Marco Brioschi: “Sviluppare un piatto dagli scarti è essenziale”

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Marco Brioschi: “Sviluppare un piatto dagli scarti è essenziale”

“Gli scarti di cucina? Perfetti per gli amuse bouche. Non abbiamo bisogno di cercare a tutti i costi qualcosa di nuovo, i nostri nonni non buttavano via niente, la carota neanche si pelava, bastava grattarla sotto l’acqua, un gesto ordinario che oggi richiede un’attenzione diversa”.

Per Marco Brioschi, resident chef Academy Gambero Rosso, l’acqua è lo spreco numero uno da contenere, poi viene tutto il resto.

Ma la via per la consapevolezza sembra ancora lontana, nella quotidianità come nell’alta ristorazione.

L’occasione l’ha offerta il Global Summit sulla Sostenibilità, seconda edizione organizzata da Fondazione Gambero Rosso con il sostegno del Gruppo Intesa Sanpaolo il 31 gennaio scorso nella torre green progettata da Renzo Piano, a Torino.

Chef Brioschi, un menu per accompagnare il summit sulla più grande sfida globale, la sostenibilità, questione ormai improrogabile anche per le aziende del settore agroalimentare. Come ha declinato le sue Proposte di Cucina Sostenibile ?

Sono partito dal concetto del km 0, ho lavorato sull’idea di riciclare più scarti possibile sfruttando pochi ingredienti stagionali nella loro totalità, con alcuni omaggi alla cucina di tradizione piemontese e ligure e ad alcuni prodotti locali.

Ho scelto lo sgombro come pesce a basso costo proveniente dalla Liguria, un pesce poco utilizzato ma importante nutrizionalmente, ho completato il piatto con una maionese fatta con olio aromatizzato con foglie di sedano.

Per l’insalata russa, ho utilizzato tutte le parti degli ortaggi come foglie e scarti. La maionese sullo sgombro è fatta con un olio aromatizzato con foglie di sedano.

La Tartelletta di pane raffermo, cavolfiore e fondo di verdure bruciate ha come base il pane vecchio, tutti gli scarti degli ortaggi impiegati diventano un fondo bruno di vegetali e una polvere.

Per lo sformato verde di patate e topinambur ho sfruttato pochi ingredienti stagionali nella loro totalità, per la besciamella a base vegetale ho utilizzato le varie acque di cottura.

Il dolce ha una lavorazione semplice ma che valorizza al massimo il territorio: Ricotta di Seirass, crumble al mais, pralinato di nocciole salato e lamponi.

Un lavoro impegnativo.

Diciamo che questo genere di cucina non è così facile. Con le tecnologie oggi a disposizione si sono fatti però molti progressi.

Le cotture a bassa temperatura, a pressione, con estrattori permettono di utilizzare di più e meglio le parti del vegetale che prima rimanevano inutilizzate, lo stesso in termini di conservazione e stoccabilità.

Così facendo si scoprono nuovi gusti?

Sì, anche. Si tratta di sapori a cui i nostri nonni erano abituati perché in passato non si buttava via niente, il prodotto veniva utilizzato integralmente, la carota neanche si pelava, bastava grattarla sotto l’acqua.

Concetti applicabili alla cucina quotidiana?

Si deve, assolutamente.

Nei ristoranti è più facile perché gli scarti si impiegano per il vitto del personale, io personalmente amo utilizzarli nelle entratine gourmet, sono perfetti per gli amuse bouche, sviluppare un piatto dagli scarti è essenziale, un valore aggiunto per il ristoratore. Ai ragazzi della Academy dico prendete foglie verdi, sedano, zucca e provate a elaborarli in tutti i modi possibili: crema, confit, sottovuoto, fondi, semi soffiati, chips, polveri.

Tanta tecnica che conta addirittura di più della conoscenza di un gran numero di ricette, comunque essenziali.

La tradizione è importante, quel che dico anche ai ragazzi è che non interessa tanto la ricetta della besciamella o della salsa Mornay quanto imparare la tecnica in modo da applicarla a tutte le preparazioni.

Temperature e tempistiche di cottura sottovuoto interessano sì ma prima di quello bisogna conoscere la tecnica della sgasatura, il perché si sceglie il sottovuoto, perché si utilizzano sacchetti da cottura sous vide, cioè le basi.

L’utilizzo di sacchetti da cottura non pone problemi ecologici di smaltimento?

Ultimamente stanno introducendo sacchetti biocompostabili.

Piuttosto carente è a mio avviso il discorso del packaging e del trasporto dei cibi che arrivano dall’altra parte del mondo, pratica diffusa anche nella grande distribuzione ma la gente non fa caso a questo.

