Le botti e l’influenza del legno sul vino (parte 2a)

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Le botti di buona qualità sono realizzate con il legno di querce che hanno almeno 80 anni (anche se di solito si preferiscono quelle di circa 150 anni), poiché il rovere ottenuto da alberi più giovani non ha una struttura altrettanto uniforme.

Nel caso delle querce europee, il loro legno richiede una selezione molto attenta e vengono utilizzati solo i pezzi selezionati dalla parte interna del tronco (il durame o massello, cioè il cuore del legno). Il legno delle querce americane invece è meno poroso a causa del maggior numero di anelli annuali e ha una struttura più uniforme, perciò è molto più facile da trasformare. Tanto che è l’unico adatto a essere segato e incurvato a macchina per la formazione delle doghe, mentre la quercia europea si deve spaccare a mano tramite zeppe o cunei idraulici per seguire le naturali venature del legno e diminuirne la permeabilità, ma comunque va incurvata manualmente.

Pertanto le botti e le barriques di rovere europeo sono molto più costose dei barrels di rovere americano.

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Dopo il taglio a spacco o a sega, le doghe ancora crude di spessore tra 2,5 e 4 cm si impilano e si stoccano con l’aiuto di assi e zeppe, quindi si lasciano essiccare all’aria aperta per circa 3 anni oppure, nel caso di una produzione più economica, per qualche mese nelle celle asciugatrici.

Le doghe stagionate o essiccate poi si rifilano e si piallano a spessore giusto, quindi si accostano e si assemblano (in alcuni paesi le giunture tra le doghe sono sigillate con foglie di calamo).

La fase più difficile è creare la classica forma del barile. Le doghe vengono fissate perciò con il bordo a un’estremità e, puntando due o tre anelli temporanei che vengono battuti con martello da bottaio, si assemblano e poi si riscaldano e incurvano con l’aiuto di corde e tenditori a vite, in modo che il legno, bagnato con acqua, possa essere piegato fin dall’altra parte con l’aiuto di una corda.

Il barile poi viene capovolto e sopra il disco rotondo e piatto del fondo viene riscaldato dentro (con un piccolo fuoco oppure un bruciatore a gas o ad aria calda o a vapore) per ottenere il giusto grado di combustione del legno che può essere stabilito prima come debole, medio o forte a seconda dell’impatto desiderato dei tannini del legno su quelli dell’uva.

 

La botte grande, invece, che in genere si monta in cantina, viene chiusa con un coperchio in cui si ricava una portella a passo d’uomo nella parte inferiore.

In ogni caso, il coperchio montato si sigilla con foglie di calamo e infine si liscia uniformemente la superficie esterna, con una levigatrice a mano per le botti più grandi o su un tornietto per i barili, sostituendo i cerchi provvisori con quelli definitivi ricavati da un nastro di acciaio zincato). C’è chi preferisce anche paraffinare la botte utilizzando della paraffina solida da fondere. Questa pratica riduce il contatto del vino con il legname e viene comunemente utilizzato con le botti in castagno.

 

La doppia influenza sul vino

I consumatori prestano attenzione principalmente alle proprietà dei legni che influiscono direttamente sugli aromi dei vini che vengono messi a maturare nelle botti.

Per i produttori di vino e gli enologi, invece, è ugualmente importante anche la piccola quantità di aria che penetra all’interno della botte attraverso i pori del legno e le fessure fra le doghe e che provoca un’ossidazione molto lenta, uniforme e moderata dall’effetto positivo sulla struttura dei vini. Questo processo accelera la polimerizzazione dei tannini e precipita gli acidi in eccesso, ammorbidendo il sapore acidulo del vino giovane.

Le botti si possono usare sia per la fermentazione dei mosti che per la maturazione dei vini.

Durante la fermentazione sono poche le sostanze del legno che si sciolgono nel mosto rispetto a quelle che penetrano nel vino durante la maturazione e l’invecchiamento, poiché alcune di queste sostanze si scompongono e vengono assorbite dai lieviti (spontanei, cioè indigeni, oppure aggiunti, cioè selezionati).

