La Bolla. Quando la mano del pizzaiolo non è solo aria. Simone De Gregorio e la sua maturità.
- Giustino Catalano
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La Bolla di Simone De Gregorio: di Giustino Catalano
Se si dovesse fare un giocoso parallelo con le fasi pittoriche picassiane sicuramente il giovane, e quasi padre in queste ore, Simone De Gregorio dopo il “periodo blu”, quello “rosa” e quello “africano” ora è decisamente giunto a quello del “cubismo analitico” dove la produttività si estrinseca in una maggiore ricerca delle geometrie del gusto su un impasto che convince ancora di più.
L’occasione di una visita a sorpresa, come nel mio stile, è stata quella della partenza del mio primogenito per i lidi livornesi dove svolgerà la sua stagione in qualità di cuoco in un resort.
Il locale dove Simone De Gregorio lavora oggi, che arriva dopo il periodo “rosa” (in tutti i sensi) e quello “africano” (anche qui in tutti i sensi – sic), è “La bolla” ed è ubicato nel pian terreno dell’Hotel Villa Maria Cristina, edificio con giardino e piscina di delicata bellezza nel centro di Caserta, al quale va mossa la sola osservazione di essere poco indicato da tabelle stradali.
Nelle sale al pian terreno del candido edificio dai tratti esterni in stile liberty e interni moderni e con giochi di luci e vetrate dall’impronta alla Fuksas, là dove sorgeva il Ristorante “Don Carlos” di una precedente gestione, si è saputo organizzare una sala che sia in estate che inverno gode dell’ampio respiro del verde retrostante e di un’idea di giardino d’inverno che ricorda gli spazi dei grandi hotel centroeuropei, trova oggi spazio la pizzeria e il ristorante.
Bella la grafica del logo, detto con sincerità da chi di mestiere comunica anche attraverso segni e pittogrammi.
Il menu, benché sintetico e ristretto, vittima in certo qual modo della ripresa post pandemica e della partenza di una nuova struttura che deve farsi conoscere su un territorio con grande concorrenza, è ben calibrato.
Chiedo a Simone, che è in fervente attesa dell’imminente arrivo di Mattia – suo primogenito -, di guidarmi lui attraverso un suo percorso esperienziale.
La partenza è tutt’altro che soft e tradizionale. Spicchio di fritta e ripassata in forno con pomodorini gialli, rossi e verdi e stracciata di bufala in uscita. L’impasto. E’ lì che c’è stato il primo cambiamento. Vincente l’abbinamento pomodori di differente gusto e consistenza con il lattaceo, fresco e al contempo sapido acidulo della stracciata.
Accompagniamo con un Asprinio di Aversa selezionato dalla Sommelier Maria De Rosa collega di corso ONAF e formata anche alla sala dopo molteplici esperienze. Un sicuro valore aggiunto al team del locale.
Si passa ad una margherita. Anche questa arrivata in spicchio ma dalla fattura tradizionale. Simone ha perso il cornicione da canottiere che aveva e ha saputo mediare tra le nuove (e quasi scomparse) tendenze e la pizza tradizionale napoletana. Del resto le sue prime esperienze ed approcci al lavoro partono dalla Capitale mondiale della pizza. Simone viene dalla gavetta fatta prima con lo scomparso don Giovanni Caretti che ai più giovani dirà ben poco e con Giovanni Kan Della Corte, proprietario del secessionista Rosso Pomodoro al Corso Vittorio Emanuele, presso Johnny Take Way ad Aversa. Lontani quindi ormai i tempi degli insegnamenti di Diego Vitagliano e della pizza canotto.
E’ poi la volta di “Orto a colori”. Una bellissima declinazione del vegetale attraverso differenti ortaggi e consistenze. Una pizza ragionata, calibrata, riflettuta.
“Forte e baccalà” è forse la sintesi di questo cambiamento e maturità. Baccalà delicatissimo abbinato a ‘nduja in un equilibrio dove il grasso del maiale del noto salume del Monte Poro quasi si fonde con quello del baccalà che ne conserva i grassi del ventre nelle carni.
E per finire? Elementare Watson! Una bombetta di pasta fritta con all’interno crema pasticciera e sormontata da un ciuffo di questa con su una buonissima amarena della nota ditta Fabbri.
Bello. Semplice e per nulla eccessivo. Notte trascorsa in piena serenità senza fastidi quali sete o pesantezza e gonfiore di stomaco.
A voler tracciare una linea di sintesi finale si può dire che il Simone De Gregorio di oggi ha trovato un suon centro di gravità, un equilibrio. Ha smesso di inseguire facili chimere e specchietti per le allodole e ha centrato in primis il suo lavoro sulla ricerca e sulla capacità di sintetizzare un viaggio ed un’emozione su un disco di pasta.
La paternità che è giunta proprio in queste ore nelle quali scrivo ha portato a Simone una grande maturità che come energia positiva si è incanalata nel suo lavoro. Mi è piaciuto tutto. Nessuna sbavatura. Peccato solo per quella segnaletica che non esiste e poco altro.
Auguri a Mattia De Gregorio. Lunga vita in salute e prosperità. Che presto porti al suo giovane padre un suo ultimo passo verso il “cubismo sintetico”.
Di formazione classica sono approdato al cibo per testa e per gola sin dall’infanzia. Un giorno, poi, a diciannove anni è scattata una molla improvvisa e mi sono ritrovato sempre con maggior impegno a provare prodotti, ad approfondire argomenti e categorie merceologiche, a conoscere produttori e ristoratori.
Da questo mondo ho appreso molte cose ma più di ogni altra che esiste il cibo di qualità e il cibo spazzatura e che il secondo spesso si mistifica fin troppo bene nel primo.
Infinitamente curioso cerco sempre qualcosa che mi dia quell’emozione che il cibo dovrebbe dare ad ognuno di noi, quel concetto o idea che dovrebbe essere ben leggibile dietro ogni piatto, quella produzione ormai dimenticata o sconosciuta.
Quando ho immaginato questo sito non l’ho pensato per soddisfare un mio desiderio di visibilità ma per creare un contenitore di idee dove tutti coloro che avevano piacere di parteciparvi potessero apportare, secondo le proprie possibilità e conoscenze, un contributo alla conoscenza del cibo. Spero di esservi riuscito.
Il mio è un viaggio continuo che ho consapevolezza non terminerà mai. Ma è il viaggio più bello che potessi fare.