I Percebes e il racconto del loro costo
- Giustino Catalano
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Una storia di crostacei orrendi e valorosi “cavalieri del mare”
Di Giustino Catalano
I percebes sono dei crostacei dalla forma poco accattivante che ricorda un artiglio di un grosso volatile o di un animale preistorico e che vivono attaccati alle costiere dell’atlantico e del pacifico.
I più apprezzati di tutti sono pescati sulle affilatissime e scoscese scogliere delle coste della Galizia, in Spagna, dove degli uomini coraggiosissimi, seguendo una tradizione di famiglia plurisecolare, tenuti da una fune e con solo un ferro a spatola, appesi lungo la scogliera, talvolta a testa in giù, rischiano la vita con onde alte fino a 9 metri. Questa è la pesca dei percebes su quella che in Galizia è conosciuta come la Costa de la Muerte.
Recita una canzone dei percebeiros: “Aquí traigo este relato y escùchenme, companeros, de la batalla que libramosen Cedeira los percebeiros” (Qui porto questa storia e ascoltatemi, compagni, della battaglia che i percebeiros hanno combattuto a Cedeira)
Un kg di questi crostacei che hanno la consistenza del gambero e il sapore dei molluschi e del mare può arrivare a costare il triplo di un’aragosta e tali prezzi danno da vivere alle famiglie di questi coraggiosi.
Se non li reperite freschi sul mercato li potete acquistare già puliti in acqua di mare al naturale. Una scatola da 6-8 pezzi lavorata direttamente a Cedeira può costare anche 30 euro.
Ma capiamone di più.
I Percebes sono dei crostacei cirripedi che grazie alla loro parte ciliare ad ogni onda del mare muovono le ciglia catturando microrganismi dei quali si nutrono.
Il loro valore, decisamente alto sia per la difficoltà di pesca che per le quantità pescate, varia anche a seconda della dimensione che si misura in pezzi per chilogrammo. 40 pezzi per kg costano decisamente molto meno di 10 per kg.
Si tenga conto che in taluni casi dai 7-8 centimetri di lunghezza si possono anche pescare esemplari di 30 centimetri e oltre.
La dimensione dipende dalla loro difficoltà di “cattura” e dal coraggio dei Percebeiros che rischiano la vita per pescarli. Quando si riescono a prendere, in quei 15 giorni di maree basse (si badi: non di mare calmo, perché si pesca anche durante le mareggiate) si garantisce un elevatissimo introito alla famiglia.
Ed è qui, oltre che nella tradizione familiare, la capacità e volontà di rischiare che hanno questi uomini.
Ma non si pensi a degli scapestrati, anche se tra i più giovani è indubbio ve ne siano, ma piuttosto a dei grandi professionisti di questa pesca, in grado di valutare con elevata capacità la portata delle onde, la violenza delle risacche e l’esatto andamento con il quale un muro d’acqua si infrangerà.
I Percebeiros, per meglio far comprendere che il coraggio è la minore delle componenti, sono soliti dire “De los valente son llenos los cimitero” (dei coraggiosi i cimiteri sono pieni).
Come si mangiano?
Molti li mangiano crudi e personalmente li ho mangiati così. E mi sono piaciuti particolarmente.
Ma il consiglio di molti è di farli cuocere giusto un minuto in acqua bollente per poi liberarne il frutto e mangiarlo condito con olio e prezzemolo o aiolì.
Vanno consumati come le ostriche (non più di una mezza dozzina) per apprezzarli e come il sushi (non quello “all you can eat”) perché come quello sono “cibo della mente”, come direbbe un orientale.
Di formazione classica sono approdato al cibo per testa e per gola sin dall’infanzia. Un giorno, poi, a diciannove anni è scattata una molla improvvisa e mi sono ritrovato sempre con maggior impegno a provare prodotti, ad approfondire argomenti e categorie merceologiche, a conoscere produttori e ristoratori.
Da questo mondo ho appreso molte cose ma più di ogni altra che esiste il cibo di qualità e il cibo spazzatura e che il secondo spesso si mistifica fin troppo bene nel primo.
Infinitamente curioso cerco sempre qualcosa che mi dia quell’emozione che il cibo dovrebbe dare ad ognuno di noi, quel concetto o idea che dovrebbe essere ben leggibile dietro ogni piatto, quella produzione ormai dimenticata o sconosciuta.
Quando ho immaginato questo sito non l’ho pensato per soddisfare un mio desiderio di visibilità ma per creare un contenitore di idee dove tutti coloro che avevano piacere di parteciparvi potessero apportare, secondo le proprie possibilità e conoscenze, un contributo alla conoscenza del cibo. Spero di esservi riuscito.
Il mio è un viaggio continuo che ho consapevolezza non terminerà mai. Ma è il viaggio più bello che potessi fare.