Vino in Tetrapak e in Bag-in-Box, perché no?
- Rolando Marcodini
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Ai vinelli confezionati come si usa dire ”in cartone”, ma più precisamente in Tetrapak e in Bag-in-Box, siamo abituati fin dal 1983, quand’è comparso per la prima volta il Tavernello della CAVIRO di Forlì, la più grande la più grande cantina d’Italia e la prima azienda per volumi di vino prodotti del nostro Paese, ma nei supermercati e negli ipermercati se ne trovano anche in offerta dalla Grecia, dalla Francia, dalla Repubblica Sudafricana, dalla Spagna e dal Portogallo a prezzi concorrenziali.
Questi prodotti dell’enologia più moderna erano stati originariamente promossi per le grigliate in giardino, per i picnic nei parchi e per gli spuntini durante le gite. A suo tempo, infatti, mezzo secolo fa, c’era stato un velocissimo passaparola molto azzeccato tra i distributori di vino e i clienti proprio in questo senso. Così confezionati, in effetti, non circola vetro, che è molto pericoloso quando si rompe sui terreni erbosi dove i bambini devono invece continuare a giocare tranquilli, ma anche nelle vicinanze delle tovaglie stese sul prato oppure nel bagagliaio delle automobili. È sempre meglio evitare che possa rompersi qualche bottiglia durante la movimentazione, perché anche con la più accurata delle pulizie si lasciano comunque dei piccoli ma taglienti residui di vetro che potrebbero far danno alle persone anche in seguito.
Il Tetrapak deve il suo nome a un’azienda svedese che produce questo particolare tipo di imballaggi per alimenti e non solo per il vino, ma anche per l’olio, per il latte e altri liquidi alimentari e non. Si tratta di “un cartone” per bevande composto da tre diversi materiali e perciò è meglio definirlo imballaggio poliaccoppiato. Alla base cellulosica, cioè la carta vergine targata FSC (il Forest Stewardship Council che certifica la corretta gestione forestale e la tracciabilità dei prodotti derivat), vengono aggiunti degli strati di polietilene, che è un materiale plastico, e altri di alluminio, che nell’insieme hanno la capacità di trattenere i liquidi e di proteggerli contro luce, batteri e aria.
Il Bag-in-box (in inglese vuol dire sacco in scatola) è un altro sistema pratico e sicuro, costituito da un sacco resistente di materiale plastico inodore e non riciclato. Questo sacco viene colmato senza incamerare aria e poi, munito di un suo rubinetto, viene inserito all’interno di una scatola in solido cartone. In questo modo l’aria non entra mai a contatto con il prodotto anche una volta aperta all’uso la confezione, poiché la chiusura del rubinetto è sigillata e il sacco si svuota man mano che si consuma il liquido, comprimendosi, assottigliandosi e ripiegandosi su se stesso senza formare bolle. Così s’impedisce molto più a lungo l’ossidazione del vino. Una volta aperto, il prodotto contenuto si mantiene inalterato per diverse settimane.
Gran parte degli scrittori di vino preferiscono non parlarne, credono che non faccia proprio chic occuparsi di questi prodotti, anzi alcuni (i cosiddetti “elevati”) si vantano di non parlare nemmeno dei popolarissimi Prosecco o Lambrusco che considerano vini di serie B, eppure alcuni di questi fanno parte dell’eccellenza enologica. Eppure sono popolarissimi. Un rapporto realizzato da Impact Databank per la rivista statunitense Wine Spectator aveva indicato già nel 2008 il Tavernello come il quinto vino più venduto al mondo con 11,4 milioni di confezioni, pari allo 0,4% del mercato vinicolo mondiale, mentre oggi confermo l’odierno bacino di utenza in Italia è stimabile in almeno 4 milioni di famiglie. La sua filiera agroalimentare è certificata secondo la norma UNI EN ISO 22005:2008 che attesta la rintracciabilità del prodotto lungo tutte le fasi della sua elaborazione, partendo dai viticoltori che producono e forniscono l’uva, passando dalle 32 cantine che la trasformano in vino, per arrivare agli stabilimenti preposti al confezionamento, con una tracciabilità a disposizione sul proprio sito ufficiale che consente di risalire al luogo di origine di ogni singola confezione.
