La "Transavanguardia" sannita sopravvive in cucina. Giuseppe Iannotti e il Kresios.
- diTestadiGola
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Forse pochi sanno che quando il critico d’arte Achille Bonito Oliva, sul finire degli anni ottanta, fondò il movimento della Transavanguardia aderirono in prima battuta a questo movimento culturale pittorico cinque artisti. Tra di essi due sanniti ne furono gli interpreti di spicco e maggior rilievo: Nicola De Maria e Mimmo Palladino.
La Transavanguardia, che si muoveva in una società con forte decadimento sociale, culturale ed economico (corsi e ricorsi storici?..), fondava i propri principi su un’idea di nomadismo culturale, che in un’epoca di transizione operava in un’ambito di neo-avanguardia culturale, recuperando idee e forme del passato come base certa sulla quale fondare i nuovi criteri e linee guida di un nuovo corso culturale e sociale.
In un parallello gastronomico e in un contesto food di sicuro decadimento dove talvolta il banale induce alcuni chef a “fughe” anche fin troppo azzardate in una visione futuristica che ha ben poco di innovativo, a mio sommesso avviso, pochi chef oggi danno un nuovo senso alla cucina di domani, tracciandone, forse talvolta anche inconsapevolmente i nuovi orizzonti e le linee guida. Non è di certo la prima volta che accade e di ciò ne sono stati testimoni e artefici in un recente passato personaggi del calibro di Ferran Adrià o Gualtiero Marchesi ma vi è di sicuro che nel panorama mondiale di oggi Chef come Renè Redzepi (che ne costituisce l’avanguardia più estrema e spinta), Quique Dacosta, Massimo Bottura, Joan Roca, Salvador Brugues, ecc., rappresentano di certo modelli di vera e propria transavanguardia culinaria.
In questo filone, partendo da un’area depressa e poco percorsa dalle ordinarie rotte gastronomiche italiane, nel Sannio beneventano, il giovane Giuseppe Iannotti assume sempre più il ruolo di vero faro illuminante e innovatore del concetto di cucina al quale siamo abituati alle nostre latitudini. Sarà il suo modo di pensare mitteleuropeo, il suo saper intessere rapporti con personaggi di spicco d’oltralpe ed importarne concetti e visioni, o la grande capacità di carpire l’idea realmente innovatrice della cucina stellata di oggi.
Già l’impostazione del locale, scarno e di matrice profondamente “zen” nella mise en place dei tavoli, fa dell’assenza di elementi ordinari quali le posate o la tovaglia un primo elemento di rottura con uno schema ormai forse anche troppo vetusto e ancorato a elementi culturali e sociali che sono stati patrimonio di pochi in un passato nemmeno troppo recente. Il ritorno al tavolo vuoto di elementi per noi scontati quali tovaglia e posate svolge il duplice scopo di mutuare dal passato l’elemento del “desco” vuoto sul quale veniva posto il cibo (unico elemento realmente protagonista dell’atto conviviale che si svolgeva e consumava in un gesto a metà strada tra sopravvivenza e sacralità) e guarda al futuro con l’intenzione di proporre un percorso culturale nel quale l’unica attenzione del visitatore commensale sia posta solo ed esclusivamente su ciò che mangia, senza alcuna distrazione o fronzolo che possa valorizzare o sminuire il piatto che si serve.
Un criterio che per alcuni può apparire vezzo estremo o pazzia e per altri è messaggio di cultura gastronomica dove il vero protagonista del pasto è, come lo dovrebbe esser sempre, il cibo e la modalità nella quale lo interpreta lo chef. Certo, ciò che è sottratto da un lato è restituito dall’altro nella ricercatezza delle stoviglie nelle quali la creazione è posta ma questo è forse più parte dell’idea che di uno show ricercato ad ogni costo.
Antesignano nella ricercatezza e idealismo della stoviglia era già stato il grande Nino Di Costanzo presso le cucine del Mosaico dove per ogni piatto (capolavoro) era pensato un piatto stoviglia ad hoc.
