Vis à vis con Errico Porzio

Errico Porzio Maestro pizzaiolo discendente da una antica e storica famiglia di pizzaioli napoletani. Al forte legame con le sue origini ha coniugato lo studio e la ricerca per portare l’innovazione nel suo lavoro, proponendo il suo modo di fare la pizza. Errico ha portato una grande varietà negli impasti, sperimentando tecniche e metodi di lavoro totalmente personalizzati, e nei suoi topping, ricercando prodotti nella piccole aziende artigianali rivolgendo sempre grande attenzione all’assoluta qualità. Ma quello che rende davvero uniche le sue pizze è la creatività che Porzio ogni giorno mette nel suo lavoro. Il suo motto, infatti, è #SaddaSapèFà, ovvero abbinare il rispetto per la tradizione con la continua ricerca dell’innovazione. Errico Porzio ha creato un nuovo format della pizza napoletana, che deve essere sempre originale e fantasiosa.

Vis à vis con Errico Porzio

Errico Porzio è un maestro pizzaiolo che incarna l’essenza della tradizione napoletana, arricchita da un tocco di innovazione e creatività.

Discendente di una storica famiglia di pizzaioli napoletani, Porzio ha saputo trasformare il legame con le sue radici in un punto di partenza per una continua evoluzione del suo mestiere.

Con uno sguardo sempre rivolto alla qualità assoluta, Errico ha sperimentato tecniche innovative e personalizzate per gli impasti, introducendo una grande varietà nelle sue creazioni.

I suoi topping sono il frutto di una ricerca attenta e scrupolosa, che privilegia prodotti di piccole aziende artigianali.

Ciò che rende le pizze di Porzio uniche è la creatività che infonde quotidianamente nel suo lavoro.

Seguendo il motto #SaddaSapèFà, che esprime la perfetta sintesi tra il rispetto della tradizione e la spinta verso l’innovazione.

Errico Porzio ha così creato un nuovo format di pizza napoletana.

Originale e fantasiosa, che ha conquistato il palato di chiunque abbia avuto il piacere di assaporarla, dimostrando che la vera eccellenza nasce dall’incontro tra passato e futuro.

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Qual è stato il primo momento in cui ha messo le mani in pasta ed è entrato in contatto con la farina?

“Allora, molto presto, perché abbiamo avuto la fortuna di avere lo zio che è ancora un maestro pizzaiolo. Quindi iniziavo con lui, avevo circa 12-13 anni. E com’è stato? Si ricorda ancora l’emozione quando ha sentito prendere poi forma?

In effetti io frequentavo la pizzeria di mio zio perché mio padre lavorava pure con lui.

Nel periodo in cui non andavo a scuola, durante le festività natalizie ed estive, seguivo sempre mio padre perché ero affascinato.

Affascinato da questi movimenti, da questo lavoro che faceva mio zio dietro al banco.

In un primo momento fu una questione di ipnosi perché mi ipnotizzava vedere questo pizzaiolo che, dall’altro lato, faceva roteare e stendeva le pizze in modo così veloce, rapido, preciso. E quindi ho iniziato davvero piccolissimo. Poi… Una serata, uno dei fornai di mio zio non scese al lavoro e mi ritrovai vicino al forno. Avevo 13 anni, 13 anni e mezzo. Così ho iniziato la gavetta”.

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Qual è l’errore che più comunemente vede fare ai giovani pizzaioli?

“L’errore lampante è che, purtroppo, questi giovani pizzaioli non hanno pazienza. Vorrebbero bruciare subito le tappe o diventare l’Enrico Porzio del momento, senza capire che alle spalle ci sono anni di sacrificio, lavoro e rinunce.
Certo, io non auguro a nessuno di aspettare 20-25 anni per raccogliere i successi, però sicuramente ci vuole tanta pazienza e tanto sacrificio. Secondo lei, perché c’è questa differenza con la nuova generazione?
Perché oggi i social enfatizzano e mettono in evidenza il successo di un pizzaiolo, ma non i sacrifici che ci sono dietro.
Prima il fatto che uno potesse avere più di una pizzeria, partecipare a eventi o essere pluripremiato non era evidenziato dai social. Oggi, invece, il primo risultato visibile è il successo. Vogliono subito quello”.

Certo, oggi siamo anche abituati ad avere più tipologie di farine. Lei quale utilizza e può spiegarci le differenze?

