Lo stappo: PrimaTraccia anfora Controvento

Lo stappo: PrimaTraccia anfora Controvento

Lo stappo: PrimaTraccia anfora Controvento

Per produrre un eccellente vino non è necessario essere famosi, né dichiararsi ribelli solo per attirare l’attenzione.

Spesso i veri innovatori si trovano tra coloro che lavorano in modo discreto, evitando il clamore.

Eseguire il proprio lavoro in vigna e in cantina con rispetto e sostenibilità autentica, evitando di trasformarsi in alchimisti moderni, è diventato sempre più raro, nonostante la proliferazione di etichette stampate in modo ingannevole e di eufemismi grafici e lessicali che tentano di emulare questa realtà.

Senza voler necessariamente polemizzare (ma sì, perché no?), un vino naturale, derivante da un lavoro ben eseguito in vigna.

Rimane semplicemente un succo d’uva fermentato con lieviti autoctoni (certamente, anche quelli presenti sulle pareti della cantina), senza l’aggiunta di “aiutini” chimici o processi impattanti, tranne quando strettamente necessario l’uso minimo di SO2.

Al contrario, e non mi stancherò mai di ribadirlo, alcune forme di sostenibilità enfatizzate ovunque, spesso in base a regolamenti e disciplinari discutibili, talvolta suggeriti più o meno apertamente da lobby del settore e acriticamente accolti nella nostra nazione, consentono legalmente l’uso di numerosi additivi chimici e processi impattanti in cantina e, ahimè, anche pratiche discutibili in vigna. Interessante, vero?

E quindi?

Elogiare, incoraggiare e sostenere coloro che scelgono percorsi alternativi, preoccupandosi solo quanto basta (in alcuni casi, per nulla) di etichette e denominazioni, per lavorare effettivamente in modo sostenibile, non solo a parole come alcune etichette tendono a fare.

Così, qualche sera fa, sulla tavola di chi scrive, come spesso accade, è stato il momento di gustare un vino proveniente da uno di questi produttori.

Un vino che, solo en apparence, sembrava essere acqua & sapone.

Ma nell’accezione più positiva del termine, perché proprio come certe donne definite così, ha la sottile e gratificante seduzione di starci bene insieme, una qualità sempre più rara sia per le donne che per i vini…

Un Montepulciano d’Abruzzo forse inconsueto.

Affinato in anfora, ma candido e lineare come pochi proprio perché semplice ed estremamente ben fatto.

Controvento.

Un piccolo angolo di paradiso verde che sembra quasi volersi tuffare nel blu dell’adriatico di Rocca San Giovanni (CH).

Dove Vincenzo Di Meo Campano-Napoletano-Flegreo ormai trapiantato in Abruzzo, tira su uve in modo del tutto naturale, tassativamente senza sostanze chimiche di sintesi, vinificandole solo per mezzo di processi liberi e naturali.

Si, qui da Controvento non “parole alate”, ma forma che è reale sostanza!

Evviva!

Vino nella sua essenza e basta.

Vino nelle chiare e leggibili emozioni.

In calice esordisce con un bel rosso rubino appena opaco.

Assolutamente lontano da quelli “macchiatovaglie” di altri Montepulciano e archetti giusti al punto giusto…

Al naso è subito profondo ed elegante.

Tanta frutta rossa matura e fiori.

Rosa, ciliegia e viola anzitutto, ma anche un insolito sentore di mandorla (quasi balsamico) che mi ha rammentato quello di una nota colla in barattolo metallico che furoreggiava negli anni ’60 del secolo scorso.

Sentore non troppo frequente in un rosso, ancor meno in un Montepulciano d’Abruzzo.

Ma non unico nei vini figli di questo gran vitigno, simbolo enoico di questa regione.

Il sorso complessivo va quasi all’unisono con il naso, ed è levigato, succoso e fresco, con una beva piacevole sostenuta anche da una bella spalla acida e dalla giusta persistenza, quest’ultima resa più briosa da guizzi di balsamico che vivacizzano il frutto.

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