Quando è nata la forchetta? Perché si chiama così?
- Fabiana Romanutti
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Forchetta. Nulla sembra più semplice, a noi italiani, che puntare una forchetta nel piatto e arrotolare gli spaghetti. Ma ci sono voluti secoli, diciamo pure almeno un millennio, per arrivare alla semplicità di questo gesto. Sembra appurato che la prima persona a usare una forchetta in Italia sia stata una donna, la principessa bizantina Maria Argyropoulaina, nel pranzo nuziale del suo matrimonio con il figlio del Doge Orseolo II. Era il 1003. Si trattava di una forchetta d’oro a due rebbi, non molto apprezzata dai commensali, che anzi si scandalizzarono del gesto, ma lei impavida continuò a servirsene negli anni successivi, infilzando i pezzetti di cibo che si faceva precedentemente tagliare dagli eunuchi.
(Nella Roma del Tardo Impero la ligula o lingula a due rebbi era usata solo per mangiare i datteri o piccoli dolci al miele. Per portare i pezzi di cibo alla bocca i Romani usavano il coltello).
Il ritardo nell’uso dell’utensile da cucina nei patri lidi è anche da imputare al monaco Pier Damiani che la considerava opera diabolica e ne sconsigliò l’uso ai cristiani. Del resto forchetta deriva proprio da forca. Di fatto la forchetta fu a lungo vietata nei conventi. Ma la si intravede in quest’opera del 1505 San Benedetto a tavola con i suoi monaci.
“Nonostante le diffide della Chiesa, preoccupata anche di mettere in cattiva luce gli usi Bizantini, perdipiù divisi dallo scisma fra Chiesa Cattolica e Ortodossa del 1054, qualche secolo dopo, alla corte fiorentina, la forchetta era certamente utilizzata dalla prestigiosa famiglia Pucci, come testimoniato dal dipinto di Sandro Botticelli “Nastagio degli Onesti, quarto episodio”, del 1483”, scrive Cecilia Fiorentini, su Vanilla magazine.
Caterina de Medici, sposa di Enrico II di Francia, fece portare la sua collezione di argenteria da tavola al banchetto di nozze del 1533, sorprendendo corte e nobili di tutta Europa, ma l’uso ebbe inizio appena nel 1684, quando il Re Sole ne promosse l’uso alla corte di Versailles (non dimentichiamo che la chiesa considerava la posata uno strumento del diavolo, e i Francesi erano cattolici).
Prima di arrivare alla forchetta attuale con quattro rebbi si dovette aspettare la fine del 1800, dopo molti tentativi nei secoli precedenti a tre, cinque, anche sei rebbi. Segnatevi il nome di Gennaro Spadaccini, ciambellano alla corte di Ferdinando IV di Borbone, a Napoli. Fu lui a introdurre il quarto rebbo e ad accorciare la lunghezza delle punte, un utensile perfetto per arrotolare gli spaghetti.
Dal vocabolario Treccani: rébbio [dal franco ripil «pettine con denti di ferro»].
Ciascuna delle punte della forca, del forcone e del tridente, del forchettone o della forchetta:
questo forcone ha i rebbi spuntati; il tridente ha tre rebbi; le forchette da tavola hanno in genere quattro denti o rebbî.
Secondo il galateo la forchetta durante le pause del pranzo va messa nel piatto con i lembi rivolti verso il basso nella posizione delle ore 20.20 dell’orologio.
Finito il pasto, i lembi vanno messi rivolti verso l’alto in posizione parallela alle ore 6.30.
La forchetta da dessert va posta fra piatto e bicchiere con il manico rivolto a sinistra.
Le forchette vanno sempre messe a sinistra del piatto. L’unica forchetta ammessa a destra è quella per le ostriche. Ma Toni Sarcina afferma: questa regola delle forchette a destra come nella scuola francese vale in Francia perchè loro non hanno il primo piatto. Perché dobbiamo passare la forchetta da sinistra per impuggnarla con la destra quando dobbiamo mangiare gli spaghetti? Tutto va disposto a favore del commensale.
Le diatribe sulla posizione della forchetta risalgono ancora all’epoca dei Guelfi (che mettevano la forchetta destra del piatto) e dei Ghibellini che la mettevano al centro dove oggi noi poniamo la forchetta da frutta.
Nel Manuale del cameriere di Graham Browne Karon Hepner, ci informa Martina Marinelli, si citano cinque tipi di forchette: quella grande per primi o secondi piatti di carne, quella piccola per dessert e frutta, quella da pesce, quella da ostriche (piccola con tre punte), quella da lumache (piccola con due punte).
Impariamo a usarla con leggerezza, a posarla garbatamente nel piatto, non carichiamola di troppo cibo, consigliava Irene Brin nel suo Dizionario.
Friulana di nascita, triestina di adozione. Quanto basta per conoscere da vicino la realtà di una regione dal nome doppio, Friuli e Venezia Giulia. Di un’età tale da poter considerare la cucina della memoria come la cucina concreta della sua infanzia, ma curiosa quanto basta per lasciarsi affascinare da tutte le nuove proposte gourmettare. Studi di
filosofia e di storia l’hanno spinta all’approfondimento e della divulgazione. Lettrice accanita quanto basta da scoprire nei libri la seduzione di piatti e ricette. Infine ha deciso di fare un giornale che racconti quello che a lei piacerebbe leggere. Così è nato q.b. Quanto basta, appunto.