Le botti e l’influenza del legno sul vino (parte 1a)
- Rolando Marcodini
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Una volta i barilotti, i barili, i caratelli, i carati, i mezzi fusti, i fusti, le barriques e in generale tutte le botti di legno di piccole e medie dimensioni si usavano principalmente per la maggior facilità di movimentazioni.
Poiché sono stretti, non si rompono nel trasporto e lasciano rotolare facilmente da un luogo all’altro, cosa che in tempi senza gru né carrelli elevatori era estremamente importante.
Attualmente si apprezzano di più a causa dell’impatto che il legno di rovere esercita sulla struttura e sull’ossigenazione e sulla maturazione del vino con un’efficacia inversamente proporzionale agli spessori delle doghe, che nelle botti più piccole sono piuttosto sottili.
Nei tempi antichi dell’enologia, però, il vino non era elevato, stoccato e trasportato in rovere, ma in vari tipi di anfore (kvevri georgiani, pitos greci, dolia romani) nonché otri di pelle.
L’introduzione delle botti di legno è stata una delle innovazioni più importanti nella storia della vinificazione.
Tuttavia, nel Nord Europa, nella tarda età del ferro (IV secolo a.C.) si usavano già dei barili in legno per il trasporto di birra, miele, sale, grano, pesce salato, burro, catrame e altri beni simili e da allora, per secoli, sono stati l’imballaggio di base per il trasporto di tali merci. Dobbiamo la diffusione delle botti di legno nella vinificazione agli antichi romani che appresero questa pratica invenzione durante le loro guerre con i Celti nel I secolo a.C. come scrive Plinio (24-79 d.C.), Ai suoi tempi, appunto, le botti di legno si usavano per trasportare vino nelle province della Gallia, del Reno e del Danubio, mentre in Italia erano ancora rare. Soltanto nel IV secolo d.C. hanno cominciato a diffondersi lentamente in tutto l’Impero romano, sostituendo i pesanti e voluminosi contenitori usati fino ad allora nel trasporto di vini. E soltanto nella seconda metà del XX secolo hanno cominciato a essere soppiantati da contenitori di metallo e successivamente anche di vetro e di plastica. Oggi, invece, i barili in legno si usano quasi esclusivamente nella produzione di vino e dei nobili distillati.
Il materiale di base per produrre botti da vino è il legno di varie specie di querce appartenenti al tipo botanico quercus, duro, durevole, resistente ai danni fisici e non provoca molte difficoltà nella lavorazione.
La sua struttura è compatta ed è anche relativamente omogenea poiché ha pochi vasi anulati (i conduttori all’interno dei cosiddetti anelli di crescita annuale) attraverso i quali può essere filtrato un liquido. Inoltre, nella parte interna del tronco e dei rami (nel cosiddetto durame) i vasi anulati sigillano gli ispessimenti e le rientranze, gli anelli, ostacolando ulteriormente la penetrazione di un liquido attraverso il tessuto del legno.
Nella quercia questi anelli sono più numerosi che in altre specie di alberi decidui della nostra zona climatica, motivo per cui il legno di quercia è estremamente compatto e resistente all’umidità.
Nei tempi antichi, i barili si realizzavano principalmente in legno di abete bianco o di abete rosso oppure di altri alberi di conifere come cipresso e pino. Fino a mezzo secolo fa le grandi botti di castagno (castanea sativa) erano più popolari in alcune regioni d’Europa come la valle del Rodano, il Beaujolais, l’Italia settentrionale e il Portogallo. Poiché il castagno contiene eccezionalmente molti tannini, prima di versarci il vino le botti dovevano essere levigati e poi paraffinati. Nel XIX secolo, in Europa centrale, erano diffuse anche le botti di acacia (robinia pseudoacacia), in cui il vino acquisisce un aroma specifico di cera d’api e fiori di tiglio. Entrambi questi legni oggi sono già rari, sebbene, per esempio in Austria, recentemente si assiste a un certo recupero del legno di acacia per la maturazione di alcuni vini bianchi.
Mezzo secolo fa, in California, avevano realizzato pure botti di sequoia sempervirens (chiamata redwood) e in Cile di legno raulí (nothofagus alpina, detto mogano cileno). Qua e là hanno utilizzato anche l’eucalipto, varie specie di conifere, la rosa, il ciliegio, il pero selvatico e il sandalo, però ormai dovunque domina piuttosto la quercia di buona qualità, chiamata rovere, su tutti gli altri legni.
Attualmente sono soltanto tre le principali specie di rovere usate per produrre botti da vino: la quercia bianca (quercus alba dell’America settentrionale) e due specie europee come la quercia peduncolata detta anche comune (quercus robur) e la quercia sessile (quercus petraea).
In Portogallo pure la quercia locale (quercia garryana). I bottai e gli enologi si preoccupano raramente di questa classificazione botanica e prestano piuttosto attenzione alla provenienza geografica del legno da cui vengono realizzate le botti.
I fabbricanti e i vinificatori perciò distinguono perciò i tipi di rovere soltanto sulla base della differenza tra barrels americani, realizzati solo in quercia bianca americana, e barriques, tonneaux, fusti e carati generalmente realizzati solo in querce europee.
La quercia bianca americana è diffusa principalmente nella parte orientale degli Stati Uniti, dall’Oceano Atlantico al fiume Mississippi ed è il vanto dell’enorme industria dei bottai negli Stati Uniti. Ogni anno vengono prodotti circa 800-900 mila barrels, ovvero i 2/3 di tutta la produzione mondiale, di cui oltre il 95% sono assegnati alla produzione di distillati (principalmente il whiskey americano, cioè il bourbon). Un gran numero di barrels di quercia bianca americana importata viene realizzato anche in Spagna (tradizionalmente fin dal Seicento) e perfino in Cile e in Australia.
