Il “tempo” in cucina. Un nemico nuovo da farsi amico

Il “tempo” in cucina. Un nemico nuovo da farsi amico

Il “tempo” in cucina. Un nemico nuovo da farsi amico.

Mentre riflettevo su come fosse cambiata davvero la vocazione di cucina negli anni mi è venuto da pensare a cosa avesse inferto alla ristorazione un colpo così ferale come quella della carenza del personale.

Tutto sinceramente è nato da una foto reperita in rete del grande Maestro Auguste Escoffier (padre della cucina moderna, “Cuoco dei re, re dei cuochi”) con tutta la sua mastodontica brigata. Excutive chef e Chef de partie, stuoli di Comì e così via in un esercito di uomini tutti fieri, taluni con i trincianti infilati nella cintola come pirati. Gente che lavorava per cucinare e non viceversa, lontani da copertine patinate, sponsorizzazioni, consulenze e video ricette (rivelare segreti… giammai!)

Certo erano altri tempi e in quei tempi forse il vero “motto” del tempo era il detto latino “il tempo è denaro”.

Chi svolgeva il “mestiere” (questo era poiché le professioni erano quelle come l’avvocato, il medico, il notaio ecc) di cuoco lo faceva per guadagnarsi la pagnotta e perché stare in cucina era bellissimo (“ ‘Cuoco’ che bella parola!” – Totò).

C’era la passione. E fino a 20 anni fa iscriversi all’Alberghiero non significava prendersi un diploma ma imparare il lavoro di cuoco.

Un primo vero stop lo hanno causato di certo i vari interventi sulla scuola e di conseguenza sugli Istituti alberghieri dove sull’indubbi necessità di rendere i nostri cuochi in grado di esprimersi meglio e parlare una lingua straniera si è cominciato a tagliare sulle ore di cucina pratica.

Via via l’introduzione di ulteriori materie, forse non tutte necessarie ai livelli di preparazione che vengono richiesti dai programmi e altre, mi sia permesso da padre di cuoco, assolutamente inutili hanno quasi azzerato il tempo di pratica che sarebbe stato necessario.

La differenza tra i vari indirizzi è divenuta minima e gli alberghieri hanno finito con il diventare il luogo dove non si andava a fare nulla o poco rispetto ad istituti rimasti ben saldi sui propri criteri e regole formative.

Il “tempo” si è paradossalmente accorciato nonostante le aspettative di vita siano cresciute di tanto.

I determinati chef dei tempi di Escoffier mai avrebbero pensato al tempo come un bene che si consumava.

Le giovani leve hanno invece iniziato a farlo nonostante si potesse ambire a più cose, a migliori retribuzioni, a maggiore visibilità con la propria professione (non più mestiere) di cuoco (pardon Chef).

Dove il “tempo” ha perso il suo originario valore per assumerne un altro?

Qui le risposte sarebbero tante ma io credo che tutto sia partito dalle famiglie. Dal modo di intendere la vita dei propri figli, custodendoli anche quando, ormai uomini e donne fatti, potevano andare da soli per la propria strada.

Oggi mi capita spesso di fare colloqui per conto di aziende che assumono in pieno rispetto dei contratti nazionali di lavoro e sentirmi chiedere se il sabato è libero o come prima domanda quando sono le ferie.

E si badi, la retribuzione c’entra poco o nulla.

Chi si pone così, ed è un buon 90% del totale, valuta questo lavoro solo come temporaneo in attesa di un posto fisso, anche in fabbrica se serve. Tanto a casa si può tornare.

Quanti di noi finito il percorso di studio o abbandonati gli studi si sono sentiti dire “adesso cercati un lavoro che qui senza far nulla non puoi stare?”

Oggi il mantra è opposto “se devi stancarti così tanto stattene a casa che qui non ti manca nulla”.

Il COVID poi è stata la mazzata finale alla cucina. Un colpo durissimo nell’anima dei nostri giovani che hanno dovuto saggiare in una situazione a dir poco “surreale” quanto fosse prezioso il tempo.

E’ finita la vocazione? Personalmente non credo. Ma sono fermamente convinto che il tempo vada assolutamente ripensato.

E che tale operazione vada fatta partendo anche da una profonda ristrutturazione delle cucine dove oggi è possibile riorganizzarsi e ridurre costi di personale con strumenti all’avanguardia.

La fortuna dei nostri tempi (e forse questa è anche una risposta al problema esistente) è che si può contare su macchinari che riducono notevolmente l’impiego di risorse umane professionalizzate.

Si pensi alle macchine pela patate, affetta cipolle, affetta latticini, tritatutto.

Ai forni multi-teglia con programmi differenziati che sostituiscono 1 o 2 aiuto cuochi anche.

Agli abbattitori, le macchine per cottura sottovuoto e tanto altro.

Investimenti importanti che prima o poi vengono ammortizzati e finiscono con il non aver nessun costo se non quello d’uso.

In sala compaiono simpatici robot e da lontano fa capolino AI con sempre migliori soluzioni che riducono uomini e tempo nella gestione di cucina.

Nelle pizzerie tutto è quasi pronto. Dallo stendi pasta al forno a tunnel.

E non è solo questione di tempo ma soprattutto di mentalità.

Benché il “tempo fugge” abbiamo i mezzi per sorpassarlo e staccarlo. Oggi l’organizzazione di cucina è soprattutto capacità imprenditoriale e manageriale.

Saper fare ricorso agli strumenti a disposizione significa anche ridurre il tempo e la sensazione di sacrificio che spesso accompagna l’idea di questo lavoro, scintillante in video e sui giornali, infernale nel luogo di svolgimento.

Una umanizzazione del tempo, un’organizzazione del tempo libero che tenga conto di un tempo da dedicare a sé stessi può tornare a rendere un lavoro appassionante quello del cuoco che ha di sicuro un futuro certo ma va ripensato e riorganizzato dalle sue fondamenta.

Ridurre il personale grazie a mezzi innovativi e ridurre il tempo di lavoro in maniera possibilmente sensibile per i lavoratori è l’unica strada per avere aziende sane ed operative.

 

 

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