La civiltà del vino di Cipro ha già compiuto 6.000 anni

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La civiltà del vino di Cipro ha già compiuto 6.000 anni

 

Un’isola che sa incantare davvero chi vi approda con paesaggi mozzafiato tra le pinete e le spiagge assolate, paesini assonnati sperduti fra le montagne dove risuonano le campane ortodosse, aria profumata di cedri e di arance, un mare meraviglioso. Questa è Cipro, dove si fa il vino come lo si è fatto da secoli, per Riccardo Cuor di Leone e prima ancora per l’evangelizzatore San Lazzaro e per San Paolo. Siamo soltanto a 60 chilometri dalle coste siriane e a 240 da quelle egiziane, molto caldo e vegetazione scarsa e bassa, un clima da oliveti, ma grazie alla brezza del mare l’isola è un piccolo paradiso per le vigne, rigorosamente allevate ad alberello.

Le attrattive turistiche di Cipro interessano senz’altro ogni viaggiatore. Si dice che Afrodite sia uscita dal mare proprio qui, a ogni passo ci si può imbattere nelle tracce di antiche civiltà, ci sono anche i castelli dei Cavalieri Templari, c’è tanto sole e non c’è modo di passare con indifferenza accanto alla tradizione enologica di Cipro che risale a 4 mila anni avanti Cristo. Dal punto di vista geografico Cipro è emersa dal mare con due catene montuose: quella dei monti Kyrenia lungo la costa settentrionale e quella delle montagne Troodos che occupa quasi tutta la parte sudoccidentale dell’isola, dove si trova anche la cima più alta, l’Olimpo (1.953 m s.l.m.).

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Le due zone montuose sono divise dalla pianura Mesaria. Una semplice divisione geografica che ha, però, dei complicati confini politici. La parte nordorientale dell’isola, con la catena dei monti Kyrenia, è attualmente occupata dall’esercito turco che protegge in questo modo quella che solo Ankara nel mondo riconosce come Repubblica Turca di Cipro Nord che, essendo mussulmana, non produce vino. Perciò meglio rivolgere l’attenzione alla Cipro del vino e particolarmente alle montagne Troodos, sulle cui pendici meridionali e occidentali si trovano numerose vigne.

Il terreno è relativamente poco, ma per i vignaioli è molto vantaggioso. Sotto uno strato di terra si trovano rocce di calcare e di gesso con l’umidità necessaria fornita proprio dalle montagne che in altura godono di precipitazioni che raggiungono perfino mille millimetri l’anno. Grazie a questo non c’è il rischio di una siccità duratura e capace di distruggere i raccolti e contemporaneamente le piante godono di una perfetta insolazione. Il clima mediterraneo completa il resto con le sue estati molto lunghe e calde e con i suoi inverni brevi e miti. Le vigne cipriote valgono però l’attenzione anche per altre ragioni.

La più interessante è forse l’insolita frammentazione della superficie delle coltivazioni. I terreni agricoli a Cipro occupano circa il 12% della superficie dell’isola, cioè quasi 1.100 km quadrati, di cui le vigne costituiscono soltanto meno del 2,5% e sono coltivate da più o meno 23 mila vignaioli su 60 mila appezzamenti di terra! Se a questo aggiungiamo che la maggioranza di queste microscopiche proprietà sono situate in regioni montagnose difficilmente accessibili e per questo devono essere coltivate a mano, sfruttando solo il trasporto animale, avremo un quadro completo della parte tradizionale dell’enologia cipriota.