“Io, pur essendo un tradizionalista nello stile di pizza, mi definisco un tradizionalista moderno. Nel nostro impasto, oltre alla classica farina 00, c’è anche una buona percentuale di tipo 1. Questa farina sprigiona più profumi e aromi sia durante l’impastamento che dopo la cottura. Aiuta anche ad assorbire una maggiore quantità d’acqua, perché oggi nella nostra pizza c’è più idratazione rispetto a 10-20 anni fa”.

Come bilancia tradizione e innovazione nel suo lavoro?

“Vengo da una famiglia di pizzaioli tradizionali, quindi seguo le regole della tradizione napoletana. Poi ho apportato delle leggere modifiche alle ricette tradizionali, non a quelle contemporanee.
La mia pizza resta su una cottura di 400-420 gradi. Le farine sono principalmente le stesse, con una piccola percentuale di farina integrale. Il cornicione è quello classico della pizza napoletana. Anche nei condimenti parto sempre dalla tradizione. Per esempio, se faccio una pizza con pomodoro, mozzarella, formaggio e basilico, posso proporre una versione rivisitata con consistenze diverse, ma gli ingredienti rimangono quelli classici”.

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Qual è stata l’esperienza più formativa della sua carriera?

“Sicuramente il mio primo lavoro lontano dalla mia città e dalla mia famiglia. A 18 anni decisi di andare a lavorare fuori regione. Lì ho davvero capito cosa significasse fare questo lavoro e ho acquisito la consapevolezza che, nonostante fossi lontano dagli affetti, quel lavoro non mi pesava. Quell’esperienza ha delineato la mia carriera professionale”.

Come è ricaduta poi la scelta di puntare anche su Cosenza? E perché?

“Non ho scelto io Cosenza, sono stati i cosentini a scegliere me. Il locale sul lungomare è turistico e, quando chiedevo ai clienti di dove fossero, molti mi rispondevano: “Siamo di Cosenza”. Da lì la decisione di aprire anche a Cosenza”.

Com’è l’emozione di vincere dei premi e perché è importante in questo settore?

“Non sono uno che corre dietro ai premi. Preferisco l’apprezzamento delle persone: una recensione positiva o una pacca sulla spalla di un cliente valgono più di qualsiasi premio. Questo non per sminuire il lavoro delle guide o dei giornalisti, ma perché alla fine sono i clienti che ti fanno andare avanti.
Detto questo, ricevere riconoscimenti, anche internazionali, mi rende fiero perché significa che il lavoro di questi anni è stato apprezzato”.

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Un paio di mesi fa l’abbiamo vista all’opera, nel libro di Luciana Esposito con la prefazione dedicata a Francesco Pio Maimone. Francesco Pio voleva diventare pizzaiolo. Ha mai pensato di dedicargli una pizza?

“Conosco bene la situazione di Francesco Pio, essendo dello stesso quartiere. Dopo la sua morte, sono stato a casa dei genitori per offrire il mio supporto.
Non ho dedicato una pizza a Francesco Pio perché qualcuno avrebbe potuto pensare a un’operazione pubblicitaria. Invece, ho pensato di aprire un’accademia di pizzaioli dedicata a lui, per i ragazzi del nostro quartiere”.

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Se non fosse diventato pizzaiolo, quale professione avrebbe scelto?

“Da bambino amavo giocare a pallone, come tanti altri. Quindi, molto probabilmente avrei scelto di diventare un calciatore”

Qual è la sua pizza del cuore e perché?

“La mia pizza del cuore è una marinara con pomodorini e olive nere a forma di cuore. Era la pizza preferita di Andrea, che è scomparso due anni fa. Dopo la sua assenza, quella che era la sua pizza è diventata anche la mia. È un modo per mantenere vivo un legame indissolubile con lui”.

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Autore

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    Anna Calì, classe ’96. Nelle sue vene scorre la lava del Vesuvio e la passione che contraddistingue il popolo napoletano. Giornalista di professione e con la passione dei libri sin da piccola. Adora annusarli e, quando va nelle librerie, si perde tra gli scaffali ad osservare le copertine. Grazie a questa passione è riuscita a mettere in campo due sogni nel cassetto: il primo, recensisce i libri che legge, esperienza che fa bene sia al corpo che alla mente. La seconda: è diventata anche scrittrice e ha pubblicato già due romanzi.

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