di Giustino Catalano
Pietro Querini è stato un commerciante veneziano del XV secolo, noto per essere stato protagonista di un famoso naufragio sull’Isola di Røst, un’isola all’epoca degli avvenimenti disabitata del Mar Baltico. La sua storia è stata tramandata fino ai giorni nostri attraverso il diario di bordo, scritto da lui stesso, che descrive in dettaglio le difficoltà incontrate durante il viaggio, il naufragio e la permanenza sull’isola.
Nel 1431, Querini e la sua nave mercantile, una caracca querina dal nome “Santa Maria della Grazia”, salpò da Candia per un viaggio commerciale verso le Fiandre con un carico di 800 barili di Malvasia, spezie, cotone, cera, allume di rocca e altre mercanzie di valore, pari a circa 500 tonnellate.
L’equipaggio composto da 68 uomini di diverse nazionalità annoverava anche il luogotenente Nicolò de Michele, patrizio veneto, e Cristofalo Fioravante, comito (l’equivalente del nostromo presso la marineria veneziana).
Durante il viaggio, il 14 settembre del 1431, superato il Capo di Finisterre ed entrati nell’oceano Atlantico dalle coste galiziane, la nave incontrò forti tempeste e fu sospinta verso l’Irlanda e poi, rottosi il timone e disalberata, andò alla deriva sospinta dalle forti correnti e i mari sempre più burrascosi.
In tali condizioni fu abbandonata con una scialuppa con a bordo 18 marinai e una nave più grande con altri 46 e il Querini con i 2 ufficiali. Della prima si persero notizie da subito e non se ne seppe più nulla. La più grande vagò per giorni e subì grande decimazione tra gli occupanti approdando fortunosamente il 14 gennaio 1432 nell’isola deserta di Sandøy, vicino a Røst nell’arcipelago norvegese delle Lofoten, con 16 marinai superstiti.
Trascorsa una settimana cibandosi di patelle e scaldandosi furono soccorsi dagli abitanti della vicina Røst che all’epoca dei fatti contava 120 anime (oggi ne ha 488) e che i veneziani chiamarono “Rustene”.
Grazie all’ospitalità di queste genti e nonostante le difficoltà legate a un clima invernale particolarmente ostile, Querini e i suoi uomini riuscirono a sopravvivere e, alla fine dell’inverno, riuscirono a costruire una nuova nave e a ripartire alla volta di Venezia. Il diario di Querini rappresenta una delle prime fonti scritte sull’Isola di Røst e rappresenta un importante documento storico sulla vita dei marinai e commercianti del XV secolo.
La figura di Pietro Querini è stata molto importante per la storia della navigazione e dell’esplorazione delle regioni del Nord Europa.
Il suo diario è una testimonianza unica della vita a bordo delle navi del tempo, e delle difficoltà incontrate durante i viaggi marittimi. La narrazione dettagliata del naufragio e della permanenza sull’isola di Røst offre un contributo importante alla comprensione della vita delle genti di questi luoghi, dei marinai e commercianti del XV secolo.
La scoperta dello stoccafisso, che in questa regione non era sotto sale come nei paesi baschi, è avvenuta molti secoli fa nei paesi del Nord Europa, dove le condizioni climatiche e la tradizione di pesca rendevano difficile la conservazione del pesce fresco.
Con l’essiccazione, lo stoccafisso (alla lettera “pesce bastone” dalla forma che una volta secco assume) poteva essere conservato per periodi molto lunghi e trasportato per grandi distanze, diventando così un alimento importante e grande fonte di proteine.
In origine sia baccalà che stoccafisso sono sempre lo stesso pesce: il Gadus Morhua ossia merluzzo atlantico.
La lavorazione del baccalà è nata quasi certamente nei paesi baschi, come dicevamo, dove vi era maggior reperibilità di sale, e consiste nella conservazione dei pesci puliti, decapitati e spinati, sotto sale.