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È un ritardo tecnologico inconsueto in altri paesi che fino a poco tempo fa aveva avuto un’influenza negativa sulla qualità dei prodotti dell’enologia cipriota. All’inizio del novecento il vino di Cipro non era rinomato poiché, malgrado l’imponente bagaglio della tradizione, non aveva quel buon sapore che avevano i vini greci. Le uve vendemmiate a mano arrivavano alla cantina in gran parte schiacciate nella soma trasportata dagli asini e spesso anche alcuni giorni dopo la raccolta. Attualmente, anche se ancora la gran parte del lavoro si fa manualmente, la situazione sta cambiando radicalmente. Il governo di Cipro sostiene le piccole cantine locali vicino alle vigne, mentre i grandi stabilimenti (che a Cipro sono quattro soltanto) hanno fatto importanti investimenti nei mezzi di trasporto in modo che perfino piccole quantità di uve non debbano più aspettare in condizioni sfavorevoli di essere vinificate in ritardo. Anche per questo adesso i vini ciprioti possono aspirare al titolo di vini di qualità. Vale la pena anche di notare che a Cipro non è mai arrivata la fillossera e le viti di questi luoghi crescono da ceppi che hanno anche cento, se non centocinquanta, anni.

Cipro può vantarsi davvero della sua ricchezza di vitigni, tanto più che durante gli ultimi quarant’anni in quest’isola solatia si sono innestate delle varietà che fin qui non si conoscevano proprio. Adesso si possono incontrare anche i vitigni più conosciuti del mondo intero, come cabernet sauvignon e chardonnay, ma si coltivano anche grenache, mataro e sémillon, in gran parte per farne dei tagli di arricchimento dei vini derivati dai vitigni autoctoni che sono coltivati in parcelle sempre più piccole. Uno di questi è l’ofthalmo, che dà uve di colore rosso scuro intenso dall’acidità relativamente alta. Un vitigno interessante è anche il maratheftiko, un rosso dal carattere marcatamente locale, in quanto sopravvive soltanto a Cipro e in poche altre piccole vigne greche.

Si valuta che la superficie complessiva delle vigne di maratheftiko sia di appena 130 ettari in tutto il mondo. Da questo vitigno nasce un vino secco, con un elevato contenuto di tannini. Bisogna anche ricordare lo xynisteri, abbastanza coltivato a Cipro in circa 500 ettari, un vitigno bianco che dà un vino giallo paglierino leggero e fresco, dagli aromi floreali e fruttati piacevoli. Un vitigno caratteristico soltanto di Cipro è il rosso scurissimo mavro (che significa nero), il più diffuso nelle vigne cipriote. Si valuta che attualmente occupa circa il 60% della superficie delle vigne. Oltre al caratteristico colore, si fa notare per la bassa acidità, per questo i suoi grappoli sono anche meravigliosamente consumati come uva da tavola. Questo ceppo dà un vino fresco, leggero, che non va bene per una lunga conservazione ed è per questo che spesso si taglia con altri vitigni, infatti i migliori vini da uve mavro sono nobilitati anche da piccole quantità di uve che hanno un’elevata acidità, come cabernet sauvignon, mataro, marathefiko e ofthalmo. Con lo xynisteri il mavro crea il re dei vini ciprioti: il leggendario Commandaria.

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Malgrado la superficie limitata, a Cipro ci sono molti produttori di vino, dalle cantine più piccole a gestione famigliare che fanno vendita diretta sul posto fino a quelle medie che in parte esportano nei soliti paesi vicini, ma ci sono anche quelle veramente grandi, ultramoderne, che producono grandi quantità. La più vecchia dell’isola è ETKO e la sua principale concorrente è KEO.

A causa di un significativo frazionamento del settore si avverte anche la differenziazione qualitativa. Si può dire addirittura che a Cipro possiamo incontrare dei vini molto malriusciti, ma senz’altro anche una buona quantità di vini decenti. Per fortuna c’è anche la possibilità di degustare dei vini dal gusto e dall’aroma che ricompenseranno davvero della fatica fatta per cercarli. Tra questi c’è senza dubbio il Commandaria,, che è probabilmente il vino più vecchio che si conosca nel Mediterraneo.

