Il Pane senza lievito e gli asini che volano

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Quando si gode di una certa visibilità o popolarità, bisogna purtroppo stare attenti

     Perché la popolarità non ti consente di esprimerti liberamente come se stessi parlando con qualche amico: tra le decine di migliaia di persone che ti seguono, ci saranno decine di individui che interpreteranno a modo loro le tue parole e senza volerlo potresti creare dei danni nel modo in cui alcune persone fanno determinate scelte, in particolare in campo alimentare, dove purtroppo c’è ancora tanta ignoranza.

     Tempo fa mentre facevo i miei cinque minuti di “zapping” quotidiano su Facebook, mi imbatto in una foto di un bellissimo pane, realizzato da una persona molto seguita, accompagnato da una piccola digressione sul fatto che quel pane fosse stato realizzato “senza lievito”.

     Ammetto di aver avuto un mancamento, perché non ritenevo possibile che una persona di quella bravura cadesse in un errore così grossolano.

     Al di là dell’errore che ci può sempre stare perché non si finisce mai di imparare, il problema era che, sicuramente senza volerlo, questo pane “senza lievito” andava a rimpinguare la dannosa e ignorante corrente del “senza”: il cornetto senza burro, il plum-cake senza zucchero, la carbonara senza uovo, la pasta senza pasta.

La cultura del “senza”, l’invenzione più inutile del secolo

     Se si parla con qualcuno di questi appassionati del “senza” (ed esistono siti interi dedicati a questo tema e persone devote al dio del “senza qualcosa”) ti viene sempre risposto che la motivazione del “senza” è da ricercare in chi per problemi di salute o intolleranze è costretto ad eliminare alcuni alimenti dalla propria dieta.

     Sicuramente per chi ha problemi di salute questo mondo del “senza” può essere utile, ma peccato che in realtà la quasi totalità delle persone che seguono e ricercano il “senza qualcosa” o sono persone che si sono autodiagnosticate qualche malattia o intolleranza che in realtà non esiste, o sono persone convinte che quell’alimento faccia male, sia dannoso, sia veleno, sia cancerogeno.

     Basta pensare a quelli che “senza farina 00” perché è cancerogena, l’ha detto lo scienziato alla TV;  a quelli che “senza burro ma con l’olio” perché il burro fa morire;  a quelli che “senza l’olio di palma” perché mio cuggggino mi ha detto che fa male.

     Giudizi per la maggior parte privi di qualsiasi fondamento scientifico, di qualsiasi dimostrazione o prova a supporto delle sensazionalistiche dichiarazioni, frutto spesso di articoli su siti “acchiappaclick” o di catene di sant’Antonio del nuovo millennio.

Tra le varie teorie complottistiche del senza, una che si è diffusa recentemente è che “il lievito di birra fa male”, la pasta madre o lievito naturale no!

     Chi vi scrive è un “cultore” della pasta madre, quindi figuratevi se a me non può far piacere che ci sia una maggior attenzione alla “lievitazione naturale”, ma il vero problema è che anche il famigerato “lievito di birra” è del tutto naturale, e che nella vostra bellissima e coccolatissima pasta madre c’è anche lui, il saccharomices cervisiae, il lievito di birra.

     Ebbene sì, la pasta madre è costituita da batteri e lieviti e la parte di “lieviti” nel vostro panetto di pasta madre è costituita da diversi tipi di microorganismi tra cui si trova anche quello che compone il lievito di birra.

     Per cui chi asserisce che è “allergico al lievito di birra” o che il lievito di birra fa male, e quindi usa la pasta madre e sta meglio, dice solo una cavolata e se veramente si sente meglio è solo l’effetto placebo o il problema è da ricercare altrove ad esempio nei tempi di lievitazione.

Quando il popolo del “senza lievito di birra che fa male” ha visto quella foto di quel bellissimo pane senza lievito, si è scatenato il finimondo.

     Centinaia di persone che trovavano sostegno alla loro tesi che il “senza lievito” faceva più bene. Il creatore di quel pane cercava anche di spiegare che in realtà lo scopo non era quello ma semplicemente uno studio su un modo diverso di fare il pane, per riscoprire nuovi profumi e nuovi sapori. Ma ormai il danno era fatto.

