Ho parlato a una capra
- diTestadiGola
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Non manca molto, poco più di tre mesi, prima che questo splendido becco entri in stalla ad accendere il calore tra le sessanta capre che Maria Chiara Onida cura giorno per giorno da quasi trent’anni, sulle prime alture di Ruino, nell’Oltrepò Pavese.
Località e azienda agricola condividono lo stesso nome, il Boscasso, che dal 1988 è passato dall’essere toponimo a sinonimo di eccellenza nella produzione casearia caprina.
Di becchi in realtà ce ne sono sempre tre, e tra le capre ce ne sono sedici primipare, in base a precisi parametri attraverso i quali Maria Chiara mantiene costante la qualità della vita, e quindi del latte, delle sue splendide capre.
Camosciate delle Alpi, tra le più resistenti e duttili tra le capre tipiche dell’arco alpino, queste meravigliose creature fanno almeno due ore al giorno di pascolo e sono incredibilmente produttive, tanto che perfino negli ultimi giorni prima dell’asciutta continuano a regalare fino a due terzi del latte che normalmente producono d’estate.
E con il latte a crudo, Maria Chiara crea i suoi formaggi, a fermentazione lattica o presamica, che da decenni ormai costituiscono la punta più alta dell’arte casearia caprina.
Farle visita vuol dire conoscere da vicino, una ad una, nome per nome, le sue sessanta amiche e assaggiare appena munto il loro delicatissimo latte, chiacchierare con lei e cogliere, nella stessa docilità del suo viso, i lampi di fierezza necessari per tirar su un’impresa come questa, per di più creata in un’epoca nella quale andarsene in campagna non faceva affatto tendenza ma era vista come una fuga idealista.
E soprattutto, farsi accogliere dalla sua calda ospitalità e avere il piacere di assaggiare una cucina solidamente appoggiata su ingredienti la cui verità si trasferisce nei piatti e arriva al palato, boccone dopo boccone.
La tartina tiepida con tronchetto al carbone e noci, cipolline in agrodolce e insalatina dell’orto testimonia l’intenzione di non limitarsi a far assaggiare le bontà locali, ma di acconciarle in una forma che ne guidi la degustazione, fino a trasformarsi in un’idea culinaria equilibrata, qualcosa che è già un piatto ma che non ha perso la peculiarità dei suoi elementi.
Da Montù Beccaria – poco più di mezz’ora di macchina da qui – arrivano i vini crudeli di Andi Fausto (che siamo andati a trovare di persona), crudeli nel senso vero del termine, che nulla concedono alle mode e nemmeno al gusto corrente – spesso guidato in modo occulto da chi manovra il mercato – ma che sono come sono perché è innanzitutto la terra, il vigneto e le condizioni ambientali a determinarne le caratteristiche, anno dopo anno.
Guai però a semplificare questi vini nel concetto banalizzante del vino del contadino, solo per la voglia di affibbiare etichette: Andi Fausto non fa uscire indenne dal suo severo giudizio una sola delle sue bottiglie, inseguendo un obiettivo impopolare, per niente democratico e volutamente antipatico: fare un vino che sia la migliore sintesi tra le condizioni ambientali, le rese e le peculiarità dei vigneti, garantendo la sostenibilità totale della produzione, in barba a qualsiasi etichettatura, classificazione e criterio enologico o peggio ancora da degustazione.
Allora, non esiste disciplinare che tenga, tutto è da riscrivere perché tutto è falsato da logiche che nulla hanno a che fare con la terra, dalle gradazioni alcoliche – che in natura sono sempre molto più elevate di quanto consentito dai disciplinari – al modo di gestire la vigna – con trattamenti legali che però spesso fanno solo male alle piante – da vitigni che sarebbe meglio estirpare perché non autoctoni e quindi strumenti di una degenerazione ambientale, a parametri da ribaltare – zero solfiti aggiunti, quando le piante sane di solfiti naturali ne producono ben oltre il consentito dalla legge, salvo poi esaurirsi una volta completata la loro funzione antibatterica – il tutto narrato da un uomo dagli occhi accesi di passione zelante e voglia di risistemare il disastro ambientale che stiamo lasciando ai nostri figli.
Maria Chiara Onida non è da meno, in fatto di coscienza ambientale, anche nella scelta di quegli ingredienti che non sono sotto il suo diretto controllo.
Lo testimoniano questi fantastici tagliolini di grano duro Senatore Cappelli alle ortiche, fatti dall’Azienda Agricola Orlandini, che lavora in biologico nella salvaguardia di varietà di frumento storiche e dagli altissimi valori nutrizionali, tagliolini completati da porro, carote, piselli e naturalmente riccioli di tomino stagionato di casa.
Atteso, arriva il tagliere con la degustazione dei tesori del Boscasso, ma assolutamente imprevedibile la qualità e la piacevolezza dei singoli formaggi.
Si va dal tronchetto al carbone vegetale, passando per una forma a crosta lavata, che la confettura di pomodori verdi è capace di esaltare al massimo.
Originalità ed estro nelle tome al pepe verde a ai semi di finocchio, prima dei formaggi più pastosi, come il cuore e il magnifico caprino in foglie di castagno che, assieme allo spicchio di blu, trovano armonica compagnia nella confettura di zucca.
La tarda primavera ci mette il suo, a rendere questo scorcio di colline dell‘Oltrepò ancora più vero, a fare da richiamo a un’ indole tutta umana, quella di ritrovarsi in sintonia con l’erba e gli animali, con il silenzio e la sincerità.
Da trent’anni la voglia e il sorriso di Maria Chiara Onida sono più che mai accesi qui al Boscasso, e dall’Oltrepò Pavese, ancora una volta ci arriva un monito e un invito a fare della terra quel paradiso che, pur perduto, è ancora possibile ritrovare.
Azienda Agricola Il Boscasso
Loc. Boscasso 1
27040 – Ruino (PV)
tel. 0385 955906
di Sergio Cima
1 thoughts on “Ho parlato a una capra”
Chiara la conosco bene (sono della zona), merita ogni parola, ma i complimenti li faccio soprattutto a chi ha scritto il pezzo, perfetto. Non si può descrivere meglio sia le persone che l’atmosfera. Io che ci sono stato tante volte a rileggerlo quasi mi commuovo. Sembra di essere lì.
Bello
Non posso fare a meno di commentare
Grazie