Sì, questo vino color rubino merita davvero un racconto a parte, perché non ha soltanto un gusto eccellente, ma anche un’anima specifica che deriva dalla magnifica tradizione. Il nome di questo vino, descritto già da Seneca ed Esiodo, viene da Comturia (o anche Comandoria), dall’ordine dei Cavalieri di Malta che si erano stabiliti nel castello di Kolossi dopo lo scioglimento dei Templari. Però secondo gli archeologi il vino a Cipro si fa da più di 6.000 anni e il modo di produrlo fino a oggi non è sostanzialmente cambiato. Esiodo ce ne fornisce una descrizione particolareggiata nel suo poema epico ”Le opere e i giorni” (che risale a circa 700 anni a.C.) in queste raccomandazioni: ”Quando Orione e Sirio son giunti a mezzo del cielo, e Arturo può esser visto da Aurora dalle dita di rosa, o Perse, allora tutti i grappoli cogli e portali in casa. Tienili al sole per dieci giorni e dieci notti; per cinque conservali all’ombra, al sesto versa nei vasi i doni di Dioniso giocondo”.

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Con il dolce Commandaria si sono dilettati Salomone e Riccardo Cuor di Leone che, nota bene, proprio con questo vino si ubriacò durante la prima notte di matrimonio con Berengaria. Anche Casimiro il Grande nelle pause tra i suoi numerosi lavori di costruzione si dilettava con l’aroma di questa stella dei vini ciprioti. Bisogna anche ricordare che il Commandaria ha vinto una famosa bataille des vins, descritta nel 1224 da Henry d’Andeli nel suo poema che tratta di un concorso del vino organizzato dal re di Francia Filippo II Augusto. Grazie alla forza della tradizione, anche gli appassionati delle delizie enologiche hanno la possibilità di dilettarsi col gusto di questo vino che non è mai cambiato.

Fino al giorno d’oggi, esattamente come raccomandava Esiodo, le uve dei vitigni autoctoni ciprioti mavro e xynisteri che crescono sui suoli vulcanici, poveri e deboli delle pendici orientali dei monti Troodos, dunque con rese molto basse, vengono essiccate al sole (una volta sui terrazzi delle case d’argilla, oggi su tavole speciali) per ottenere il concentramento degli zuccheri naturali. Le uve passite vengono pressate e soltanto dopo vengono mischiati i mosti dei due nobili vitigni. Il processo di fermentazione avviene in tini d’argilla e, dopo il raggiungimento del necessario tenore di alcool, il Commandaria è travasato nelle botti di rovere in cui matura per molto tempo prima di affinarsi in bottiglia, con un invecchiamento complessivo di circa cinque anni.

È un vino decisamente dolce, dall’elevato tenore alcoolico naturale tra il 15 e il 17 %, AOC dal 1990.  Attualmente non più di due dozzine di vigne sono autorizzate a produrre questa delizia e sono principalmente quelle intorno al castello di Kolossi, nei pressi di Limassol. Segnalo i produttori Apsiou, Chorio, Ayios Constantinos, Doros, Kalo, Kapilio, Lania, Louvaras, Ayios Mamas, Monagri, Ayios Pavlos, Silikou, Ayios Yeorgios, Yerasa e Zoopiyi.

Due tipologie di Commandaria godono della maggiore popolarità: St. John e Alasia. Si bevono di solito a fine pasto, con il dessert, a una temperatura di 9 o 10 °C, accompagnando frutta secca, specialmente fichi, uva e mandorle. Sono decisamente da raccomandare anche i vini Maratheftiko, dal meraviglioso colore fragola scuro e dalle piacevoli note di terra e di lamponi, anche se c’è chi ne giudica un po’ acidulo il finale. Tra i vini bianchi vale la pena di scegliere lo Xynisteri, da uve sia in purezza sia in uvaggio con altre che forniscono sempre un vino fresco, leggero, allegro e dall’aroma floreale e fruttato. Ci si può anche imbattere in un dolce Imiglykos, ma questo non è un vino rappresentativo di questo territorio e non ha nemmeno un granché di sapore. Piuttosto è meglio recarsi personalmente nell’isola di Afrodite per rendersi personalmente conto sul posto degli straordinari valori dei vini locali, approfittando dell’occasione per una meravigliosa abbronzatura.

Rolando Marcodini

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