Vis à vis con Daniele Gagliotta

Vis à vis con Daniele Gagliotta

Vis à vis con Daniele Gagliotta

Dal carcere minorile di Nisida, a Napoli, alle luci scintillanti degli Stati Uniti: la storia di Daniele Gagliotta è un viaggio straordinario che racconta di riscatto, determinazione e passione.

A 31 anni, Daniele vive a Washington, dove gira il mondo come consulente della ristorazione, portando con sé il sapore autentico della pizza napoletana, rivisitata in chiave contemporanea e gourmet.

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Il suo percorso non è stato facile: cresciuto nel centro storico di Napoli, la sua infanzia è stata segnata da difficoltà che lo hanno condotto, a soli 15 anni, nel carcere minorile di Nisida.

Tuttavia, quello che poteva sembrare un punto di non ritorno si è trasformato nell’inizio di un viaggio di rinascita.

Grazie ai corsi di formazione seguiti in carcere, tra cui panificazione, pizza e teatro, e all’incontro con figure fondamentali come Errico Porzio, Daniele ha trovato la forza di cambiare la propria vita.

Da quelle esperienze è nato un pizzaiolo di talento, capace di coniugare la tradizione napoletana con l’innovazione culinaria, conquistando la fiducia di clienti e colleghi in tutto il mondo.

Oggi, Daniele non solo porta avanti il suo lavoro con successo, ma è anche un esempio di speranza e riscatto per tanti giovani che cercano una via d’uscita da situazioni difficili, dimostrando che con impegno e determinazione, anche i sogni più lontani possono diventare realtà.

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Come è nata la tua passione per la pizza?

“La mia passione è nata, diciamo, per un incontro casuale. Circa 14 anni fa, ero nel carcere minorile di Nisida e un giorno vennero a trovarci Geppi Marotta con l’associazione Scugnizzi, il presidente Giorgio Napolitano e il cardinale Sepe. Durante un evento di teatro, recitavo un pezzo di Raffaele Viviani. Dopo la recita, Geppi Marotta e Antonio Franco dell’associazione mi dissero: “Stiamo per organizzare un corso di pizzaiolo qui. Se ti impegni, possiamo cambiarti la vita”. All’inizio lo presi con ironia, ma poi mi resi conto che era una vera opportunità. Da lì, la mia vita è cambiata davvero”.

Hai iniziato quindi a lavorare come pizzaiolo grazie a questo corso?

“Sì, proprio così. Gli educatori mi facevano uscire per frequentare il corso a Pozzuoli, alla Multicenter School. Ricordo che ero diverso dagli altri ragazzi, perché arrivavo in manette accompagnato dalla polizia. Un giorno il mio maestro disse che avrebbe risposto lui per me e da quel momento frequentai i corsi senza manette. Poi, il maestro mi chiese di andare anche nella sua pizzeria per fare pratica. Ci andavo gratis, pur di imparare”.

Quando sei uscito, hai iniziato subito a lavorare?

“Sì, sono uscito grazie a un contratto con i Fratelli La Bufala, lo stesso Geppi Marotta. Ho iniziato a lavorare nella sede di via Medina a Napoli, poi ho partecipato a diverse aperture, come quella all’aeroporto di Napoli con il primo forno a legna in Europa, e da lì a Bari e in altre città”.

La pizza è stata quindi una sorta di ancora di salvezza?

“Sì, assolutamente. Mi ha dato una seconda possibilità e mi ha permesso di riscattarmi. Ho fatto molte esperienze, cucinando in 22 paesi e partecipando a 85 aperture. Adesso faccio consulenze e masterclass in tutto il mondo”.

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Come è stato vincere il campionato mondiale di Pizza Talk?

“È stato un sogno. Per me è stato come un premio alla mia vita e alle scelte che ho preso. Ho nascosto per anni di essere stato in carcere per vergogna, ma ora ne vado fiero. Ho pagato per i miei errori e ho deciso di dare un valore alla mia vita. Vincere nella mia terra è stata una conferma del mio percorso”.

 

Hai vissuto anche all’estero: com’è stata questa esperienza?

