La cultura moderna che pervade le nostre dinamiche quotidiane ci porta sempre più spesso e velocemente lontano da percorsi virtuosi in ordine a problematiche ambientali, antropologiche, etiche.
La tutela della biodiversità e la scomparsa di specie, al ritmo di una ogni 20 minuti, non può passare inosservata agli occhi di un fruitore di beni condivisi quali appunto le risorse di un pianeta oramai in sofferenza causato da un debito AMBIENTALE pressante, prossimo al 30 % della sua possibilità di sussistenza.
“Dall’impronta ecologica al debito”
Di tali dimensioni risulta essere, infatti, l’impronta ecologica delle nostre attività, comprese quelle relative alla produzione agroalimentare, che quotidianamente tende a ridurre la sostenibilità delle ATTIVITà umane su questa Terra, ed in questa direzione la tutela della biodiversità si connota come un dovere etico, al pari del diritto dei popoli alla sovranità ed alla sicurezza alimentare.
“si produce, si alleva e si consuma con la Terra e non contro la Terra”.
La normativa europea utile alla salvaguardia della salute pubblica in relazione al consumo di alimenti, si è calibrata su una distribuzione di vasta scala degli alimenti e delle materie prime, per la cui peculiarità si è adottata una visione trasversale, che raccolga le indicazioni generali e particolari (dalla produzione alla commercializzazione), sulle procedure di lavorazione e commercializzazione delle matrici alimentari, dalla fase primaria (allevamento, stabulario di molluschi, mattatoio, pescherecci), attraverso una meticolosa analisi dei processi intermedi (depositi di stoccaggio, sale di preparazione di derivati di carni, latte, prodotti della pesca ed ovo prodotti, pastifici), fino alla fase di confezionamento e distribuzione finale.
Il Regolamento CE 178/2002, primo atto della rivisitazione delle norme sanitarie in campo alimentare, invoca:
“La sicurezza degli alimenti e la tutela degli interessi dei consumatori sono fonte di crescente preoccupazione per i cittadini, le associazioni professionali, le controparti commerciali.”
E ancora
“Occorre far si che la fiducia dei consumatori e delle controparti commerciali sia garantita attraverso l’elaborazione aperta e trasparente della legislazione alimentare attraverso interventi adeguati da parte delle autorità pubbliche per informare i cittadini qualora vi siano ragionevoli motivi per sospettare che un alimento comporti un rischio per la salute”.
Proprio grazie a queste norme si sono sistematicamente ridotte le barriere commerciali contemporaneamente all’innalzamento dei livelli di tutela della salute del consumatore; ma la conseguente progressiva perdita di diffidenza nei confronti di transazioni internazionali, pur senza parlare dei novel foods, ci ha giocato però un brutto scherzo…
Le storiche produzioni agroalimentari hanno favorevolmente subito la modifica degli stili di vita, a partire dall’evoluzione dell’agricoltura, da nomade a stanziale, con il conseguente privilegio delle matrici vegetali (frumento in testa), unitamente all’ulteriore margine di disponibilità di alimenti di origine animale grazie alla pratica dell’allevamento.
Pur tuttavia il dubbio assale il consumatore mediterraneo, che oggi pone interrogativi di tutto rispetto alla comunità scientifica internazionale in riferimento alla “forbice” esageratamente aperta riferita al consumo dei derivati dei cereali, con pane e pasta in testa.
Il Regolamento 1881 del 2006 indicherebbe i valori estremi da riconoscere in grani e farine utilizzati per la fabbricazione di pane e pasta (proprio in virtu’ di quella pratica alimentare che connatura la dieta mediterranea con il relativo consumo da parte delle popolazioni mediterranee di “importanti “quantità di pane, pasta e cereali), per le quali però si avvertono – visti i limiti piuttosto elevati di presenza di OTA, DON e Aflatossina cancerogene – una generosa concessione alla pratica dell’importazione ed il conseguente calo drammatico della percezione di sicurezza alimentare fin qui rappresentate.
Vengono, di fatto, stravolte le indicazioni suggerite per altre matrici alimentari, cagionando forte preoccupazione nel pubblico anche di fronte ad interlocutorie, quanto improprie esternazioni mass mediatiche, che riconoscerebbero ai grani esteri migliori attitudini per la produzione di pasta e per il pane.