Le querce bianche delle regioni più fredde (Minnesota, Wisconsin) di solito contengono più tannini di quelle del sud (Tennessee, Missouri, Virginia) che però sono più aromatiche.
A causa degli aromi che sono abbastanza aggressivi, i barrels americani sono usati maggiormente per invecchiare i distillati più che i vini e fra questi più per maturare quelli rossi molto estrattivi, tannici ed espressivi, come i Rioja catalani, gli Shiraz australiani o i Cabernet Sauvignon del Nuovo Mondo. Al contrario, i vini rossi come il Pinot Nero e i bianchi delicati resistono poco e male in quercia bianca americana, perché questa cede sostanze che soffocano gli aromi primari delle uve.
I barrels americani hanno però un vantaggio importante e cioè il loro prezzo che, di solito, è di 2 o 3 volte inferiore ai barili europei, poiché, grazie alla porosità e alla permeabilità più bassa degli anelli, la quercia americana è più lavorabile. Le doghe, infatti, vengono segate a macchina e non ricavate per spacco manuale e la quantità di rifiuti in produzione è solo intorno al 40-50%.
Le querce europee non sono di un unico tipo e hanno caratteristiche differenti, ma i produttori di barili raramente si preoccupano delle divisioni botaniche e sono più interessati alla struttura del legno, in particolare alla grana fine, quella che proviene da un tronco con 1,5 mm di massimo accrescimento annuale radiale (misurato attraverso la distanza tra gli anelli del legno) nonché al luogo d’origine.
Le querce robur, petraea e garryana crescono spesso l’una accanto all’altra nei boschi europei e formano numerose sottospecie (ad esempio la roverella, cioè la pubescens), nonché incroci e forme indirette (ad esempio la rosacea e la pendunculata) che sono spesso difficili da distinguere anche per i botanici.
Nella sezione trasversale del ramo o del tronco della quercia, sono ben visibili gli anelli della crescita annuale che si distingue nella parte primaverile che risulta più porosa e permeabile, con vasi anulati più conduttivi, mentre nella parte estiva è un po’ più compatta e stretta. Le proprietà del legno sono determinate dallo spessore dell’anello, nonché dalla proporzione reciproca della crescita della quercia in primavera e in estate che dipende principalmente dalle condizioni dell’habitat.
In luoghi asciutti e poveri di nutrienti (l’habitat tipico della quercia petraea) la crescita è lenta e il tronco ha gli anelli più stretti e disposti più densamente a causa della minore crescita primaverile e si parla perciò di rovere a grana fine.
Le querce che crescono invece su terreni più fertili e umidi (l’habitat tipico della quercia robur) sono caratterizzate da una maggiore crescita annuale a causa di una maggiore crescita primaverile e si parla perciò di legno a grana grossolana. Questo legno è caratterizzato da un contenuto più elevato di composti polifenolici (fino al 10%), i tannini, rispetto a quello del rovere a grana fine (circa il 7%).
I barili europei, rispetto a quelli americani, sono generalmente caratterizzati da aromi meno aggressivi e da un maggiore contenuto di tannini.
Sono perciò più usati di quelli americani nella vinificazione e sono generalmente considerati migliori. Il loro svantaggio, tuttavia, è un prezzo elevato attualmente di circa 900-1100 € per una barrique standard con una capacità di 225 litri. Il rovere europeo è più poroso e più difficile da costruire rispetto all’americano. Le doghe non possono essere tagliate con la segatrice a macchina, ma è necessario lo spacco a mano con un’ascia e cunei speciali lungo le venature naturali, che è ad alta intensità di manodopera e causa una quantità significativa di rifiuti di legno, anche fino all’80%.
La maggior parte del rovere per la produzione dei barili europei proviene dai boschi francesi mantenuti alla perfezione. Il rovere francese da vino è diventato quindi sinonimo di aroma espressivo per il contenuto di tannino inferiore che è tipico della quercia petraea dei boschi di Allier, Never, Vosges o Tronçais, dai nomi dei boschi più famosi anche se non devono necessariamente venire proprio da lì.
Il rovere francese che proviene invece dai boschi del Limousin è un po’ più poroso, tipico della quercia robur, ed è caratterizzato da una maggiore concentrazione di tannini e dagli aromi più deboli. È quindi usato più spesso per l’invecchiamento di cognac piuttosto che di vino. Il rovere dell’Europa centrale e dai Balcani (di solito dalla quercia robur) può essere “rovere di Slavonia” o “rovere ungherese”, mentre quello proveniente dal Caucaso è noto come “rovere caucasico” o “rovere di Krasnodar”.
Ha smesso di giocare in cortile fra i cestelli dei bottiglioni di Barbera dello zio imbottigliatore all’ingrosso per arruolarsi fra i cavalieri di re Nebbiolo e offrire i suoi servigi alle tre principesse del Monte Rosa: Croatina, Vespolina e Uva Rara. Folgorato dal principe Cabernet sulla via dei cipressi che a Bolgheri alti e stretti van da San Guido in duplice filar, ha tentato l’arrocco con re Sangiovese, ma è stato sopraffatto dalle birre Baltic Porter e si è arreso alla vodka. Perito Capotecnico Industriale in giro per il mondo, non si direbbe un “signor no”, eppure lo è stato finché non l’hanno ficcato a forza in pensione da dove però si vendica scrivendo di vino in diverse lingue per dimenticare la bicicletta da corsa, forse l’unica vera passione della sua vita, ormai appesa al chiodo.