“Vivere all’estero è difficile per un italiano, soprattutto per il legame con la famiglia. Ma ho sempre pensato di dover recuperare quei tre anni persi in carcere. È stato bello rappresentare Napoli e la pizza nel mondo. Grazie ai fratelli Marra, ho avuto l’opportunità di lavorare negli Stati Uniti come brand ambassador, arrivando persino a cucinare al Super Bowl per Rihanna”.

C’è un ingrediente che non metteresti mai su una pizza?

“L’ananas (ride ndr)!”.

E cosa pensi delle pizze gourmet?

“È un’evoluzione interessante, ma a volte è solo una moda passeggera. Comunque, sono campione anche di pizza gourmet, quindi non mi tiro indietro!”

E com’è essere vincitore del campionato mondiale di pizza?

“Per me è un sogno, davvero. Guardavo i grandi pizzaioli e sognavo di seguire le loro orme, di fare del mio meglio per riscattare gli errori della mia infanzia. Ero un ragazzino che ha sbagliato e ho pagato le conseguenze: mi sono costituito, ho affrontato il carcere senza mai tradire nessuno. Quell’esperienza è stata dura, ma anche la mia salvezza. Mi ha fatto capire il valore della vita.

Io ho deciso di sfruttare l’opportunità della pizza per dare un senso alla mia vita. Non è stato facile uscire e mettersi a lavorare onestamente: sarebbe stato molto più semplice tornare in strada e prendere ciò che non mi apparteneva. Ma volevo dare dei valori alla mia esistenza, non solo un valore economico.

Ogni volta che tornavo nella mia cella il sabato, sentivo una profonda delusione. Piangevo vedendo mia madre, una donna che ha sacrificato anni della sua vita per venirmi a trovare in carcere, sopportando la vergogna e le file interminabili solo per vedermi un’ora. Non potevo più darle delusioni.

Quando ho vinto il campionato mondiale, lei ha pianto come mai prima. Mi ha detto: ‘Vincere o no, hai già dimostrato di essere cambiato, di essere bravo’. Quel titolo è stato la conferma della mia redenzione. Ho nascosto per anni il mio passato perché avevo vergogna, ma ero solo un ragazzino di 14 anni a Napoli, e a quell’età è facile cadere in tentazione. Ora, però, sono fiero del mio percorso e voglio essere un esempio per quei giovani che attraversano momenti di buio e sofferenza.

Alla fine, penso che essere napoletano sia una fortuna. La nostra città è una cultura a parte, un’identità forte. Le mie pizze, anche quelle gourmet, rispettano sempre la tradizione, con un tocco di innovazione. La pizza mi ha dato una nuova vita e oggi rappresentare Napoli e la sua tradizione nel mondo è un onore immenso.”

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Ricetta del cuore?

“Dice uno che è maniaco della freschezza. Io la graffa la faccio a mano, ogni volta, niente abbattimento, niente congelatore. È proprio una di quelle ricette che mi rappresentano, capito? Calda, soffice, appena fritta, spolverata di zucchero, e magari una puntina di cannella se mi gira bene.

Perché la graffa è come una promessa: deve essere fresca, fatta al momento. Non c’è niente che può competere con quella sensazione quando la mordi e ancora scotta, e lo zucchero ti si appiccica alle dita. Quella è la mia ricetta del cuore. E ogni volta che la preparo, torno un po’ bambino, a quando le mangiavo sulla spiaggia, con le mani sporche di sabbia e zucchero”.

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Autore

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    Anna Calì, classe ’96. Nelle sue vene scorre la lava del Vesuvio e la passione che contraddistingue il popolo napoletano. Giornalista di professione e con la passione dei libri sin da piccola. Adora annusarli e, quando va nelle librerie, si perde tra gli scaffali ad osservare le copertine. Grazie a questa passione è riuscita a mettere in campo due sogni nel cassetto: il primo, recensisce i libri che legge, esperienza che fa bene sia al corpo che alla mente. La seconda: è diventata anche scrittrice e ha pubblicato già due romanzi.

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