A questo primo vinello “in cartone” se ne sono via via aggiunti anche quelli di altre marche, man mano che altre grandi aziende produttrici di vino si sono attrezzate tecnologicamente per farlo. Il Tetrapak, infatti, comunemente chiamato anche Brik, richiede macchinari da grandi volumi. A differenza del Tetrapak, invece, il Bag-in-box è indicato anche per le aziende più piccole, perché si può imbustare pure manualmente.
Se i vini in Tetrapack e in Bag.in-box hanno così tanto successo fra il pubblico più vasto, qualcuno ne dovrà pur parlare, no? Non essendo ”un elevato” con il nasino all’insù, ma un semplice consumatore un po’ più appassionato di vino, mi sembra giusto parlarne. Non sparate perciò sul pianista!
In Italia e in tutto il resto d’Europa il vinello nei Tetrapak da 1 litro e nei Bag-in-Box da 3 o da 5, 10 e 20 litri è molto economico, ho visto spesso scegliere quest’ultimo tipo di confezione da molti consumatori e, fatto curioso, anche per altri fattori non certo legati alla sua economicità. Una delle ragioni più comprensibili è la stagionalità. Sono vinelli leggeri, si bevono freschi o freddi e d’estate è proprio quello che si cerca di più in ciò che si beve.
Ma il successo di questi vinelli non è da attribuire soltanto a questo o alla comodità della confezione, perché c’è anche una ragione più legata al gusto. I vinelli destinati al Tetrapak e al Bag-in-Box vengono versati nei contenitori praticamente al momento della spedizione, anzi una settimana prima per una comprensibile cautela, inoltre c’è l’obbligo di stampare sempre la data di confezione ed eventualmente, a seconda delle prescrizioni di legge dei mercati di destinazione, anche la data di scadenza, rigorosamente 6 mesi più tardi.
Sono dei prodotti vinificati in modo da mantenere il più possibile quelle caratteristiche di freschezza, leggerezza, lucentezza e trasparenza che ne fanno una bevanda più alla mano del vino in bottiglia, che si può bere con maggiore libertà quando si ha sete, che spegne i forti sapori dell’arrostito e dell’affumicato sulla griglia di ghisa o d’acciaio, senza pretese particolari, escluso quella di contribuire modestamente all’allegria del momento, quando se per sbaglio si scambia il bicchiere non se ne fa una tragedia, esattamente come quando se ne dovesse rovesciare qualcuno.
In sintesi, il loro successo dura fino a quando il prodotto resta fresco, cioè quei circa 6 mesi dalla data di confezione, dopo di che il cambiamento delle qualità organolettiche, più evidente dapprima per quelli bianchi, può addirittura stonare e risultare anche controproducente.
E qui rilevo il solito vero problema di sempre: dove non c’è cultura del vino, non si leggono le etichette, ma si guarda solo il prezzo. Ho visto in vendita in offerta in un grande ipermercato dal nome francese dei vini rossi francesi in Tetrapak con 4 anni di vita, sicuramente ormai avariati, forti di uno sconto del 35% rispetto agli altri. Vero è che si trattava di un punto vendita in un Paese europeo diverso dall’Italia, ma non si sa mai. Questo è il più grande imbroglio contro i consumatori e mi ha fatto male constatare che è stato organizzato proprio da una delle più grosse reti commerciali europee di cui la gente purtroppo dovrebbe potersi fidare e invece ne è danneggiata in modo truffaldino. Anche perché in certi Paesi non si parla nemmeno di sequestri. Quando eventuali controlli multano chi li vende, questi prodotti prendono la via dell’estero, specialmente verso l’Europa orientale, e vengono semplicemente spacciati come buoni altrove, specialmente quando la domanda si fa superiore all’offerta.
