Il tortellino. Storia di un prodotto con circa 1000 anni di storia.
- Giustino Catalano
- Ti potrebbe interessare Autori, Opinione, storia in cucina
Il tortellino, piatto tipico della cucina emiliana, deve il suo nome al diminutivo di tortello, dalla parola italiana torta.
Le prime tracce scritte del tortellino risalgono alla fine del XI secolo, con una pergamena del 1112 e una bolla di Papa Alessandro III del 1169.
“….togli capponi e lessali e quando siranno cotti con quelle spezie che tu vorrai, rompi in un catino con uova e brodo loro, e gitta farina con mescola forata sopra i detti capponi cotti; e tutto questo si gitti nel brodo e bolla un poco, e chiamasi brodo apolloccato”.
Così recita il testo di Salimbene da Adam che narra nel tredicesimo secolo di un brodo nel quale cuocere i “torteletti”. Di tale preparazione sicuramente preesistente al testo, però, manchiamo di descrizione se non una sommaria descrizione di un fagottino di pasta farcito di carne, salumi, uova, spezie, verdure e molto altro ancora.
In alcuni ricettari del 1300 viene descritta la preparazione dei “torteletti di enula” (pianta erbacea perenne, oggi dimenticata, ma all’epoca molto utilizzata), composti di formaggio, uova, lonza di maiale ed enula, cotti in brodo di cappone.
È interessante osservare che nella parte emiliana la carne, specie di maiale, grazie alla sua elevata disponibilità, era in uso comune nei ripieni, mentre nella parte romagnola, “la Romania”, come da tradizione romana, si utilizzavano i formaggi specie freschi. Da qui la più antica ricetta conosciuta (del XIV secolo) dei tortelli con la ricotta.
Il Trecento e il Quattrocento furono secoli d’oro gastronomicamente parlando del “torteletto”, che possiamo considerare a giusta ragione l’antenato del tortellino.
Ma non sempre piacquero!
Emblematico l’insuccesso che ebbero quelli preparati per le nozze della figlia di Giosuè Carducci, prendendo la ricetta da un antico codice del XIV secolo che recitava così: “Togli bronza di porco (lombata di maiale) ben cotta e parmigiano fresco passo e spezie dolci e dattari sminuzzati e uva passe e di queste cose fa tortelli”. Il ripieno molto tardo medioevale cozzò miseramente con i gusti dell’epoca ormai molto lontani da quelli e fu un disastro totale.
Eppure Maestro Martino nel 1518 aveva già mutato la ricetta indirizzandola verso quella che attualmente riconosciamo: “Togli la bronza (lombata di porco), lessala, battila, e togli cascio fresco, poche uova, spezie forti (noce moscata) e fa un battuto di queste cose. Empile li tortelli, falli cuocere in brodo di cappone o di qualunque (carne) e cascio e peverada (brodo ristretto aromatizzato con formaggio e pepe) per iscodelle”.
La ricetta di Maestro Martino è palesemente quella che ancora oggi rappresenta i tortellini e i cappelletti romagnoli seppur con qualche variante di servizio.
Sempre nel 1518 una ricetta anonima riporta di “ravioli in tempo di carne” con ripieno di “cacio vecchio”, carne di maiale, petti di pollo da cuocersi in brodo di cappone. Ma la vera nota importante di questa ricetta come fanno notare studiosi del tortellino è che poco innanzi si legge “questi ravioli non siano maggiori di mezza castagna” e, per i tempi di cottura, “lo spazio di tre Pater nostri”. Dimensioni e tempi di cottura seppur approssimativi.
Ma sui tempi a quest’epoca non era difficile trovare dicitura come “poni sul fuoco e dopo 3 giri di campo sarà cotto” prescindendo dal necessario dato di fornire le dimensioni del campo!!!
Ma la traccia di Maestro Martino non è un esempio dei tempi in quanto sempre in quell’epoca il coevo Cristoforo da Messisbugo, scrive la seguente ricetta: “tortelletti grassi a base di seguno” (cioè sego di bue), composti da carne, uova, cannella, uva passa e avvolti da una pasta all’uovo e zafferano, sempre cotti in un buon brodo grasso. Il tutto servito con formaggio, zucchero e cannella.
Il segno interessante di questa è il midollo di bue (sego) che comincia a comparire e delinea una traccia ulteriore verso la grande ricetta.
Le notizie dei secoli successivi sono frammentarie e poco interessanti se non per la descrizione del loro confezionamento che li riduce in dimensioni e gli dà la forma che più conosciamo.
Lascerà stupiti l’apprendere che Giuseppe Maria Mitelli nel celebre “Gioco novo di tutte le osterie di Bologna”, nel raccontare i piatti tipici delle 49 trattorie esistenti nel 1712 non menziona mai il tortellino!!
In sintesi nel 1712 a Bologna non erano un piatto tradizionale da servire nelle trattorie e osterie cittadine.
Per poterne avere traccia in quest’epoca va fatta ricerca nei monasteri ed è proprio in quello di S. Michele in Bosco che nel 1708 compare una “minestra di tortellini. Successivamente sempre nei menu monastici del 1700, sul suo finire, li ritroviamo assieme a un “pasticcio di tortellini” del quale si è purtroppo persa la ricetta originale
L’uso del midollo di bue nella farcia si deve Alberto Alvisi, cuoco del vescovo di Imola. E il suo uso si manterrà fino agli inizi del 1900 scomparendo poi se non nelle ricette dei “talebani” del prodotto.
La ricetta del ripieno che nel 1891 Pellegrino Artusi propone nel suo manuale “La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene” è composta da 30 grammi di prosciutto crudo, 20 grammi di mortadella, 60 grammi di midollo di bue, 60 grammi di parmigiano, un uovo e odore di noce moscata.
“Con questa dose ne farete poco meno di trecento, e ci vorrà una sfoglia di tre uova”.
La misura è però da considerarsi poco consona agli standard attuali che vogliono dei ripieni molto più ricchi e forse la dimostra la misura che già dal 1700 viene data pro capite di tortellini che oscilla tra i 40 e i 60!
A quest’epoca i tortellini erano acquistati a Piazza Maggiore in Bologna dove vi erano tante abilissime sfogline che li preparavano con approvazione del Legato Pontificio e dei Gonfalonieri alla cui tavola erano spesso serviti.
Oggi i tortellini sono il simbolo dell’Emilia Romagna con tutte le sue varianti di zona in zona.
Di formazione classica sono approdato al cibo per testa e per gola sin dall’infanzia. Un giorno, poi, a diciannove anni è scattata una molla improvvisa e mi sono ritrovato sempre con maggior impegno a provare prodotti, ad approfondire argomenti e categorie merceologiche, a conoscere produttori e ristoratori.
Da questo mondo ho appreso molte cose ma più di ogni altra che esiste il cibo di qualità e il cibo spazzatura e che il secondo spesso si mistifica fin troppo bene nel primo.
Infinitamente curioso cerco sempre qualcosa che mi dia quell’emozione che il cibo dovrebbe dare ad ognuno di noi, quel concetto o idea che dovrebbe essere ben leggibile dietro ogni piatto, quella produzione ormai dimenticata o sconosciuta.
Quando ho immaginato questo sito non l’ho pensato per soddisfare un mio desiderio di visibilità ma per creare un contenitore di idee dove tutti coloro che avevano piacere di parteciparvi potessero apportare, secondo le proprie possibilità e conoscenze, un contributo alla conoscenza del cibo. Spero di esservi riuscito.
Il mio è un viaggio continuo che ho consapevolezza non terminerà mai. Ma è il viaggio più bello che potessi fare.