     Il vero problema era che anche il creatore non riusciva a spiegare bene perché quel pane “senza lievito” fosse lievitato correttamente, e il popolo del “senza” comprendeva solo che quel pane era più sano perché “senza lievito”, e tutti i panifici d’Italia avrebbero dovuto realizzare quel pane perché altrimenti erano complici di avvelenare i clienti.

Questo è l’ennesimo problema dovuto alla cultura del “senza”

     I clienti si autoconvincono a tal punto di determinate castronerie che l’industria e gli artigiani, anche se sanno che non è così, iniziano ad accontentarli per aggredire nuove quote di mercato e non restare fuori da questa nuova richiesta di prodotti alternativi.

     Per chi ha ancora un poco di spirito critico lo si può notare passeggiando in un supermercato dove ormai le corsie sono sommerse di prodotti con “farina integrale”, “lievito madre”, “senza olio di palma”, tutti prodotti che fino a solo 2 anni fa non esistevano.

     Industrie dolciarie ed alimentari che fino a 6 mesi fa riempivano biscotti, merendine, dolciumi, snack salati di ogni schifezza chimica immaginabile, ora dandosi pure la zappa sui piedi dicono che stanno facendo “pulizia” e usando ingredienti migliori.

     Poi vai a leggere le etichette (che il popolo del “senza” non capisce quasi mai) e leggi che la famigerata “farina integrale” non è altro che farina 00 a cui viene aggiunta una manciata di crusca, invece di darla ai maiali. L’olio di palma viene sostituito da altri olii vegetali di dubbio profilo nutrizionale o da fibre alimentari solubili, e il lievito madre è usato solo come aromatizzante in quanto la lievitazione è affidata al “pericolosissimo” lievito di birra. Ma i clienti sono contenti, pure se vengono fregati.

E quindi, nel caso del pane senza lievito, cosa è successo?

     Esattamente la stessa cosa. Sono bastati pochissimi giorni da quella foto per vedere panificatori, professionisti, pizzaioli, pasticceri, docenti di arte bianca, letteralmente impazzire a realizzare prima di altri questo pane senza lievito come se fosse la scoperta del secolo.

Per non parlare dei panificatori amatoriali che sembrava che bisognava immediatamente impadronirsi di questa tecnica… pena essere esclusi dal mondo.

     I panifici hanno cominciato dopo meno di 15 giorni a venderlo (a carissimo prezzo, ovvio) come l’ultima frontiera della salute e i clienti, nella loro beata ignoranza, hanno cominciato a comprarlo svenandosi convinti delle sue proprietà miracolose perché era senza lievito.

Peccato che il lievito, in quel pane, ci sia eccome

     Ecco i risultati disastrosi che può avere una semplice foto di un bel pane accompagnata da un testo scritto con ignoranza della teoria. Perché Pratica e Teoria, spesso, non vanno di pari passo e ci possono essere bravissimi panificatori che però non sanno quasi niente di quello che stanno realizzando e del perché si verificano certi fenomeni.

     Sarebbe bastato scrivere che quel pane era “senza lievito AGGIUNTO” per dare già una informazione più corretta e con un senso diverso.

     E voglio provare a spiegarvi il perché, sperando che mi seguiate nel ragionamento: in natura, nell’aria che respiriamo, sulle pareti delle nostre case e laboratori, sulle nostre mani, sulla frutta che abbiamo a centro tavola, ci sono milioni o miliardi di microorganismi di tipi diversi, tra cui sicuramente dei lieviti. Microorganismi che vagano nell’aria o che possiamo spostare semplicemente camminando accanto ad una impercettibile chiazza di muffa su una parete. Lieviti e batteri che possono andare a finire in un impasto e farlo lievitare.

E non finisce qui!

     La farina (per semplicità ci riferiamo al solo grano tenero) viene prodotta andando a macinare il chicco di grano, chicco che per quanto possa essere protetto dal suo strato protettivo esterno, cresce all’aria aperta che, come già detto, è ricca di microorganismi di tanti tipi che si depositano anche sul chicco.