La lavorazione dello stoccafisso invece, per le condizioni climatiche dei luoghi, si svolge attraverso la pulitura dei pesci (dei quali si essiccano molte parti come teste e ventri) e la loro apertura tenendoli con la coda legati a delle rastrelliere esposte ai venti e al mite sole delle Isole del Nord (Lofoten in testa).
L’operazione di essiccazione si svolge in due fasi. Una prima all’aria aperta di un paio di mesi nel periodo febbraio – maggio e una seconda che avviene al chiuso. Al termine i pesci hanno perso circa il 70% del loro peso iniziale e il loro consumo consiste un prolungato ammollo sotto acqua corrente ( che in quei luoghi non manca assolutamente) e lo sfibramento.
Qualcosa di simile è ripetuto ancora oggi dai veneti con il cosiddetto Baccalà mantecato (che poi è stoccafisso) e lo si comprende bene nella descrizione del Querini nel suo diario.
«Per tre mesi all’anno, cioè dal giugno al settembre, non vi tramonta il sole, e nei mesi opposti è quasi sempre notte. Dal 20 novembre al 20 febbraio la notte è continua, durando ventuna ora, sebbene resti sempre visibile la luna; dal 20 maggio al 20 agosto invece si vede sempre il sole o almeno il suo bagliore… gli isolani, un centinaio di pescatori, si dimostrano molto benevoli et servitiali, desiderosi di compiacere più per amore che per sperar alcun servitio o dono all’incontro… vivevano in una dozzina di case rotonde, con aperture circolari in alto, che coprono con pelli di pesce; loro unica risorsa è il pesce che portano a vendere a Bergen. (…) Prendono fra l’anno innumerabili quantità di pesci, e solamente di due specie: l’una, ch’è in maggior anzi incomparabil quantità, sono chiamati stocfisi; l’altra sono passare, ma di mirabile grandezza, dico di peso di libre dugento a grosso l’una. I stocfisi seccano al vento e al sole senza sale, e perché sono pesci di poca umidità grassa, diventano duri come legno. Quando si vogliono mangiare li battono col roverso della mannara, che gli fa diventar sfilati come nervi, poi compongono butiro e specie per darli sapore: ed è grande e inestimabil mercanzia per quel mare d’Alemagna. Le passare, per esser grandissime, partite in pezzi le salano, e così sono buone (…).»
L’arrivo del baccalà in Italia è legato alle rotte commerciali del Mediterraneo, che hanno permesso lo scambio di merci e culture tra i paesi del Nord e del Sud Europa. Ma sebbene non vi siano certezze assolute è quasi sicuro che al Querini si debba invece la diffusione dello stoccafisso che la Repubblica di Venezia seppe come crocevia di scambio delle mercanzie più rare diffondere lungo le proprie rotte italiane (Genova, Puglie e la Sicilia con la sua matrice araba.
In Campania e principalmente a Napoli per attecchire il baccalà e lo stoccafisso dovranno attendere un’altra sciagura: la peste del 1656 che dimezzò quasi la popolazione da 450.000 abitanti a poco più di 250.000!
Ma questa è altra storia.
In Italia poi vi è una data certa che spinse i consumi di questo pesce: il 4 dicembre 1563. Quel giorno finì il Concilio di Trento che sancì i famosi 200 giorni di “magro” e inserì tra i prodotti consentiti stoccafisso e baccalà.
La scoperta del baccalà e il suo arrivo in Italia hanno permesso di scoprire un nuovo alimento che si è adattato perfettamente alle tradizioni culinarie italiane, diventando un prodotto simbolo che annovera numerose ricette in ogni singola regione, ed è considerato un “pesce di terra” per la sua presenza soprattutto nei ricettari dell’entroterra piuttosto che della costa dove si è sempre cucinato il pescato fresco.
La Norvegia si fregia di un Marchio ombrello che tutela e controlla la qualità dello stoccafisso con ispettori appositamente formati dal Governo con corsi specifici e altamente professionalizzanti. NORGE questo il nome dell’ente. La necessità è data dalla primaria importanza che riveste il prodotto sulla bilancia commerciale del paese con un indotto di migliaia di occupati e 21.000 km di coste pescosissime.
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