Il menu: guida critica tra efficacia e peccati capitali
Il menu: guida critica tra efficacia e peccati capitali
Se si chiedesse ad un cliente come vorrebbe fosse un menu finiremmo per scrivere un’enciclopedia con le serie conseguenze che ben immaginiamo.
Ma spesso a sbagliare è anche il ristoratore (meno il cuoco va detto) che nel timore di avere un’offerta troppo stringata e non attrarre clienti si lascia andare in ciclopiche liste con grandi difficoltà della cucina nella gestione degli ordini, di preparazione della linea, di conservazione dei prodotti trasformati, ecc.
Non da meno la grande scelta, pardon eccessiva se la vogliamo inquadrare bene, non genera solo problematiche alla cucina ma anche sensibili riverberi sui costi di gestione che aumentano in ragione della lista della spesa più grande e del costo della materia prima stoccata.
Da queste prime, se si vuole banali, premesse si evince che menu di un ristorante è ben più di una semplice lista di piatti.
È lo strumento principale per comunicare con i clienti, sedurli con le parole e indurli a compiere un’azione: ordinare.
Un menu ben congegnato è come (mi si lasci passare il termine) un’opera d’arte, capace di stuzzicare l’appetito, incuriosire e persino raccontare una storia.
Al contrario, un menu mal concepito può confondere, deludere e persino far perdere clienti.
Un menu efficace rispecchia l’anima del locale, la sua filosofia culinaria e l’atmosfera che si respira al suo interno.
Deve assolutamente essere coerente con il tipo di ristorante, il target di riferimento e l’offerta gastronomica.
Un menu elegante e ricercato in un’osteria rustica stonerà come un abito da sera in un campo da calcio.
Allo stesso modo, un menu ricco di piatti esotici e ricercati in un ristorante familiare con cucina tradizionale risulterà pretenzioso e fuori luogo.
E quando mi riferisco al menu non parlo solo del contenuto, della proposta del locale per dirla in parole semplici, ma anche e soprattutto della forma, ossia di quella che io chiamo spesso l’Architettura del Gusto i cui due cardini imprescindibili sono sempre e restano a mio sommesso avviso la leggibilità e fluidità.
Il menu non è un labirinto da decifrare. E tantomeno l’elencazione del massimo reperibile sul territorio – si pensi alla chianina o al pistacchio di Bronte che farebbero della prima il più grande allevamento mondiale di bovini e della bella cittadina sicula una metropoli da far impallidire Tokyo e Città del Messico!
Il menu deve essere chiaro, ordinato e facile da consultare. Le sezioni devono essere ben delineate, con una suddivisione logica per antipasti, primi, secondi e dolci.
I piatti devono essere descritti in modo accurato e con un linguaggio invitante, evitando termini tecnici incomprensibili ai più (no a coulisse, jus e altri preziosismi che comprenderemmo solo tra noi addetti ai lavori). La gente mangia prima di ogni cosa.
La grafica deve essere curata, con un font leggibile, possibilmente unico e in tema con il logo del locale, e un layout che agevoli la lettura.
Evitare menu caotici, pieni di foto sgranate o descrizioni chilometriche che stancano il lettore e finiscono con il dare la sensazione di “vorrei ma non posso”.
Ricordate che il menu gioca con quella che si chiama “psicologia del desiderio”. Il menu ha lo scopo di “guadagnare l’appetito” del cliente. Guai a dimenticare questo aspetto cardine nella sua elaborazione.
Siamo una trattoria? Il cliente si aspetterà una cucina tipica. Siamo un ristorante di classe? Cotiche e fagioli, a meno che non le stravolgiamo nella forma e nell’aspetto, saranno fuori luogo.
Il menu è un invito al piacere, un’ode al gusto. Le descrizioni dei piatti devono stuzzicare l’appetito, usando un linguaggio evocativo e sensoriale. Raccontare la storia del piatto, la provenienza degli ingredienti e la passione del cuoco. Usare aggettivi che stimolano i sensi: cremoso, croccante, saporito, profumato. Evitare le banalità e gli stereotipi, come “delizioso”, “eccellente” o “speciale” che sono sostanzialmente pareri soggettivi.
Nodale, poi la politica dell’indicazione dei prezzi, ossia “l’economia del desiderio”. I prezzi devono essere chiari e trasparenti.
Il prezzo è una componente fondamentale della scelta del cliente.
I prezzi devono essere ben visibili, incolonnati a fianco di ogni piatto, senza sorprese finali.
Evitare stratagemmi come menu senza prezzi o prezzi aggiuntivi indicati in cifre piccole e nascoste.
La trasparenza è fondamentale per costruire un rapporto di fiducia con il cliente.
Detto ciò di conseguenza potremmo indicare quelli che sono i peccati capitali da evitare
Ecco, di conseguenza, un elenco di cose da evitare nella stesura di un menu:
Se si adoperano fave l’avviso del loro uso va dato con cartello alla porta per le persoone affette da “Favismo”.
Ultimo consiglio che sento di dare a tutti è quello di prevedere sempre un recupero degli scarti di lavorazione valorizzando piatti e abbassando il costo food del locale con uno scarto il più prossimo allo zero.
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