Ben pochi, almeno fino a qualche giorno fa, conoscevano la Via Campesina. È forse per questo che ha destato stupore – e qualche critica aprioristica – il cambio di denominazione del Ministero dell’Agricoltura, a cui si è aggiunta la dicitura “e della sovranità alimentare”. Un concetto che nasce per combattere le diseguaglianze e come proposta alternativa al modello neo-liberale del processo di globalizzazione delle imprese, dunque con radici culturali piuttosto lontane da quello del nuovo governo.
Via Campesina (dallo spagnolo, la via dei contadini), organizzazione internazionale di agricoltori fondata nel 1993 in Belgio per coordinare “le organizzazioni contadine dei piccoli e medi produttori, dei lavoratori agricoli, delle donne rurali e delle comunità indigene dell’Asia, dell’Africa, dell’America e dell’Europa”, è stata la prima a lanciare questo approccio: in buona sostanza, la sovranità alimentare nasce per difendere il diritto di ogni Paese a stabilire le proprie politiche alimentari, l’indirizzo di produzione, distribuzione e di consumo del cibo. Politiche che possano rispondere alle esigenze interne e garantire un cibo sano e sostenibile a tutti.
Se ci pensate bene, quello che Slow Food – ad esempio – professa sin dalle sue origini. E non è un caso che Carlo Petrini, già nel luglio scorso denunciava che “c’è il progressivo abbandono della sovranità alimentare, una scelta compiuta e sostenuta da tutti i Paesi del primo mondo, nel corso della cosiddetta Rivoluzione Verde: pur di ottenere raccolti abbondanti senza pensieri, abbiamo consegnato le chiavi dell’alimentazione ai colossi della chimica, che oggi smerciano i semi più diffusi al mondo e al contempo producono i pesticidi. Ma i prezzi di quelle licenze non si potevano reggere, e così si è semplicemente smesso di coltivare”.
In un’Europa che destina un terzo del proprio bilancio all’ormai nota Pac (politica agricola comunitaria), quale politica nazionale migliore di una come quella a cui si richiama il nuovo governo?
“Con tutti i governi c’è stato un sistematico abbandono del concetto di sovranità alimentare, se si pensa anche al fatto che l’Unione europea non eroga più gli ingenti fondi per sostenere le produzioni, ma per garantire delle rendite che si sono poi trasformate in speculazioni finanziarie, vedi la cosiddetta mafia dei pascoli in cui non è importante produrre ma è sufficiente il possesso di qualche somaro non certo per fini produttivi”, afferma come al solito senza peli sulla lingua Nunzio Marcelli, imprenditore agricolo di Anversa degli Abruzzi (L’Aquila), tra i fautori del riconoscimento dell’Igp Agnello del Centro Italia e della creazione della rete Appia che unisce i pastori di tutta Italia
“Se alle parole conseguiranno i fatti sarà una cosa buona”, ammette Marcelli, che ricorda come un’occasione mancata, a proposito di sovranità, anche il disciplinare dell’arrosticino abruzzese che prevede carni straniere.
“Oggi siamo nell’epoca in cui la parola ha la sua importanza in termini di condizionamento dei consensi e in cui purtroppo raramente la memoria assiste coloro i quali sono destinatari delle parole. Le parole dette in un determinato momento hanno una loro efficacia, ma poi si passa ad un’emozione successiva e si dimenticano, questo consente a tante forze politiche di avere più o meno consenso a seconda della capacità di usare le parole come forma di persuasione”.
“Quelli che sono stati i provvedimenti messi in atto proprio dalle destre”, rileva Marcelli, “non sempre hanno lasciato intendere che erano per un’agricoltura di piccola dimensione. La politica che è stata attuata per le aree interne che ha portato all’abbandono di produzioni alimentari a basso impatto a vantaggio dell’economia di scala, ha determinato oltre all’abbandono, anche una perdita della capacità di sopravvivenza”.
“Durante la seconda guerra mondiale”, ricorda l’imprenditore, “la capacità di resilienza delle popolazioni montane durante l’occupazione tedesca è stata elevatissima, oggi basterebbe il 10 per cento di quelle difficoltà per morire tutti di denutrizione!”.
“L’agricoltura”, accusa infine Marcelli, “è servita semplicemente per garantire uno stipendificio e per diversi decenni ha occupato migliaia di persone, in enti retaggio del Ventennio, alle quali non è stato dato adeguato costrutto. Nella Prima Repubblica un ente come l’Agenzia regionale Arssa ha avuto fino a 800 dipendenti: il risultato non è certo stato produttivo, è sotto gli occhi di tutti”.
Marco Signori
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Giornalista pubblicista, dopo un decennio a rincorrere cronaca e politic(i) era arrivato il momento di decidere se cambiare vita o proseguire con questa professione. È stato in quel momento che la passione per la tavola e tutto quello che si cela dietro – anzi, prima – si è trasformata in lavoro. Nel 2017 insieme ad un manipolo di visionari come me fondo Virtù Quotidiane, testata che in pochi anni si afferma nel panorama dell’informazione enogastronomica e non solo abruzzese, al quale si affianca un’agenzia di comunicazione a 360 gradi. Da cosa è nata cosa e gli orizzonti si sono ampliati, è iniziata la collaborazione con alcune guide e con Di testa e di gola.
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