Uno degli sprechi maggiori che vedo è l’acqua utilizzata per scongelare, lavare, sciacquare, gesti ordinari e purtroppo difficili da contenere.

Prendiamo un baccalà da dissalare sotto l’acqua corrente, che poi va cucinato, vanno lavate le stoviglie utilizzate e l’ambiente dove si è lavorato.

In questo caso l’acqua è indispensabile in tutti i passaggi.

È la risorsa più sfruttata e non ci si rende conto di quanta ne va utilizzata o peggio sprecata, il primo a dover mostrare sensibilità sull’argomento sarebbe il ristoratore che paga la bolletta.

Va detto però che esistono tecniche utili per consumare meno acqua.

Cuocere a bassa temperatura permette di lavorare grandi quantità di prodotto nella stessa vasca con dell’acqua che non evapora.

Diversamente se faccio una brasatura a lunga cottura, è probabile che debba aggiungere altro liquido per rimpiazzare quello disperso con l’evaporazione durante la cottura.

Al consumo di carne soprattutto rossa, aumentata in maniera esponenziale, vengono imputati in modo significativo impatto ambientale e spreco alimentare.

In effetti la carne è la maggiore fonte di proteine biodisponibili, le alternative sono numerose ma è difficile che possano reggere gli attuali consumi .

Oggi c’è gente che mangia carne tutti i giorni perchè c’è più benessere diffuso, perchè va di moda, perchè un pezzetto di pollo o di manzo costano davvero poco per quanto gli allevamenti siano più o meno “puliti”.

Certamente, se voglio un pezzo di Kobe, o Wagyu americano oppure asado argentino in questo preciso momento posso mangiarlo dovunque nel mondo senza pensare che arrivano da allevamenti intensivi a tracciabilità ridotta e magari per via aerea.

Ci siamo abituati alla comodità, si preferisce prendere il petto di pollo tagliato in fettine sottilissime quando invece basterebbe prendere un petto intero e tagliarlo da sé con un certo risparmio, meglio ancora acquistando il pollo intero e suddividendolo per diverse preparazioni, si spenderebbe molto meno e porteremmo a tavola piatti diversi, patè di fegatini, brodo, spezzatino.

Non siamo nemmeno più abituati al morso, ci piace il morbido e succoso, se mangi un galletto dalle carni ‘toste’ non risulterà altrettanto piacevole, è un fatto di educazione alimentare.

La cucina del futuro sarà vegetale?

Sicuramente, i grandi chef puntano a quello.

Vegetale non significa non buono, esistono tantissimi piatti basati su un solo ingrediente in tutte le sue forme.

Quindi largo alla tecnica, una melanzana posso farla arrostita, in purea, sottovuoto, glassata, soffiata e altro ancora.

Purchè nella sua stagione, allora sì che potrà dirsi un piatto sostenibile.

L’alta cucina è abbastanza virtuosa in questo senso?

Si spinge in quella direzione, molte di queste realtà però sono economicamente supportate.

Non è così facile far quadrare i conti di un ristorante di un certo livello, più è prestigioso più avrà del personale da retribuire.

In America c’è un tre stelle Michelin con menu solo vegetariano, costa 300 dollari a persona e li vale tutti.

C’è molto studio dietro una proposta del genere, non è facile essere virtuosi in questo senso ma è possibile.

In Italia?

Nel nostro Paese esiste una grande tradizione del recupero, la maggior parte dei piatti italiani sono piatti poveri, figli del recupero.

Il raviolo del plin ai tre arrosti nasce dal recupero delle carni preparate per il pranzo di Natale, i canederli dal recupero del pane raffermo, così i passatelli, la panzanella, la pappa col pomodoro, tutte preparazioni che derivano dal recupero di altri ingredienti.

Perciò non abbiamo bisogno di andare a cercare a tutti i costi qualcosa di nuovo.

Però sul gourmet si può essere più etici, scegliendo una filiera più consapevole e attenta agli sprechi.

Il Kobe viene dal Giappone e arriva da noi con l’aereo, c’è qualcosa che stride.

Qualcuno ha proposto di mangiare direttamente sul tavolo per risparmiare su tovagliati, acqua per lavarli e servizio, come la vede?

Sono estremizzazioni.

Il tavolo su cui mangi devi lavarlo forse anche di più, sgrassarlo.

Diciamo che è più un fatto di marketing, per fare scena anziché un vero e proprio pensiero. Il ristorante zero waste invece lo trovo invece correttissimo.

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