che lo ha vinificato con tante cure, molta saggezza e senza grilli per la testa.

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Di Gattinara ultimamente se ne trova poco sui libri, sulle riviste e anche nelle liste dei vini più premiati e c’è una ragione. Non è vino da chiacchiere. È tanto sodo che rifugge l’esser messo in mostra, è umile e non ama il chiasso. Preferisce piuttosto il braccio di ferro con i vini pluridecorati dai salotti che contano nelle grandi città.
Una volta c’era l’abitudine di esporre sopra i mobili le bottiglie vecchie, con etichette che diventavano scure e accumulavano polvere, spesso un cartellino recava la scritta che la merce esposta non era in vendita.
Il vino, infatti, non va conservato con la bottiglia in piedi, dove ristagna l’aria calda e la luce lo irrita. L’oste ci teneva molto a soddisfare il cliente e quelle bottiglie esposte difficilmente servivano allo scopo.
Ma nelle serate dove i canti non si fermavano più e il freddo sconsigliava di uscire anche solo per… innaffiare le erbacce sul ciglio della strada, figurarsi andare a tirar su dalla cantina qualcosa di buono specialmente se tutti ormai erano un po’ troppo su di giri! Ecco che l’oste, provocato ad arte da qualche sfacciatello, metteva una brava sedia sotto il mobile e saliva con la mano a riportare nel mondo dei vivi anche una o due di quelle impolverate bottiglie. Non mancavano le candele né le caraffe per decantare, e se il tappo aveva retto in quelle assurde condizioni, forse il vino non era proprio tanto imbevibile e si poteva tentare di mandarlo degnamente in pensione. Ho visto buttare nel lavandino diversi nobili vini che avevano subito tanti maltrattamenti.

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Ma di Gattinara, credetemi, non me ne ricordo proprio, anzi no, una volta è successo, ma quel vino era stato imbottigliato da un commerciante molto noto dall’altra parte del Sesia quando ancora non c’era una metodologia dei controlli combinata (sistematica e a campione) nell’arco dell’intera filiera produttiva (viticoltura, elaborazione, confezionamento) che oggi viene espletata nel rispetto di un predeterminato piano dei controlli stabilito dal Ministero e conforme al modello approvato con il DM 14 giugno 2012, pubblicato in G.U. n. 150 del 29.06.2012.
Sono prove serie, i difetti si riconoscono tutti e vini sinceri come il Gattinara possono competere negli anni.
Cambiano molto da giovani ad adulti e il periodo ottimale è in genere intorno ai nove o dieci anni, ma ci sono delle eccezioni che ho personalmente avuto il piacere di verificare con gli amici più stretti (perché il Gattinara è un vino da amici veri), assaggiando vini nati prima di me. Qualcuno l’ho anche ritappato dopo aver svuotato metà bottiglia, appiccicandoci una mia etichetta con la data dell’assaggio e della ritappatura. Si dice che i ”culattoni” (da ”culatta”, cioè la parte bassa della bottiglia o di un proiettile da cannone).
Qualche Gattinara dei produttori maggiormente reperibili sul mercato (ma cercatene anche altri): i cru
Osso San Grato di Antoniolo, vigneto Valferana di Bianchi, vigna Molsino di Nervi, Monsecco di Zanetta, Pietro di Paride Iaretti, Cesare di Anzivino, Tre Vigne di Travaglini, Il Putto di Cantina Del Signore, Rusèt di La Stradina, Galizja de Il Chiosso e poi i DOCG di Torraccia del Piantavigna, cantine Vallana, Petterino, Vegis, Caligaris.

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