Intenzionato a sanare una mia latitanza, resa ancor più grave da una irrisoria vicinanza con la bella struttura del Kresios sabato scorso, accompagnatao dall’ amico vigneron Salvatore Martusciello, ho finalmente rotto gli indugi e ho fatto visita all’amico Giuseppe Iannotti. E l’ho fatto all’alba di un ulteriore cambio di corso che vede, già oggi che ne scrivo, la struttura aperta al pubblico solo su prenotazione (e viva Dio con carta di credito – la maleducazione di pochi cesserà di esistere almeno al Kresios) e due menu proposta, non scritte, non preannunziate ma solo distinte per due diversi prezzi tra un percorso breve e uno lungo, entrambi con 3 vini in abbinamento, fatta salva la possibilità di sceglierne uno di proprio gradimento dalla vasta cantina e pagarlo come extra.
Una prenotazione telefonica che corrisponderà più ad un’intervista con registrazione scritta di preferenze, gusti e piatti serviti (in modo tale da non correrre il rischio di ripetersi alla visita successiva), intolleranze e tutto quanto aiuta una struttura di livello a conoscere al meglio il proprio cliente.
Ma torniamo alla cena che è iniziata alle 21 in punto e si è prolungata, complice anche una splendida chiacchierata sulla cucina con lo Chef Iannotti, sino alle 2.30 del mattino. Di seguito proverò a descrivere le singole portate, alcune delle quali non fotografate solo per mera distrazione, cercando di dare una mia personale interpretazione ai singoli piatti.
Di certo, partendo dal presupposto da me voluto, ossia che Iannotti è un transavanguardista della cucina, ogni cosa sarà letta in quella maniera, guardando alla mia memoria culturale gastronomica e a come egli ha saputo trasferirmela attraverso forme e consistenze talvolta diverse o anche osate fino al limite.
IL benvenuto tra cortesi saluti e piccole precisazioni è del Maitre Alfredo Buonanno che coadiuvato da altri due collaboratori gestisce e segue in maniera impeccabile la sala e i suoi 7 tavoli, ben distanziati tra loro onde garantire una certa qual riservatezza.
Sul tavolo nudo, dove l’unico elemento è un bicchiere per l’acqua molto semplice e percorso da una sottile venatura sempre di vetro e di colore verde arrivano dei grissini stirati a mano e del burro demisal di Normandia, assieme a un doveroso “piattino a pane” e coltellino per spalmare.
Di li a breve partono gli snack, ossia una sequenza di piccoli bocconi da mangiarsi rigorosamente tutti con le mani. Il primo è un “Topinambour fermentato con zucchero mascovado e mandorla amara. Arriva a tavola infilzato su uno stelo – spiedo d’acciaio, come se dovesse ergersi su tutto come unico elemento da valutare, lì a pochi centimetri dalla bocca del commensale. Bello il gioco tra acidulo, dolce e amaro di chiusura della mandorla dove lo zucchero mascovado fa da elemento di transizione gustativa tra il dolce e l’amaro grazie alla sua nota aromatica a metà strada tra i due gusti. A far da accompagnamento agli snack per l’intera sequenza una delle passioni dello chef: lo champagne. Il Maitre Buonanno seleziona per noi “L’Apotre” di David Laclapart, uno champagne 100% di uve Chardonnay proveniente da una piccola parcella di terreno ubicata nel villaggio di Trepail da vigne del 1946. In grado di reggere bene l’invecchiamento con una bella acidità e freschezza ha retto bene tutti gli snack che si sono susseguiti.
I sogni son desideri e quello inconfessato di Peppe Iannotti era quello di fare il pizzaiolo. Con “Pizza al pomodoro”, un leggero impasto cotto a vaopre che racchiude un concentrato intenso e profumato di pomodoro, lo chef cerca di porre rimedio ad una sua incompiuta di vita. Buono, decisamente intenso e gradevole.
A seguire un sapore antico per me che provengo dalla stessa terra di Peppe Iannotti. Il baccalà, ma nella sua parte meno nobile e più caratterizzante il sapore. La pelle. “Pelle soffiata di baccalà” mi ha evocato il ricordo del Natale e del piatto di baccalà fritto della Vigilia dove la pelle era la cosa che mangiavo con più gusto e il sapore che conservavo di quel piatto sino al Natale successivo. Ottimo. Una chips poverissima ma di grande spessore gustativo.
