Il tarantiello: storia di una tradizione vesuviana
- Giustino Catalano
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Il tarantiello è un trancio di carne di tonno, ricavato dalla parte bassa dell’addome del pesce. Ha un sapore deciso e definito e la carne è morbida al palato.
Le origini del nome del Tarantiello sono riconducibili al ballo della tarantella e, dunque, alla città di Taranto.
Il capoluogo pugliese era famoso sin dall’antichità per le sue tonnare e per le ventresche di tonno che si ricavavano dal loro pescato.
Secondo alcuni, il tarantiello era la “spezia dei poveri” ed il consumo era da attribuire alle famiglie meno abbienti, che non potevano permettersi di acquistare il pesce fresco. Successivi studi però hanno dimostrato che il tarantiello era una pietanza diffusa anche tra i ceti più nobili. Diverse testimonianze infatti annoverano la sua presenza tra le portate di un banchetto offerto a Carlo V D’Asburgo.
La ricetta del tarantiello risale al ‘500 ed è attribuibile a Luigi Sada che ne racconta nel libro “Cucina pugliese dei poveri”. Secondo la ricetta la pancia del tonno va lavata, salata e disposta a strati in un barile dove deve riposare per circa un mese. Trascorso il tempo necessario, si lava e si mette ad asciugare al sole. A questo punto va pestata nel mortaio con chiodi di garofano, pepe in polvere e bucce di limone grattugiato, stemperando con vino bianco.
Il composto ottenuto, va riposto in una pentola con poca acqua per cuocerlo a fuoco lento sino ad ebollizione. Una volta raffreddato, va tagliato a fette e condito con origano, olio e aceto.
Oggi il consumo del tarantiello è calato notevolmente ma c’è un posto in Italia in cui ancora si può assaggiare questa prelibatezza. Il tarantiello è infatti una delle principali attrazioni della Fiera Vesuviana, la kermesse che si svolge a San Gennaro Vesuvio sin dal lontano 1613.
Il marchese Scipione Pignatelli trasformò in fiera, grazie alla collaborazione dei Frati Minori, l’annuale festa di San Gennaro che si svolgeva dinanzi alla chiesa medievale di San Januarius in Silvia, rendendola la più importante occasione di scambio commerciale nell’area vesuviana.
Un tempo gli avventori della fiera si accalcavano davanti ai banchi in cui veniva venduto il Tarantiello, sistemato in grandi tini di legno pieni di salamoia. Facevano grandi file per potersi accaparrare un po’ della saporita pancetta che veniva poi privata del sale e conservata nell’olio extravergine di oliva per poter essere utilizzata come una spezia saporita per aromatizzare diverse pietanze.
(photocredit copertina Made in Taranto)
Di formazione classica sono approdato al cibo per testa e per gola sin dall’infanzia. Un giorno, poi, a diciannove anni è scattata una molla improvvisa e mi sono ritrovato sempre con maggior impegno a provare prodotti, ad approfondire argomenti e categorie merceologiche, a conoscere produttori e ristoratori.
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