La Sicilia è anche questo: "U pani cunzatu"
- redazione
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Ho conosciuto una Sicilia che mai avrei immaginato
Spesso si cade in stereotipi che ci impediscono di indagare compiutamente poiché sbarrano la strada della conoscenza.
Lo stereotipo è anche utile perché permette una prima, temporanea classificazione di un fenomeno, però è anche l’anticamera del pregiudizio se non si è in grado di modificarlo non appena si scopre con l’esperienza la sua inconsistenza.
Così la Sicilia nel mio immaginario, dopo una vacanza itinerante di tanti anni fa, era caldo, deserto, sporcizia. Il solito stereotipo basato su Sicilia=mafia, stereotipo che resiste ancora nelle fiction televisive e nell’immaginario collettivo che è stato ormai ampiamente superato dal momento in cui un po’ tutta la gestione politica della nostra penisola ne è inquinata.
Ho conosciuto una Sicilia verde e lussureggiante, ricca di acqua, dove il castagno convive felicemente con gli aranci, il limone con gli olivi e i mandarini.
Una Sicilia che ha la montagna tutta terrazzata e servita da grandi e antiche vasche e percorsa dalle saie, antichi canali di scorrimento e distribuzione dell’acqua per gli orti e i frutteti.
Ho conosciuto la dignitosa vita delle contrade, dove si rispettano antichissimi codici di lealtà e dignità, dove la distribuzione dell’acqua avviene in giorni e orari stabiliti per annaffiare e sorgenti d’acqua fresca e copiosa, sempre disponibili per dissetare chiunque.
Un luogo dove ci si saluta e ci si aiuta, dove è normale quando si panifica portare in dono un pane ai vicini e ricevere in cambio un cesto di prugne, dove spesso il dono non è uno scambio, ma semplicemente il desiderio di condivisione. Ed è parimenti normale che in caso di necessità ci si aiuti ad innaffiare o a prendersi cura degli anziani di casa d’altri.
Ed è vero che c’è riprovazione sociale per chi non si presta ad aiutare qualcuno nel momento del bisogno.
E’ normale “disturbarsi”con una telefonata per chiedere consigli o aiuto, è normale che il medico venga a casa di domenica mattina per medicare ….(quando mai?) e faccia il giro degli anziani di contrada. Davvero, allora, si comprende il senso di “medico di famiglia”.
Qui è normale la convivialità tra vicini di contrada e si vive dentro un piccolo paradiso terrestre.
Tornando a casa mi sono detta che piccole perle sono nascoste un po’ dovunque, ma mi sono chiesta come mai da noi non sia così….e stare a dire che i “nordisti” sono chiusi e riservati mi sembra ancora un ulteriore stereotipo….credo che abbiamo perduto la semplicità del vivere, quell’atteggiamento di apertura e fiducia immediata nel prossimo….ed è un vero peccato poiché la solitudine delle piccole famiglie mononucleari, chiuse nella propria casetta con giardinetto è, a mio avviso, la nuova povertà, una perdita culturale, una mancata occasione di scambio e di ricchezza data dalla diversità.
Cosa vi lascio di gastronomico di questa significativa esperienza? U pani cunzatu!
“Tagghiati nni lu mezzu ‘na vastedda ancora cavura e mittitici ri supra ogghiu di casa abbunnanti, pumarori sicchi a pizzuddi, caciu salatu tagghiatu nicu, sali e ‘na manciata d’origanu friscu. Chiuiti la vastedda e ammaccatila arasciu arasciu. Si vi piaci, agghiuncitici anciove tagghiateb a filareddu o alive nivuri, agghia e chiddu chi buliti. L’impurtanti è chi aviti a servire u pani cunzatu cavuru cavuru”.
Nelle antiche case, come quella in cui ho avuto la fortuna di essere ospitata, c’è ancora il forno a legna nella cucina. Complice il mio lievito madre, abbiamo deciso di panificare. Lo spunto dei padroni di casa è stato dettato dal desiderio di invitare un po’ di amici di contrada e per l’occasione, di preparare “u pani cunzatu”!
Preparare il pane in casa è un bel rito che vale la pena conservare per tutte le implicazioni che comporta
Dalla preparazione che è un elogio alla lentezza, al mettere le mani in pasta e ripercorrere i gesti antichi che ci connettono al passato e alla tradizione, dal profumo indimenticabile della pagnotta appena sfornata che inonda tutta la casa, alla convivialità con gli amici intorno alla tavola.
Si tratta di formare pagnotte di semola di grano duro, di almeno un chilo (oppure il Minno, panino allargato, dello stesso peso). Si taglia a metà quando il pane è ancora caldo e fumante, incidendo i lati e tagliando con un filo (resta rugoso e prende meglio il condimento). Poi, all’interno, si “cunza”, ovvero si condisce con olio, sale, origano, pomodoro e acciuga (ricetta classica).
Come per la pizza, ci sono mille varianti, la più antica delle quali è quella con provola al posto dell’acciuga. E poi con melanzane e altre verdure. Nella semplicità degli ingredienti mediterranei “u pani cunzatu” rende il pane di ogni giorno una pietanza ricca, gustosa e invitante.
Un piatto talmente caratteristico da essere ancora oggi il protagonista di tipiche sagre estive in tutta la Sicilia.
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