La pasticceria italiana delizia la Norvegia
- Anita Taglialatela
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Oggi vi porto a spasso tra i profumi tipici della pasticceria italiana… in Norvegia: kom med meg! (jammuncenne!)
Dal 2020 gestisco un laboratorio di pasticceria e di catering, con il quale delizio i golosi del regno di Norvegia con le specialità culinarie italiane, soprattutto napoletane; con questa “auto-intervista” vi racconto la mia esperienza, rispondendo alle domande che frequentemente mi vengono poste sull’argomento.
– Ai norvegesi piace il cibo italiano?
I norvegesi amano tutto ciò che riguarda l’Italia. Molti norvegesi studiano la lingua italiana, acquistano casa in Italia, mangiano e imparano a cucinare italiano.
La loro cucina, a differenza della nostra, è molto semplice, basata spesso su piatti di carne o di pesce accompagnati da tuberi o da poche varietà di verdure.
Anche la loro idea di pasticceria è molto lontana da quella italiana, essendo i loro dolci per lo più prodotti da forno, salvo piccole eccezioni.
Il piatto nazionale norvegese è il fårikål, uno stufato di montone con cavolo cappuccio.
Il dolce nazionale norsk è la kransekake, una piramide di anelli di pasta di mandorle.
La pasticceria fine, invece, come la intendiamo in Italia, ossia una pasticceria più elaborata, non appartiene alla cultura culinaria locale.
I norvegesi conoscono quei dolci italiani più noti all’estero, come il panettone o come il tiramisù e il cannolo siciliano, che spesso sono serviti come dessert dai ristoranti italiani.
Gran parte di loro non conosce il resto dell’universo dolciario italiano, se non nei limiti in cui lo ha scoperto visitando l’Italia o grazie all’offerta straordinaria di qualche ristoratore fuori dal coro. Anche per questo motivo sono molto attratti dalla pasticceria italiana, che per loro è una piacevolissima scoperta.
Il mio metodo è quello di educare in maniera graduale il palato dei golosi norvegesi, i quali sono abituati a sapori e a consistenze semplici, quindi consiglio loro di approcciare con pietanze meno sofisticate per provare poi cibo man mano più elaborato.
Allo stesso tempo mi piace sperimentare scambi tra le due culture culinarie. Penso per esempio alla mia “Pavlova Benevento”, realizzata con una spiritosa crema al liquore Strega; alle mie “Zeppoline norsk”, realizzate con salmone e aneto; alla mia “Puttanesca di baccalà, il quale viene quasi interamente esportato all’estero e mangiato poco qui in patria.
– Riesci a reperire le materie prime?
Attualmente ci sono diversi importatori che procurano le materie prime necessarie per la realizzazione delle pietanze tipiche italiane, dai prodotti confezionati a lunga scadenza ai prodotti freschi come per esempio la ricotta di pecora.
Tuttavia qui non trovo la grande varietà che troverei in Italia, nel senso che posso scegliere tra poche firme mentre in Italia siamo abituati ad avere molta offerta e, quindi, molta concorrenza.
A ciò si aggiunga che il governo norvegese sponsorizza molto i prodotti locali, per esempio i prodotti contraddistinti dal marchio “Nyt Norge” (letteralmente “goditi la Norvegia”).
Bisogna considerare, inoltre, che la Norvegia non fa parte dell’Unione Europea e che ha una moneta propria (la corona norvegese). Questo significa che la dogana applica tasse e dazi ai prodotti di importazione.
Peraltro nell’ultimo anno si è registrata un’inflazione da record, che sta mettendo in difficoltà l’intera popolazione.
È intuitivo quanto tutto ciò incida sui costi di acquisto delle materie prime, che ammontano mediamente al triplo rispetto ai costi napoletani.
Dunque sì, le materie prime necessarie si trovano ma a caro prezzo, restando contestualmente fermo il livello degli stipendi. Ikke bra! (non bene!).
– Perché non apri un negozio di pasticceria?
Ho scelto la formula del laboratorio, che lavora su commissione, e non quella della pasticceria aperta al pubblico per diversi motivi.
In primo luogo il laboratorio mi da molta libertà rispetto a un negozio, per esempio non ho giorni e orari vincolanti e i ritmi di lavoro sono meno incalzanti.
Inoltre questo concetto mi evita di dover detenere un locale con costi più elevati, per esempio in termini di strutture e in termini di lavoratori dipendenti.
Infine la consegna su commissione mi consente di abbassare considerevolmente il rischio di impresa e gli sprechi, perché produco solo se mi si chiede.
Questo non significa che io lavori solo per grandi eventi, infatti lavoro anche “al dettaglio”. Vi spiego come.
