I giovedì di QB: La mostra mercato del Bitto a Morbegno in Valtellina
- Fabiana Romanutti
- Ti potrebbe interessare Autori, Cibo e tradizioni, Foodnews ed eventi, I giovedì di Q.B., Nel carrello, News
La mostra mercato del Bitto a Morbegno in Valtellina.
Appuntamento storico giunto alla 116ª edizione.
Sabato 14 e domenica 15 ottobre 2023 si festeggia il bitto, formaggio DOP re della valle, prodotto esclusivamente in alpeggio durante la stagione estiva.
Il Concorso organizzato dal CTCB (Consorzio Tutela Formaggi Valtellina Casera e Bitto DOP) premierà le migliori forme di Bitto DOP, Valtellina Casera DOP, Scimudin e formaggio Latteria di varie stagionature.
Un concorso che è diventato memoria festosa dei tempi in cui i casari scendevano a valle con le vacche e con il prezioso carico di forme prodotte nella bella stagione per venderle o scambiarle con altri generi alimentari, preparando così le scorte alimentari per il lungo inverno che sarebbe di lì a poco iniziato.
Nell’edizione 2023 doppio appuntamento, infatti in contemporanea si svolge “Morbegno in Cantina”, la manifestazione dedicata ai Vini DOC e DOCG di Valtellina in abbinamento ai piatti della tradizione valtellinese.
Iniziative collaterali con “Borghi di gusto” ad Albaredo, nelle Valli in cui il Bitto sembra essere nato e ancora oggi viene prodotto, e poi nei piccoli centri rurali di Mello, Traona e Dubino lungo la Costiera dei Cech.
Negli chiostri del Convento si terranno le originali degustazioni “Cheese Experience”, in cui gli abbinamenti saranno inediti accostamenti di sapori ma anche di musica e performance interattive e, tra tutte, “Bitto in movie” con un originale sposalizio tra storie di formaggi e colonne sonore dei film. FB e Ig: @mostradelbitto
Il Bitto visto da vicino
Il bitto è un formaggio di latte crudo fatto sulle Prealpi Orobie, in una zona dove si incontrano le province di Sondrio, Bergamo e Lecco: sono le Valli del Bitto, con la Val Gerola al primo posto. Si produce con latte di vacca appena munto a cui si aggiunge una percentuale, inferiore al 20 %, di latte di capra orobica.
Il Consorzio Salvaguardia Bitto Storico ha una sua casera di stagionatura a Gerola Alta, dove si può acquistare bitto con stagionatura anche di 10 anni. Un abbinamento classico, ce lo consiglia Mauro Giacomo Bertolli, è di mangiarlo in purezza con un bicchiere di Sforzato, lo straordinario passito secco valtellinese, ottenuto da uve nebbiolo del biotipo locale chiavennasca.
Molti lo pensano ingrediente importante per i pizzoccheri, ma questo è un grosso errore: si deve usare la Casera.
Un utilizzo originale è quello che propone l’amica Anna Bertola del ristorante Altavilla di Bianzone: un tortellone fatto con pasta sfoglia sottile, ripieno di funghi porcini, servito su fonduta di bitto.
La storia del Bitto
Condividiamo le informazioni che ci ha fornito alcuni anni fa Mauro Giacolo Bertolli in un articolo pubblicato su qbquantobasta.
È al popolo dei Celti che dobbiamo la tecnica di lavorazione del Bitto: scacciati dalla pianura si rifugiarono in Valtellina e si dedicarono alla produzione di formaggi. Furono i Celti i primi ad allevare nella stagione estiva gli animali da latte negli alpeggi e a trasformare in formaggio il latte prodotto. Il nome “Bitto” si pensa derivi da Bitu, che probabilmente significava “perenne”, proprio per indicare la lunga durata che può avere questo formaggio.
Del Bitto parla Ortensio Lando (1510-1558), noto umanista, che nella sua opera Commentario de le piu notabili, & mostruose cose d’Italia, & altri luoghi, di lingua aramea in italiana tradotto, nel quale s’impara, & prendesi estremo piacere. Vi si e poi aggionto un breue catalogo de gli inuentori de le cose che si mangiano, & si beuono, nuouamente ritrouato, & da messer anonymo di Vtopia composto dice testualmente: “Non ti scordar…..il cacio di Melengo (Valmalenco) et della valle del Bitto…”.
Il Bitto Storico, Presidio Slow Food, si produce solo nei mesi estivi in alpeggio, con latte di vacche di razza bruno alpina e di capre orobiche, nutrite solo dal pascolo alpino. Due mungiture al giorno e lavorazione del latte immediata.
Dove? Nel calecc, un caseificio d’alpeggio, una sorta di baita senza tetto, coperta da un telone, in cui vi è la culdera, un grande paiolo in rame a forma di campana rovesciata. Il latte è lavorato sul posto per evitare sia alterazioni da trasporto sia contaminazioni batteriche.
Viene riscaldato fino alla temperatura di 35-37 °C, poi, tolta la “culdera” dal fuoco, si aggiunge il caglio di vitello per far coagulare il latte, ottenendo così la cagliata. Questa viene rotta con lo “spìgn”, un bastone in legno con fili metallici alle estremità. Si arriva a pezzettini grandi come un chicco di riso. A questo punto la “culdera” viene rimessa sul fuoco e in un paio d’ore portata alla temperatura finale di 50-52 °C. Il casaro estrae la pasta di formaggio con un telo in lino e la va a pressare nelle fascere in legno circolari di diametro regolabile, intorno ai 50 cm.
Dopo la formatura e la salatura a secco, il formaggio deve maturare per almeno 70 giorni, ma questa fase può durare anche 10 anni e oltre.
Tutti gli attrezzi usati sono in legno: i casari sono concordi nel dire che solo così si conservano le peculiarità di ogni alpeggio.
Friulana di nascita, triestina di adozione. Quanto basta per conoscere da vicino la realtà di una regione dal nome doppio, Friuli e Venezia Giulia. Di un’età tale da poter considerare la cucina della memoria come la cucina concreta della sua infanzia, ma curiosa quanto basta per lasciarsi affascinare da tutte le nuove proposte gourmettare. Studi di
filosofia e di storia l’hanno spinta all’approfondimento e della divulgazione. Lettrice accanita quanto basta da scoprire nei libri la seduzione di piatti e ricette. Infine ha deciso di fare un giornale che racconti quello che a lei piacerebbe leggere. Così è nato q.b. Quanto basta, appunto.