Se si pensa che il più forte paese esportatore di grano duro verso l’Italia, il Canada, ha un limite molto più stringente dei tenori di Vomitotossina_ DON, ammissibili per il frumento destinato al mercato interno pari a 1000 p.p.b., oltre il quale non può essere destinato neppure all’industria mangimistica, e dunque considerato un sottoprodotto tossico destinato alla distruzione, non si comprende come nel vecchio continente, invece, tali frumenti possano essere adoperati per l’alimentazione umana (forse perché il solo costo è quello del viaggio?).
Se tutto questo che sappiamo sulla produzione di frumento in Italia, sull’irraggiamento UV e sull’aridocoltura deve essere di guida alle scelte obbligate per la nostra salute, non si comprende come mai, al fine di allargare le maglie di contenimento de tenori di OTA, DON e Aflatossina , il Regolamento Comunitario indichi i livelli massimi di contaminanti ammissibili, da un lato, senza obbligare i servizi territoriali ad una vigilanza attiva sugli opifici e sulle transazioni, cosa che rigorosamente è prevista per carni ed altri alimenti di Origine Animale.
Se poi aggiungiamo le “novità” introdotte dal regolamento recentissimo, il 1169/2011 sull’etichettatura, ci si rende conto come il bisticcio sia palese.
Da queste premesse (che identificano nell’analisi del rischio, nell’adozione dei principi dell’analisi HACCP, nella responsabilizzazione primaria degli operatori e nel concetto di rintracciabilità), enunciate dal legislatore europeo come i cardini del nuovo cordone sanitario, secondo il principio della trasparenza, si deduce il criterio di sicurezza che lo stesso ritiene fondante, ma che di fatto viene disatteso in riferimento alla elevata apertura che i regolamenti comunitari consentono, disattendendo il livello di fiducia dai consumatori che così faticosamente si era cercato di introdurre con il famoso ”pacchetto igiene”, cioè quei Regolamenti Comunitari che hanno ridisegnato l’assetto legislativo relativo alle produzioni, trasformazioni e commercializzazione, degli alimenti (Reg. 852-853-954 del 2004).
Assoluta novità in campo sanitario e merceologico è il coinvolgimento del produttore del settore primario, mediante l’identificazione dell’O.S.A. (Operatore del Settore Alimentare) quale garante in prima persona delle qualità assolute e relative della matrice alimentare da questi immessa sul mercato (oltre che responsabile ultimo di tutti i processi di fabbricazione).
Ma la contraddizione si palesa con la nuova etichetta che si presenterebbe al pubblico come il risultato della autorevole interpretazione scientifica relativa alla conoscenza intima degli alimenti.
Si riporta, allo scopo, la concessione fatta agli operatori che, grazie a questo articolo, non sono obbligati ad indicare la provenienza delle materie prime impiegate per la fabbricazione.
Articolo 8 reg 1169/2001
Responsabilità
1. L’operatore del settore alimentare responsabile delle informazioni sugli alimenti è l’operatore con il cui nome o con la cui ragione sociale è commercializzato il prodotto o, se tale operatore non è stabilito nell’Unione, l’importatore nel mercato dell’Unione.
In un panorama di grandi trasferimenti di alimenti da una parte all’altra del pianeta e le numerose ed imprevedibili transazioni di business tra operatori del settore alimentare ovunque collocati che ne scaturiscono, i Regolamenti che nel frattempo si sono succeduti, integrandosi in un groviglio di articoli, che in sostanza ci obbligano ad uno slalom tra Gazzette Ufficiali per meglio comprendere il significato di dispositivi, le preoccupazioni si levano quotidianamente, percependo così lo sforzo legislativo e come precipuo strumento appannaggio dei grandi gruppi industriali.
Dal principio di precauzione introdotto dal Regolamento 178/2002 che istituisce l’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare (quale organo di consulenza ed assistenza scientifica e tecnica per la normativa e le politiche della Comunità in quei settori aventi rilevanza diretta ed indiretta sulla sicurezza degli alimenti e dei mangimi), fino al richiamato Regolamento 1881/2006, mancato garante del tenore massimo di contaminanti ammissibile negli alimenti in virtu’ della riduzione della evidente caduta della sicurezza percepita da parte del consumatore, per finire con il 1169/11 che ci sdogana una etichetta “arricchita” con le indicazioni nutrizionali, ma impoverita di altre informazioni che ciascun consumatore vorrebbe vedere riportare a caratteri cubitali, ci si può riconoscere come legittimo il principio del sospetto del consumatore”?
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