Dalla terra delle “Sidrerie” la Vacca rossa Galiziana
- Giustino Catalano
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Che oggigiorno sia “borderline” parlare di carne sta cominciando a diventare un dato di fatto.
L’allevamento intensivo e una giusta cultura salutista che vuole una riduzione del consumo di carne hanno fatto si che la carne sia diventata sempre più un prodotto da consumare il meno possibile.
Decisamente la scelta vegetariana di molti e la conduzione industriale degli allevamenti hanno contribuito non poco a tale fenomeno di disaffezione dalla classica fettina che ha la memoria di abitudini ormai divenute d’antan.
Eppure la carne non è da demonizzare tout court, rappresentando, nelle giuste dosi e nelle giuste quantità uno degli alimenti di noi onnivori. Nel nostro sito, come ormai molti sanno, ospitiamo le ragioni di tutti e pertanto nel dare spazio agli onnivori ne diamo di pari rispetto e peso ai vegetariani e vegani.
Detto ciò, personalmente, da onnivoro convinto, sono sempre stato dell’idea che la carne se proveniente da allevamenti sostenibili e a misura di benessere animale vada consumata e debba far parte della nostra catena alimentare.
Spesso nel favorire la semplicità e guardare al prezzo dimentichiamo che sulla base di tale ultimo parametro favoriamo proprio degli allevamenti che del principio del benessere non ne tengono alcun conto.
E, peggio ancora, favoriamo la riproduzione forzata di razze selezionate rischiando l’estinzione di razze autoctone che possono in condizioni di allevamento libero produrre ottime carni.
Proprio partendo da tale presupposto vi racconto della razza rossa gallega che da sempre nei paesi baschi, soprattutto nella zona di San Sebastian, accompagna il sidro, bevanda storica del luogo.
Qui, nel ripetere un rito che affonda le sue origini in un tempo nel quale l’accompagnamento carne e sidro era a metà strada tra festa e rito apotropaico, la spillatura della botte di sidro è sempre accompagnata da una bistecca di “vaca rubra gallega” (vacca rossa galiziana) tagliata in tocchetti e suddivisa tra i commensali.
L’animale non è di grandi dimensioni essendo alto al garrese poco meno di 140 centimetri ed ha un’attitudine prevalente alla produzione di carni. Viene tuttora allevato allo stato libero essendo molto rustico e resistente alle malattie.
I capi destinati alla trasformazione in carne sono di una certa età e prevalentemente femmine e questa scelta incide non poco sul prodotto finale che oltre ad avere, per tipologia della razza stessa, un sapore molto intenso e una discreta e gradevole sapidità, è anche fortemente marezzata, ossia con una elevata percentuale di grasso nella fibra.
La marezzatura
È il primo reale segnale dell’allevamento allo stato libero dell’animale che contrariamente a quello che si può pensare non mette grasso esternamente alle fasce muscolari ma proprio al loro interno.
Inoltre le femmine hanno uno strato esterno di grasso dal colore lievemente giallo paglierino che contribuisce in cottura a conferire alla carne un ulteriore sapore intenso.
La Cottura
La cottura di questa carne è ovviamente molto simile a quella di altri bovini, ma per apprezzarne al meglio tutti i sapori è sconsigliata oltre il grado di “medium” poiché l’asciugarsi della fibra finisce con l’appiattire fortemente il sapore. Dopo aver tirato fuori la carne dal frigo 2-3 ore prima della cottura e quando sarà arrivata a 20 gradi circa va posta per due – tre minuti per lato ( a seconda dello spessore) su una superficie rovente su fuoco a fiamma altissima. Il sale va messo sul lato già cotto e mai su quello da cuocere.
Girare con una paletta e mai bucare con una forchetta.Andrebbe mangiata al sangue, ossia tra blue e rare.
Il prezzo al tavolo è intorno ai 50/70 euro kg. per una T-bone (la classica bistecca con l’osso a forma di “T”) o una steak (la nostra fiorentina con osso) ossia, per capirci, poco più di una razza chianina e abbastanza meno di un kobe.
Di formazione classica sono approdato al cibo per testa e per gola sin dall’infanzia. Un giorno, poi, a diciannove anni è scattata una molla improvvisa e mi sono ritrovato sempre con maggior impegno a provare prodotti, ad approfondire argomenti e categorie merceologiche, a conoscere produttori e ristoratori.
Da questo mondo ho appreso molte cose ma più di ogni altra che esiste il cibo di qualità e il cibo spazzatura e che il secondo spesso si mistifica fin troppo bene nel primo.
Infinitamente curioso cerco sempre qualcosa che mi dia quell’emozione che il cibo dovrebbe dare ad ognuno di noi, quel concetto o idea che dovrebbe essere ben leggibile dietro ogni piatto, quella produzione ormai dimenticata o sconosciuta.
Quando ho immaginato questo sito non l’ho pensato per soddisfare un mio desiderio di visibilità ma per creare un contenitore di idee dove tutti coloro che avevano piacere di parteciparvi potessero apportare, secondo le proprie possibilità e conoscenze, un contributo alla conoscenza del cibo. Spero di esservi riuscito.
Il mio è un viaggio continuo che ho consapevolezza non terminerà mai. Ma è il viaggio più bello che potessi fare.