     Una volta macinato è inevitabile che una parte di microorganismi finisca all’interno della farina. Quanti ne finiscono dipende dal tipo di cereale, dal tipo di coltivazione, dalla stagione, dall’umidità, dai sistemi di pulitura e macinazione… ma ci finiscono.

     Ora, per chi non lo sapesse, la lievitazione è quel processo in cui alcune cellule si cibano di zuccheri semplici producendo come sostanza di scarto dei gas che di solito possono essere anidride carbonica e/o alcool. Questi gas, trattenuti dall’impasto, lo fanno “lievitare” ovvero gonfiare.

     Basta aggiungere dell’acqua ad un poco di farina e dopo 24-48 ore già potremo vedere i segni di una produzione di gas tramite piccole bollicine: sono proprio lieviti e batteri che erano contenuti nella farina e nell’aria, che si stanno nutrendo degli zuccheri della farina e si stanno moltiplicando.

D’altronde è così che si crea la pasta madre.

     L’aggiunta di eventuali elementi come purea di frutta, zuccheri etc. serve solo ad accelerare o migliorare il processo, ma fondamentalmente acqua e farina sono sufficienti perché nella farina e nell’aria sono già contenuti milioni (o miliardi) di microorganismi necessari a far partire la fermentazione.

     Addirittura anticamente la pasta madre si creava usando dell’acqua in cui veniva sciolto dello sterco di mucca ricco di lieviti e batteri intestinali, procedendo poi a numerosi rinfreschi si purificava l’impasto e lo si riusciva ad usare.

Quindi capite che parlare di “Pane senza lievito” è come dire che gli asini volano!

     Non esiste, e non può esistere, un pane fatto senza lievito. Qualcuno potrebbe obiettare che esiste il pane azzimo, o la più nostrana piadina, ma quelli sono pani non lievitati, il che è diverso. Provate a fare l’impasto della piadina e lasciarlo 2 giorni nella ciotola ben coperto o meglio ancora vicino a della frutta ben matura (su cui a causa delle numerose sostanze zuccherine si deposita una quantità enorme di lieviti e batteri presenti nell’aria) e vedrete i segni di una fermentazione e produzione di gas.

     Il termine giusto per spiegare tutto questo è “fermentazione spontanea” oppure dire che si è fatto un prodotto “senza lieviti aggiunti”.

     La fermentazione spontanea, a differenza di un impasto fatto aggiungendo lievito “esterno”, ha necessità di tempi più lunghi perché ovviamente in percentuale la quantità di lieviti presenti nella farina o nell’aria sono infinitesimali rispetto a quelli che sarebbero necessari per scatenare subito la lievitazione.

Accelerare il processo

     Per accelerare questo processo la tecnica del “pane senza lievito” (in realtà ne esistono molteplici, ma per semplicità vi spiego quella più usata) prevede che si faccia un impasto con dell’acqua quasi bollente e lo si lasci riposare 24 ore almeno.

     L’acqua bollente a contatto con la farina “fredda” arriva ad una temperatura che non uccide i lieviti presenti nella farina ma anzi aumenta notevolmente il loro metabolismo, inoltre aumenta anche la velocità con cui gli enzimi presenti nella farina (ne parleremo in altro articolo) scompongono gli zuccheri complessi (amido) in zuccheri semplici che vanno a costituire immediatamente il cibo per i nostri lieviti.

Ed ecco che già dopo una decina di ore si inizieranno a vedere le prime crescite del nostro impasto a fermentazione spontanea.

     Non è un caso che in questi procedimenti quasi sempre si usi insieme all’acqua calda della farina di segale o farina integrale biologica: il motivo è da ricercare nel fatto che queste farine contengono una altissima quantità di enzimi, in particolare la segale, e che essendo farine in cui viene preservato lo strato esterno del chicco, siano più ricche di lieviti e batteri autoctoni.