Diversa anche se molto vicino all’idea del piatto tradizionale “La tagliatella di zucchine con caviale al tartufo su bolla di menta e aceto di lamponi”, dove l’aceto e il mentolato viene sprigionato al momento del servizio con l’ausilio dell’azoto versato nella bolla sottostante il piatto. Molto scenico e molto buono. Il tartufo sferificato chiude bene il boccone dandogli un tono più terragno e profondo.
Ma non finisce qui il mio viaggio nella memoria. Iannotti rincara la dose e mi riporta indietro a quando da bambino c’era la lotta a tavola su chi si accaparrava la pelle del pollo arrosto che raccoglieva in se tutti i sapori e profumi del grasso arrostito dal forno (nei miei ricordi a legna!). “Pollo arrosto” piatto ottenuto dalla lavorazione del pollo con il riso sino ad ottenerne una cialda croccante e tiepida racchiude in se proprio tutti quei sapori che ricordavo. Servito così in un taglio di una pietra bianca appare come unico elemento, arcaico, da considerare e valutare.
A seguire tre boutade, tutte ad incrociare elementi locali con sapori estranei alla nostra cultura ma legati indissolubilmente ai territori di origine. “Pralina di cioccolato con cuore di amarena e gorgonzola”, “Raffaello di foie gras e nocciola” e “Pop Corn e animelle”, rappresentano forse la sequienza degli snack più altolocata e irriverente di 3 cibi noti a livello universale e rivisitati in chiave innovativa. Il cuore di amarena spezza la monotonia di una pralina ormai vetusta nella sua concezione, il “Raffaello” con il foie gras vive nuovi sapori che lo rendono piacevole anche a chi come me non ama il cocco, il pop corn finisce con il dare note tostate e mature al cibo dei poveri per eccellenza, le animelle, quinto quarto sempre più raro a reperirsi.
La sequenza degli snack si chiude con un’ostrica servita in maniera scenica anch’essa. “Ostrica Regal Irlandese con caviale di peperoncino, romice rosso, shiso e lemon fizz con shakerato di purea di mela verde e vodka Ciroc”. Una cucchiaiata che racchiude un classico tipico della cultura al di là degli Urali.
Compare il pane, segno che si sta passando agli antipasti. Il primo di questi è “Pancia di maialino, senape, timo e rosa su fondo di maiale” (non fotografato). A seguire, anch’esso sfuggito alla macchina fotografica e decisamente estasiante, “Tuorlo d’uovo marinato, maionese di tonno e cappero liofilizzato”, in sintesi un boccone ricostituito con diversa forma della nota salsa tonnata.
Poi è il momento di un piatto simbolo del Kresios. “A tutto sgombro”. Il piatto con il quale sino ad oggi Iannotti ha fatto mangiare tutto lo sgombro, lisca e testa compresi, ai suoi ospiti. Notevole, sia per l’idea che per i sapori.
Dopo lo sgombro un classico della cucina sannita. La lingua. Qui rivisitata con contaminazioni piemontesi e cotta a bassa temperatura tale da risultare tenerissima e rosata come se fosse stata appena sbollentata. “Lingua di bue cotta 80 ore su sale di bambù, bagnet verde liofilizzato e crema di papacelle gialle e rosse. Da svenimento.
Direttamente dall’oriente il “Tonno con verdure con brodo dashi di katsubushi di carne”, un òpreziosismo di Iannotti che al millenario Kastubushi di tonno (tranci di tonno stagionati ed essiccati adoperati a scaglie per preparare il brodo dashi, base per molte preparazioni di zuppe della cucina tradizionale nipponica, ha sostituito un suo katsubushi di carne che stagiona appositamente nella sua cantina al Kresios per circa 8 mesi. Il brodo dashi viene versato direttamente da una teiera in ghisa (Tatsubin) Iwachu. Magnifico.
E’ il momento dell’arrosto. “Carne alla brace” (non fotografato e mangiato in piena estasi) è un boccone di Wagyu A5 (classificazione dei Wagyu che va da 1 a 5 dove il 5 è il masimo livello) è un viaggio nella carne come vorremmo che fosse. Un solo boccone che ti soddisfa quando un quarto di un normale bovino.