Il tempo di contatto del vino con il legno può essere di soli 2 o 3 mesi come può allungarsi per diversi anni; i vini bianchi di solito rimangono nella botte molto poco e in generale meno dei rossi.

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Da una botte nuova il vino, infatti, riceve in gran parte dei composti aromatici e i tannini, ma l’assorbimento di queste sostanze diminuisce nell’arco di due, tre o al massimo quattro anni.

Dopo questo tempo, il legno diventa neutro, il che provoca dei depositi di cristalli di tartaro sulle pareti interne e, nel caso di botti molto vecchie, anche l’ossidazione del vino, un effetto che può essere anche prescelto e perfino controllato.

Ecco perché c’è ancora chi raschia con l’asciatura manuale ogni 10 o 15 anni le pareti interne delle botti grandi in cui può entrare un uomo attraverso la portella del coperchio e asportare pochi millimetri di spessore, mentre i barili più piccoli di devono mantenere regolarmente puliti con una spazzola, disinfettati con una soluzione al 10% di metabisolfito di potassio, asciugati per bene e solforati con dischetti di zolfo accesi all’interno.

 

Avviamento e manutenzione

Appena comprate, però, va fatto l’abbonimento, cioè un’accurata pulizia iniziale. Esistono due tipi di abbonimento delle botti di legno, uno è lento e l’altro è rapido.

A parte il metodo della calce viva che qualcuno fa ancora, ma solo per capacità superiori a 15 hl, il metodo lento migliore che mi ha suggerito l’amico Fulvio Bressan consiste nel riempire la botte con acqua e sale da cucina tra il 2 e il 5% per svuotarla dopo circa 20 giorni, magari anche riutilizzando eventualmente la soluzione per altre botti, e infine risciacquarla abbondantemente fino a quando l’acqua che fuoriesce sarà pulita e quindi incolore e inodore.

Questo sistema offre sempre ottimi risultati, ma non tutti i tipi di legno si comportano nello stesso modo e se occorre si può ripetere una seconda volta.

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I sistemi rapidi che prevedono un lavaggio con acqua calda o bollente sono sconsigliati per le botti paraffinate poiché possono determinare il ritorno della paraffina allo stato liquido e in questo caso nei risciacqui si vedranno uscire delle palline di cera.

Mi riferisco alla vaporizzazione con generatore di vapore acqueo a 105°C per  circa 2 ore, condizioni da non superare comunque altrimenti si rischia un danno sia per la stabilità della botte che per per le cessioni di componenti aromatiche dal legno al vino che vengono compromesse da una distillazione della lignina. Per non parlare dei lavaggi energici (oggi possibili con appositi ugelli automatici) con una soluzione di acqua molto calda addizionata dal 3 al 5% di soda Solvay oppure soda caustica e dei conseguenti risciacqui abbondanti con acqua aggiunta di acido tartarico.

C’è chi fa invece l’avvinamento con vino sano da non invecchiare, ma comporta il rischio che prenda un eccessivo ”sapore di legno”. In ogni caso, dopo la fase di risciacquo o di lavaggio occorre solfitare l’interno delle botti con l’utilizzo dei dischetti di zolfo da accendere nella botte appesi al cocchiume.

La botte si conserva perfettamente quando si trova in ambiente fresco (da 10 a 15 °C) con un’umidità dell’85% circa e quando è colma di buon vino.

L’inutilizzo prolungato in ambiente asciutto, porta le doghe a restringersi con la perdita della tenuta del contenitore. Nel caso in cui la botte resti vuota a lungo, prima di riempire con il vino è assolutamente necessario riempirla d’acqua e lasciarla colma per qualche giorno in modo tale che il legno rigonfiandosi vada a otturare eventuali perdite che possono determinarsi dal proprio ritiro. Nel caso in cui, anche dopo questa operazione, la botte continuasse a perdere, si potrà facilmente porre rimedio utilizzando un mastice per botte.

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L’influsso delle sostanze del legno nel vino

Durante la maturazione del vino in una botte nuova oppure di due, tre o al massimo quattro anni, il vino assume dal legno alcuni composti chimici naturali come i seguenti.