Provate ad avviare una fermentazione spontanea con la farina 00 che trovate al supermercato…

     E’ quasi impossibile a meno che il vostro ambiente non sia “carico di lieviti”, infatti conta anche l’ambiente perché come dicevo prima i lieviti sono contenuti oltre che nella farina, anche nell’aria.

     E in un panificio che usa lievito a chili ogni giorno, ci sono milioni di cellule di lieviti disperse nell’aria, sulle pareti, sulle attrezzature, sulle mani e sugli indumenti di chi ci lavora.

     Avviare una fermentazione spontanea in un panificio o a casa propria dove magari non si è mai fatto pane, porta a due risultati completamente diversi. Quella fatta a casa potrebbe anche non partire mai, quella in panificio avere un risultato esplosivo.

     E infatti ricordo che dopo quella famosa foto in tanti ci provarono a fare il pane “senza lievito” ma ci riuscivano bene solo quelli che lo realizzavano nel proprio panificio o laboratorio. Chi provava a farlo a casa dove magari non panificava da un mese aveva risultati molto deludenti. Chi invece era un abituale panificatore domestico aveva risultati molto simili a quelli dei panifici.

Ma in realtà, perché mai si dovrebbe realizzare un pane senza lieviti aggiunti? Quali sono i suoi vantaggi?

     A livello salutistico esattamente nessuno. Basterebbe fare un pane con lievito aggiunto seguendo gli stessi tempi della lievitazione spontanea (quindi circa 30 ore di lievitazione dall’impasto alla cottura) per ottenere esattamente identica digeribilità, identico indice glicemico, identica presenza di Sali minerali, vitamine, lipidi e quant’altro, perché tutti questi fattori non dipendono dal tipo di lieviti o lievitazioni, ma esclusivamente dal tempo che viene dato all’impasto per trasformarsi principalmente grazie all’opera degli enzimi, in maniera minore ad opera dei batteri ed in maniera ancora minore ad opera dei lieviti.

     All’interno di un pane che viene fatto fermentare esclusivamente dalla popolazione di lieviti e batteri presenti nell’aria e nella farina, si formeranno delle sostanze “di scarto” che caratterizzeranno il suo sapore, profumo, consistenza e durata e che saranno diverse a seconda delle farine usate, ma addirittura a seconda del giorno in cui si fa il pane.

     In una giornata molto umida o in un periodo di vendemmia, i lieviti e i batteri presenti nell’aria saranno diversi rispetto a quelli di una giornata secca o nel periodo della mietitura, e di sicuro influenzeranno il sapore e il profumo di quel pane.

     Anche i lieviti e batteri naturalmente presenti nella farina, anche a parità di marca e tipologia, cambieranno a seconda dei periodi di raccolta, delle piogge che sono state presenti mentre il grano cresceva, dell’umidità di stoccaggio, della “vecchiaia” della farina, cioè da quanto tempo è stata prodotta.

L’unica cosa che sicuramente cambia è la componente di sostanze e acidi organici volatili e non.

     Quindi, quando si realizza un pane senza lievito aggiunto, si scopre ogni volta un pane con gusto e profumi differenti, ma che non fa miracoli e che non fa assolutamente “più bene” di un pane realizzato con una giusta lunga lievitazione e con le stesse farine. Sono IDENTICI dal punto di vista nutrizionale e salutistico.

     Spero infine di avervi fatto capire che parlare di “pane senza lievito” è una grandissima cavolata, dettata solo da ignoranza della materia oppure, per chi è in mala fede, dalla voglia di fregare i propri clienti-polli con l’ennesima trovata “salutista” che in realtà non esiste.

     Se invece vi si vende un pane “senza lievito” adducendo al fatto che sentirete profumi e sapori particolari e magari diversi ogni giorno, allora l’informazione è corretta, dovrete solo decidere se vale la pena o no spendere questi soldi in più, l’importante è avere la consapevolezza che non state comprando qualcosa che “fa meno male”.

     Fatevi furbi, informatevi, studiate, non credete agli asini che volano e non fatevi spillare soldi per un pane “senza lievito” che in realtà di lievito ne è pieno.

La foto in evidenza è stata reperita in internet e non è di nostra proprietà.