Subito dopo la grigliata di pesce. Qui cari amici appassionati di cibo e gormand rassegnatevi. Io e Salvatore Martusciello abbiamo avito fortuna, il cd. fattore “C” che di tanto in tanto non guassta. Il piatto che ci è toccato era una sperimentazione di Iannotti che per sua ammissione non ripeterà più per tempo e costi di realizzazione. “Bistecca di triglia” è l’assemblaggio dei filetti di 32 triglie in un parallelepipedo di 8 cm per 3 per 2,5 circa di altezza, coperto da una panure di pane, olive e aromi, accompagnato da una salsa di triglie e cotto lievemente sotto la lampada che si usa per tenere in caldo i pulcini (onde evitare che la forma data tenda a far “imbarcare” la “bistecca”). L’effetto è strepitoso e indescrivibile. Un piatto che ricorda la bistecca di pesci più sodi, il crudo di mare, la cotoletta di pesce e il pesce panata alla griglia. …. rosicate! 😀
Un pasto senza il primo piatto è impensabile. La sequenza che vi descrivo ora è di tre autentici gioielli della cucina. “Lo scoglio” è uno spaghetto monograno Felicetti cotto in un infusione ottenuta con circa 50 pesci diversi. Un boccone di mare eccelso (forse, ma sottolineo forse, uno dei piatti più buoni della serata). A seguri “Ragù” mostra la capacità dello chef di saper tirare una sfoglia a dovere e farcirla con quello che è il sapore del nostro ragù di casa della domenica. Due sublimi ravioli serviti in un pentolino di rame che se non fossero arrivati dopo tanto cibo avrebbero richiesto il grido gioioso di “Puoi calare chef!”. “Risotto con robiola, Castelmagno, parmigiano 36 mesi, speck d’oca e aromi dell’orto del Kresios ” è poi il degno finale del trittico dove la cottura all’onda perfetta del risotto valorizza ancor di più i formaggi (Castelmagno in testa) e le note sapide dello speck d’oca.
Prima di chiudere un vezzo britannico rivisitato del tutto. “Fish and chips” è una composizione di chips di patata, barbabietola, nero di seppia e altro che sormontano un pezzo di delizioso baccalà fritto su crema di piselli. Bello il gioco di consistenze tra le chips e il baccalà che era decisamente eccelso.
Fino a questo momento ci hanno accompagnati un Chiarandà di Donnafugata, annata 2006 ossia un’annata che a detta di molti ha reso possibile una buona maturazione delle uve Chardonnay e Ansonica che lo compongono. Il decennio, innegabilmente si sentiva come l’etichetta che era crollata in Cantina, ma ancora conservava note interessanti e buona acidità. E’ passato anche un ottimo rosso ma non saprei dire cosa era. Il cibo mi aveva rapito troppo.
Volgiamo al termine e come si deve arriva prima un sorbetto dal suggestivo nome “Mojito da mordere” che altro non è che un sorbetto di mojito. A seguire “Vi imbocchiamo noi” (foto vietata perchè mai concessa nel locale), ossia un cucchiaino servito direttamente dalle mani del personale di sale con all’interno fruutto della passione, frizzino e cioccolato bianco. Lo scoppiettio del frizzino (le famose palline che scoppiettavano in bocca quando eravamo bambini) e il frutto della passione ripuliscono definitivamente la bocca preparandola per il dolce che, mi si perdoni, culturalmente solo un sannita può comprendere fino in fondo.
“Omaggio al tabacco Kentucky di Benevento” è la storia dell’altra agricoltura della mia terra, un’agricoltura fatta di piante di tabacco che fino all’esistenza dei Monopoli di Stato esigeva la conta delle foglie con precisione numerica (pena una condanna penale) e poi il duro lavoro di raccolta, insertamento e ascigatura. Un dolce dalle profonde note di tabacco trinciato e terra. Un dolce complesso e avvincente. Per nulla spinto, anzi fortemente equilibrato e ben tarato.
Dopo tante chiacchiere fino alle 2.30 con Peppe Iannotti che di lì a poche ore aveva l’aereo per Parigi dopo una settimana lavorativa trascorsa tra Barcellona, le Maldive, Milano, Napoli e Telese.
Grazie Giuseppe. Spero di aver capito e senon ho capito tornerò per capire..ma anche semplicemente per tornare.
di Giustino Catalano
Kresios
di Giuseppe Iannotti
Via San Giovanni, 59
Telese Terme (BN)
0824-940723
Prenotazione obbligatoria con carta di credito
Kresis Barcelona
Carrer dels Lledò, 7
Barcellona (Spagna)
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