È difficile, infatti, concepire le grigliate in giardino o gli spuntini in campagna come dei luoghi dove si possa consumare, col caldo afoso dell’estate, dei vini rossi strutturati, complessi e di gran corpo. Per non parlare poi dei vini bianchi delicati che richiedono temperature impossibili da mantenere all’aperto, specie per chi non ne comprende la necessità. Con tutto il rispetto e l’amore per il vino che si ha, in questi casi sarebbe meglio fare un’eccezione e godersi in santa pace un vinello dissetante piuttosto che pentirsi di aver sciupato per eccesso di puntiglio qualche bottiglia di vino di una certa importanza e non goduta nelle condizioni migliori.
Lo zio intenditore, per una volta, in calzoncini corti e canottiera annodata sulla testa, forse sarà proprio quello che ne berrà più degli altri, magari con l’ottima scusa di dover studiare il modo di interpretare e criticare quel vinello malizioso e intrigante! Scene che, sorridendo, finalmente si cominciano a vedere anche in quel mondo fin qui dominato dalla birra che, con le grigliate, non è molto gradevole e comunque non soddisfa il palato, specie alle temperature decise più dai raggi del sole che dalla strumentazione di campeggio, ma soprattutto fa puzzare l’alito.
E d’inverno? Ne parlo proprio adesso, in inverno, perché nei supermercati e negli ipermercati delle grandi catene occidentali se ne vendono di meno, ma si moltiplicano maggiormente i rischi di comprare prodotti rimasti invenduti per via della scarsa attenzione alle date di confezione e ai 6 mesi di durata ulteriore che, ripeto, sono fondamentali per godere in pieno delle loro caratteristiche organolettiche.
Non va dimenticato che, finita l’estate, anche chi è rimasto conquistato dal vinello in Tetrapak e Bag-in-Box troverà certo molto più facile scegliere di passare ai vini in bottiglia, senza dubbio più adatti alla cucina tradizionale, piuttosto che ai succhi di frutta, al tè, alle bevande gassate e ai cocktail. La qualità della vita ne guadagnerà senz’altro. Anche perché posso dare finalmente una buona notizia. Di recente sono stati lanciati sul mercato due vinelli in Tetrapak senza solfiti aggiunti. Due vinelli, un bianco e un rosso pensati per tutte le occasioni senza il rischio di incorrere nel noioso ”mal di testa” da eccesso di solfiti. I solfiti aggiunti, quelli che non sono naturalmente i residui della fermentazione, sono infatti utilizzati nel settore alimentare per le loro capacità conservanti e antiossidanti, ma se risultano presenti nel vino in concentrazioni superiori a 10 mg per litro, devono essere segnalati sulla confezione, in quanto rientrano tra le sostanze che possono provocare allergie, intolleranze, mal di testa. Cin Cin!
Rolando Marcodini
Ha smesso di giocare in cortile fra i cestelli dei bottiglioni di Barbera dello zio imbottigliatore all’ingrosso per arruolarsi fra i cavalieri di re Nebbiolo e offrire i suoi servigi alle tre principesse del Monte Rosa: Croatina, Vespolina e Uva Rara. Folgorato dal principe Cabernet sulla via dei cipressi che a Bolgheri alti e stretti van da San Guido in duplice filar, ha tentato l’arrocco con re Sangiovese, ma è stato sopraffatto dalle birre Baltic Porter e si è arreso alla vodka. Perito Capotecnico Industriale in giro per il mondo, non si direbbe un “signor no”, eppure lo è stato finché non l’hanno ficcato a forza in pensione da dove però si vendica scrivendo di vino in diverse lingue per dimenticare la bicicletta da corsa, forse l’unica vera passione della sua vita, ormai appesa al chiodo.