  • Vanillina, che rilascia l’aroma della vera vaniglia in una quantità significativa (maggiormente dal legno di quercia petraea e quercia alba, meno dalla quercia robur) ai vini in maturazione dopo la fine della fermentazione mentre durante la fermentazione del mosto a contatto con il legno, invece, la vanillina sotto l’influenza del lievito si trasforma in gran parte nell’alcool vanillico che è inodore; l’aroma aumenta con il grado di tostatura fino a un certo punto, ma quando questa è eccessiva diventa più debole.
  • Lattoni della quercia, che rilasciano gli aromi più caratteristici di cocco anche piccanti ed erbacei, spesso definiti ”di rovere”; quella europea sessile (quercus petraea) in media due volte di meno di quella americana (quercus alba) e quella europea peduncolata (quercus robur) anche fino a dieci volte di meno. L’estrazione dei lattoni aumenta a causa della stagionatura del legno e si riduce a causa della tostatura delle botti.

 

  • Tannini idrolizzabili (esteri dell’acido gallico e del glucosio detti gallotannini con esteri dell’acido esaidrossidifenico e del glucosio detti ellagitannini), poco astringenti, amarognoli, che influenzano la struttura del vino, prevengono l’ossidazione eccessiva e, combinandosi con gli antociani, rafforzano il colore dei vini rossi.
  • Terpeni volatili (eugenolo e isoeugenolo) che rilasciano gli aromi di cannella e chiodi di garofano.
  • Cumarine (derivati dell’acido cinnamico), sempre in  bassa concentrazione, ma si avvertono per gli aromi di fieno o di erba.
  • Guaiacolo, che rilascia aromi tostati e di fumo.
  • Aldeidi furaniche, che rilasciano armi di nocciola, mandorla, caramello, burro dorato.

 

Tipologia delle botti

Per il vino si usano botti e barili di diverse dimensioni. Una volta si usavano botti molto grandi e certe erano veramente enormi (ne ho già parlato in un articolo precedente), invece attualmente sono più popolari i barili e i barilotti piccoli, più facilmente movimentabili anche a mano nelle cantine, sebbene abbiano una vita attiva molto breve perché non si può rinnovare l’interno con l’asciatura.

La loro capacità è di circa 225 litri, poco più o poco meno a seconda delle tradizioni regionali; di solito sono usati per l’influsso del rovere sul vino soltanto quando sono nuovi e nei successivi due o tre passaggi, poi si possono usare semplicemente come contenitori inattivi oppure mandati… in fumo!

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Questi barili erano un tempo tipici solo della regione del Chianti (chiamati carati e caratelli) in Italia e delle regioni di Bordeaux e Borgogna (chiamati barriques), ma nei decenni finali del secolo scorso si sono diffusi praticamente in tutte le regioni vinicole del mondo. I vini maturati in tali barili (spesso contrassegnati con ”barrique” perfino sull’etichetta) sono si caratterizzano generalmente con evidenti aromi di rovere.

In Italia si utilizzano maggiormente le grandi botti di rovere di Slavonia con capacità diverse (di solito da 3.000 a 5.000 litri) in cui, a causa della minore percentuale della superficie di legno per litro, il vino matura qui molto più lentamente che in barrique, spesso anche 5 o 6 anni e perfino di più, ma non guadagna aromi evidenti di rovere, anche quando le botti sono completamente nuove.

Invece in Piemonte si usano anche il fusto da 1.000 litri e il mezzo fusto da 500 litri e in Francia e anche in alcune regioni italiane, qua e là, si usa pure il tonneau da 900 litri. Altri tipi di botti tradizionalmente usate per la fermentazione e l’invecchiamento dei vini bianchi in Germania, Alsazia, Europa centrale e scandinava sono i fuder con capacità diverse da regione a regione tra 800 e 1200 litri, spesso di sezione trasversale ellittica per adattarsi meglio agli antichi tipici seminterrati.

Ultimamente si costruiscono anche botti a forma di uovo per eliminare ogni angolo di ristagno del vino durante i moti convettivi delle particelle in sospensione che ne caratterizzano la fase di maturazione in legno.

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