Sulla base del mio calendario di eventi ho delle specifiche produzioni programmate, quindi man mano pubblico sui miei profili social cosa ho in consegna e quando. In questo modo i singoli golosi che mi seguono su Facebook o su Instagram possono aderire alle produzioni già programmate per i grandi eventi e possono prenotare anche un unico pezzo. Inoltre i miei golosi sanno che produco sempre in quantità abbondanti. Dunque, anche se io non pubblico annunci sui social (non sempre ci riesco), possono sempre contattarmi e prendere ciò che trovano in produzione.
A ogni buon conto devo dire che osservo in maniera diretta il contesto norvegese da circa quattro anni e, anche se io ora fossi disposta a sacrificare la libertà che mi sono ritagliata e a investire in un negozio/pasticceria, comunque non lo farei.
Non lo farei perché non credo che il riscontro “quotidiano” sarebbe tale da tenermi indenne del grande incremento di investimento necessario a tal fine, né sarebbe tale da giustificare l’inevitabile consistente aggravio di lavoro da parte mia.
I norvegesi sono molto attenti all’alimentazione e difficilmente mangiano un dessert italiano/sofisticato al di fuori di un evento speciale.
Loro sanno regolarsi molto (quanto al cibo) e ugualmente imparano a fare gli stranieri che vivono qui, italiani compresi: salvo eccezioni, qui tutti adottano uno stile di vita sano, che reclude il consumo di dolci a eventi particolari.
– Burocraticamente hai avuto difficoltà?
Da un punto di vista strettamente burocratico non ho avuto difficoltà.
Creare una ditta (individuale come la mia) in Norvegia non è complicato, in pochi click avvii da solo la procedura on line al termine della quale, dopo qualche giorno, ti viene affidato il tuo codice identificativo (una sorta di partita iva).
I requisiti del locale in cui lavori e l’attività che ivi svolgi sono disciplinati da una regolamentazione non molto dissimile da quella italiana, salvo licenze speciali, rilasciate in maniera alquanto severa, se intendi somministrare alcool.
Non hai bisogno di un commercialista, puoi gestire la contabilità da solo tramite dei programmi molto intuitivi. Qui i contanti non si usano (volendo si può, ma non è prassi) e la conseguente tracciabilità dei movimenti agevola la tenuta dei documenti contabili.
Normalmente in Norvegia le tasse sul reddito si pagano in anticipo ossia mediante una previsione di guadagno, salvo conguaglio l’anno successivo. Questo non è un metodo obbligatorio ma è molto molto diffuso.
La dichiarazione mva (iva) si presenta ogni bimestre e, qualora dovesse risultare una differenza a tuo vantaggio, lo stato accredita immediatamente la relativa somma sul tuo conto corrente senza trattenerla imputandola ad altro (ugualmente avviene se il conguaglio delle tasse annuali è a tuo vantaggio).
– Sono capitati approcci bizzarri?
Selvføvelig (ovviamente)! Quasi subito ho imparato che devo dare le “istruzioni per l’uso” e quando propongo una pietanza la presento in maniera molto dettagliata non dando nulla per conosciuto.
La delizia al limone a un veloce sguardo è stata talvolta associata alla mozzarella oppure è stata spesso intesa come meringa e presa con le mani con conseguente imbrattamento delle dita.
Vedendo le foto della pastiera qualcuno mi ha chiesto se fosse possibile farla all’albicocca, conoscendo la crostata e confondendola con questa.
Vedendo le foto dei cannoli siciliani qualcuno mi ha chiesto se fossero baguette con la panna.
In occasione del conferimento di alcune onorificenze, la persona che aveva appena ricevuto la medaglia si avvicina a prendere un babà, ma lo prende con le mani, forse immaginando erroneamente che fosse un dolce asciutto. Alla fine, contento, mi saluta con le mani “azzeccose” di rum e con residui di panna montata sulla sua folta barba, tutto ciò con la bellissima medaglia bene in vista sul suo petto.
Per me la cosa più sconvolgente di tutte è stata scoprire che, a parte i norvegesi, anche tantissimi italiani non campani non conoscono la torta caprese, pensando quasi tutti che la caprese sia esclusivamente un piatto di mozzarella e pomodoro.
E poi solo vivendo all’estero mi sono resa conto che noi italiani abbiamo dei modi di dire che, riferiti fuori dall’Italia, non sono immediatamente compresi o almeno non qui in Norvegia: disporre a fontana, versare a pioggia, montare a neve, cuocere al dente… sì anche questo!
Ho visto e sentito cose che voi italiani in Italia non potete neanche immaginare!