Latte alle ginocchia
È del 13 giugno la notizia della sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea sul caso di TofuTown che fa uso di termini come latte, burro e panna per i suoi prodotti a base vegetale.
La Corte non ha fatto altro che richiamarsi ad una decisione del 20 dicembre 2010 (quindi quasi sette anni fa) che elencava una serie di eccezioni alla definizione contenuta nell’Allegato XII del Regolamento n. 1234/2007 (quindi dieci anni fa). In quest’ultimo allegato, infatti, si dava una definizione di latte e di tutti quei prodotti che da esso derivano.
La definizione di latte è quindi: “riservata esclusivamente al prodotto della secrezione mammaria”.
Questa definizione, ovviamente, mette in crisi la denominazione di vari prodotti, a partire dall’italianissimo latte di mandorla che non si sarebbe potuto più chiamare così. Pertanto si è, nell’arco di tre anni, arrivati a elencare una serie di prodotti che contengono i termini latte e derivati (come burro, panna, creme e altri) e, spulciando la lista organizzata Paese per Paese, si trovano mirabolanti eccezioni come, in Francia, la Beurré Hardy, una pera che, pur non avendola mai assaggiata, immaginiamo scioglievolissima in bocca per via del nome, o l’Haricot beurre, tipo di fagiolino così chiamato per via del suo colore.
La lista di eccezioni francesi è lunga e altrettanto lunga è quella inglese, così come quella tedesca. L’Italia è tra le meno rappresentate, con soli quattro prodotti: Latte di Mandorla, Latte di Cocco, Burro di Cacao e Fagiolini al burro (uh, come i nostri cugini!).
Inaspettatamente ho notato che anche la danese, l’olandese e la portoghese sono più lunghe della lista italiana. Comunque sia, il regolamento del 2007 e la lista di eccezioni del 2010 già regolavano la denominazione di tutte quelle bevande vegetali che siamo soliti chiamare (anche su Di Testa e di Gola) latti vegetali e infatti mai troverete la dicitura “latte di soia” o “latte di riso” stampata sui brick ma sempre dei più rigorosi “bevanda alla soia” o “bevanda di riso”.
L’azienda tedesca TofuTown aveva invece tentato di forzare il regolamento europeo ed è stata richiamata all’ordine.
Eppure è di solo un paio di mesi fa la sentenza, apparentemente di senso esattamente opposto, della stessa Commissione Europea su una interrogazione (avanzata da europarlamentari italiani) sul cosiddetto meat-sounding ovvero la tendenza di chiamare con nomi tipici dei tagli o delle preparazioni a base di carne alcuni prodotti a base vegetale.
La sentenza sul meat-sounding, in pratica, afferma che il consumatore è dotato della capacità di discernere un hamburger di soia da un hamburger di mucca e che quindi possono essere entrambi chiamati hamburger. Evidentemente questa capacità viene meno nel momento in cui lo stesso consumatore si trovasse di fronte ad un latte di soia e un latte di mucca ma questi sono misteri sui quali ora non possiamo e vogliamo addentrarci; ci interessa molto di più il fatto che la sentenza sul meat-sounding consenta ad un’azienda italiana di chiamare bistecca di soia quello che è, per tutti, un hamburger: ed è perfettamente leggittimo: un capolavoro dadaista, non c’è che dire.
In Italia siamo sempre molto attenti quando un prodotto o una ricetta vengono rivisti in chiave vegan
Così partono flame violenti in rete e sui social, persino quando si tratta di una versione vegan di un prodotto industriale di proprietà di una multinazionale olandese, come è il caso del Cornetto Veggy di Algida-Unilever (leggete i commenti e pensate che quelle persone hanno i vostri stessi diritti).
Non sorprende, quindi, il modo in cui Coldiretti ha approfittato della sentenza e i toni usati per commentarla, come possiamo leggere da un comunicato sul loro sito concentrandoci su alcuni passaggi: “I prodotti vegetariani e vegani […] non possono pertanto essere chiamati con nomi di alimenti di origine animale, in particolare latticini, ponendo fine ad un inganno che riguarda il 7,6% di italiani che segue questo tipo di dieta.”.
Insomma, tralasciando la confusione di Coldiretti sui vegetariani che il latte e i derivati (al netto di quelli con caglio animale) li consumano comunque, sorprende che finga di non sapere che già da anni in Europa il latte vegetale si chiama bevanda di qualcosa ma ancora di più sorprende quel 7,6% di italiani sarebbero ingannati dai prodotti tedeschi di TofuTown che notoriamente invadono il nostro mercato… Coldiretti vuol dire che comunque il 92,4% di italiani restanti non sono né vegetariani né vegani.
Eppure, proprio in un altro comunicato di Coldiretti di appena quattro giorni prima e che lanciava una campagna a favore del consumo di carne possiamo leggere: “per il 95% degli italiani che secondo l’indagine Coldiretti/Ixe’ mangia carne nonostante le fake news, gli allarmismi infondati, le provocazioni e le campagne diffamatorie.”.
Ehy, amici di Coldiretti, posso dirvi una cosa?
Se i vegetariani e i vegani passano dal 5% al 7,6% in tre giorni, fossi in voi, mi preoccuperei più di quanto non siete già preoccupati. Tanto preoccupati e spaventati da lanciare l’hashtag #NoVeganAllaRiscossa.
Eppure i vegani potrebbero essere i vostri più appassionati clienti ma voi fate di tutto per scatenare una guerra che magari porti al boicottaggio dei vostri mercati e dei prodotti dei vostri soci agricoltori: perché? Quale strategia di mercato e di comunicazione si nasconde dietro questa vostra scelta? Ma per caso vi affidate alla stessa agenzia di comunicazione di Motta?