La mania del prezzo

La mania del prezzo ultimamente è la nuova moda dei social. Il cuoco è come un marinaio. Mangia quando non ha fame e dorme quando non ha sonno.

La mania del prezzo ultimamente è la nuova moda dei social.

Il cuoco è come un marinaio. Mangia quando non ha fame e dorme quando non ha sonno.

Ma a differenza del marinaio non viaggia. Sta lì piantato tra quattro mura alla costante temperatura di 40 gradi a prescindere dal clima.

E se è anche il titolare oltre alla fatica e al proprio lavoro deve provvedere ai dipendenti, ai costi fissi, ai fornitori, al commercialista, agli enti preposti ai controlli che scelgono puntualmente l’orario peggiore per effettuare i sacrosanti controlli e a soddisfare il cliente.

Ecco, il cliente.

Quest’ultimo potremmo identificarlo come una cara moglie. Gioia e dolori.

Ne capitano tanti quanto è variegata l’umanità. E il cuoco è anche bravo nel sopportarne ogni sfaccettatura.

Quello che vuole sentire il tappo di silicone del vino, quello che pontifica per dare l’impressione ai suoi commensali di essere gran competente, quello che vuole il filetto di vitello ben cotto e tanto altro.

Per fortuna però esistono anche quelli che con una mezza parola o un piccolo segnale ti ripagano dell’intera giornata.

Certo al cuoco non glielo ha ordinato il medico di fare quel mestiere ma l’accezione vale per ogni altro lavoro e quindi va considerata nulla e inutile.

Purchè però non sia estate e ci sia la “libera uscita” di quelli “io giro spesso nei locali” (che equivale a “non esco mai di casa”) che si scatenano ogni anno sui social con il “season theme” (il tema stagionale).

L’anno scorso fu il “caffè al tavolino”. Quattro caffè pagati seduti in Piazza San Marco a Venezia fuori un bar con tanto di pianista e pianoforte a coda lunga postati impietosamente con il suo scontrino da 16 euro.

4 euro per un caffè? Ma siamo pazzi!?!? A casa mia 90 centesimi o a farla grossa 1 euro. Nessuna differenza tra tavolino esterno e barra!!!! Non ci venite!”

Si ma da dove vieni? Quando esci fuori sei sulla statale o in una delle piazze le più belle d’Italia?

Quest’anno il tema 2023-24 era la porzionatura. Partito tutto da uno scontrino con la maggiorazione di 0.50 centesimi per il taglio di un toast.

Scandalo e via a scontrini con porzionature di torte portate da fuori (ovviamente con scontrino della pasticceria) o di pizze porzionate a spicchi.

Ma dove sarebbe lo scandalo? Spesso il cliente non ha la minima percezione dei costi ma ha la presunzione di valutarli.

Per lui arrivare e sedersi in due ma mangiare in uno non è un problema. Dimentica che al ristorante si va per mangiare e non per noleggiare posti a sedere. Dimentica che quel posto in una sana gestione imprenditoriale deve produrre una somma che è la cosiddetta media scontrino, ossia quello che deve produrre per consentire al locale di non abbassare per sempre la saracinesca.

Dimentica che porzionare un toast significa che c’è uno che fa quello e non fa altro. Un piatto e un tovagliolo ulteriore e due persone che mangiano la metà. Ma se non ho tanta fame? Te lo dividi tu come avresti fatto in un take away senza posti a sedere.

Il costo di porzionamento di una torta portata dall’esterno a 1 euro a persona si pratica per i motivi suesposti e per il mancato guadagno che genera al locale il fatto che la torta la si porta dall’esterno. Se si vuole risparmiare si fa la festicciola a casa.

E la pizza porzionata in spicchi?

Lì la logica oltre tutto quanto detto è reperibile anche nell’aumento di materia prima messa.

Su una pizza metto gli ingredienti in maniera confusa come si è sempre fatto ma se la devo servire a spicchi allora il discorso cambia. Su ogni spicchio devo mettere gli stessi ingredienti in maniera tale che ciascun boccone abbia il sapore di quella pizza.

Immaginiamo una Romana (fuori di Napoli chiamata Napoletana) con ingredienti pomodoro, mozzarella e acciughe.

Se la faccio monoporzione metterò 3 acciughe, se la divido a spicchi. Dovrò lavorare in maniera tale da garantire ad ogni boccone lo stesso mix di sapori e quindi perderò più tempo.

Ecco tutte queste cose sono costi. E fa arrabbiare che il cliente abbia la presunzione di saperli calcolare quando nella sua vita fa il dipendente e come costi deve calcolare solo quelli di casa su un netto certo.

Cari amici clienti, se proprio volete calcolare il prezzo di ogni piatto, cercate il prezzo di ogni singolo ingrediente e immaginate di comprarlo per casa, poi moltiplicatelo per 3 se siete in quartiere modesto, per 4 in un quartiere medio, per 5 in un quartiere importante e per 6 in uno esclusivo.

Avrete per approssimazione il prezzo. E mi raccomando l’ingrediente deve essere quello. Non potete calcolare il pistacchio che comprate voi uguale a quello di Bronte. Hanno costi diversi. Dovete essere precisi.

Potreste obiettare che la quantità fa acquistare a un prezzo minore. Vero. Ma la quantità a terra è un costo e pertanto la modalità che vi ho suggerito è equa.

Vi trovate di meno? Il ristoratore (chef o meno che sia) sta rinunciando a una porzione di guadagno per non essere fuori mercato.

Se fossi in voi leggerei il menu anche nella parte dei prezzi e una volta scelto non mi lamenterei inutilmente.

Siete usciti per mangiare fuori non per fare i recensori di guide. Non ne avete la certificazione.

 

 

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