Wojciech Bosak ci descrive la nuova leva dei vini rossi austriaci
- Rolando Marcodini
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Vi ho già presentato Wojciech Bosak presentandovi alcuni suoi articoli, ma l’avevo conosciuto vent’anni fa proprio in occasione della sua interessante presentazione dei vini austriaci che avevamo organizzato con Collegium Vini presso il Centro Culturale Austriaco di Varsavia su invito del suo direttore Andreas Stadler.
Durante il ritorno verso Cracovia gli abbiamo offerto un passaggio in automobile e così abbiamo chiacchierato per tutto il viaggio, in piena notte, con la neve alta mezzo metro. Ricordo ancora quell’atmosfera da favola di Natale perché lo abbiamo accompagnato all’interno dell’Ojcowski Park Narodowy fino al grazioso chalet dove abitava come impiegato, proprio là dove le falesie di roccia bianca che spuntano dalle millenarie pinete sono illuminate di notte tutto l’anno, per quanto sono belle.
La sua passione ha delle ben radicate tradizioni contadine, ha lavorato in una vigna in Francia, sa fare il vino, studia accanitamente ed è un uomo simpatico, alla mano, anche quando in televisione gli affibbiano la targa di esperto, un cartellone ben più alto di lui ma che non riesce comunque a nasconderlo. Sulla rinascita dei vini rossi austriaci, non c’è niente di meglio, quindi, del suo parere.
Il traduttore: Rolando Marcodini
Un viaggio a Horitschon
Una quarantina di anni fa, per ogni bottiglia di vino rosso prodotto in Austria se ne producevano dodici di vino bianco. Oggi la proporzione è cambiata e per due bottiglie di vino rosso se ne producono tre di vino bianco. Ultimamente, molti tra i produttori austriaci di maggior spicco hanno concentrato gli sforzi e le ambizioni sui tini e sulle botti dal contenuto purpureo.
Alla fine del secolo scorso sono stato ospite di un amico di Vienna che aveva una ricca cantina e, al momento di scegliere il vino per quella lunga serata invernale, avrei optato personalmente per un vino rosso. I padroni di casa non erano riusciti a nascondere un leggero, evidente, imbarazzo. «Forse un Valtellina…» stava per offrirmi la padrona di casa. Ma il patriottico marito l’aveva immediatamente ammutolita con uno sguardo fulminante e aveva afferrato rapidamente una bottiglia di doratissimo Gumpoldskirchner. «Se lo desideri, domani andiamo a Horitschon, dove parlano con un accento ridicolo, ma dove c’è un bravo ragazzo con dei buoni vinelli rossi». In questa maniera il mio anfitrione voleva sicuramente scusarsi un po’ per quel suo imperioso comportamento, ma la sua ultima parola ”vinelli” (“weinchen”) esprimeva esplicitamente un certo disdegno nei confronti dell’oggetto della prospettata degustazione in trasferta.
Da allora, però, è cambiato veramente tutto.
I vini rossi dei ”bravi ragazzi” della sonnolenta Horitschon, allo stesso modo di quelli di Deutschkreutz, Großhöflein, Rust, Gols, Frauenkirchen e di altri paesi e cittadine del Burgenland, sono diventati il vanto di molte collezioni e non soltanto degli snob di Vienna. La rivoluzione è cominciata proprio negli anni ’90 nei pressi del lago Neusiedler See, in uno dei posticini più dinamici della vitivinicoltura austriaca. I vini di Anton Kollwentz e di Ernst Triebaumer hanno dimostrato che in Austria si possono produrre dei vini rossi di livello mondiale. In breve si sono uniti a loro anche Pepi Umathum, Gernot Heinrich, Juris Stiegelmar, Kurt Failer e qualcun altro ancora. I vitivinicoltori di quella generazione sono considerati già adesso in Austria quasi come dei decani, proprio come il buon vecchio Mondavi in California.
Ultimamente, anzi, qualcuno ha definito le loro realizzazioni come ”storiche”, nonostante che le loro prime annate riuscite non abbiano ancora superato l’età del ginnasio. Ma i cambiamenti avvengono in modo così rapido e pazzesco che quello che avveniva soltanto qualche anno fa oggi sembra appartenere al passato remoto. Adesso tutti guardano al Burgenland centrale e meridionale, dove non mancano né dei vecchi ceppi di blaufränkisch né delle nuove idee enologiche. L’ultima moda imporrebbe di abbandonare le produzioni monovitigno in favore delle cuvées. Dei nuovi tagli di vini provvisti di nomi di fantasia o griffati dalle firme più celebri stanno spuntando come i funghi dopo la pioggia. Cito soltanto i più rinomati dei cosiddetti “superburgenland” delle ultime stagioni: Gabarinza (G. Heinrich), Terra O. (J. Heinrich), Kentaur (Wallner), Apollo (Hohstädter) e Opus Eximium (Gesellmann).
Spesso s’incontrano dei vini che non sono più ”del vignaiolo”, ma che sbalordiscono per l’impeto e l’efficienza del marketing dei loro progetti, fatti in stile oltreoceanico.
Così è nato per esempio il vino Zantho firmato da Peck e Umathum. O quello derivato dal titolato Horitschon cuvée Arachon (l’antico nome storico della cittadina), un’iniziativa in comune tra Pichler, Tement e Szemes; se ne vendono più di centomila bottiglie l’anno. I produttori del Burgenland sono aperti alle nuove idee esattamente come i loro colleghi d’Australia e di California. Oggi piantano syrah e nebbiolo, ma pensano già alle imprese successive e al ”lifting” dello stile del vino. Come sarà il domani? È davvero difficile dirlo poiché la realtà spesso supera la fantasia. La rivoluzione non ha tralasciato neanche le regioni più conservatrici dell’Austria più tipica, benché queste terre in confronto col Burgenland avessero un’insignificante tradizione di produzione di vini rossi.
Gli innumerevoli (una volta…) pionieri del nuovo stile dei vini rossi della Bassa Austria, come Johannes Rheinisch, Willi Bründlmayer, Gerhard Markowitsch e i monaci di Klosterneuburg oggi sentono sulla nuca il fiato di una schiera sempre maggiore di imitatori. Gustav Krug nella Thermenregion, Franz Taferner e Gerhard Seidl a Carnutum, i fratelli Kolkmann e Franz Leth nel Donauland già oggi stanno producendo degli ottimi vini. E cercano continuamente qualcos’altro. Accanto ai tradizionali zweigelt e st. Laurent piantano cabernet e pinot noir, sperimentano nuovi sistemi di coltivazione e di vinificazione, usano botti di legno di rovere francese, americano e austriaco. E sono stati contagiati dall’idea della cuvée: attualmente, Die Versuchung di Krug, Excalibur di Taferner e Rot Chorus degli agostiniani di Stift Klosterneuburg sono davvero i migliori vini della regione.
Dopo gli stupefacenti successi internazionali dei vini bianchi, adesso i vini rossi pretendono il ruolo principale di forza d’urto dell’enologia austriaca.
Questa rivoluzione non si può però confrontare con la precedente; in Austria sono sempre nati dei grandi vini bianchi e dolci, un tempo confinati all’ombra dai vinacci economici che venivano prodotti in modo massiccio. Quello che è avvenuto in questo campo dalla metà degli anni ’80 del secolo scorso(enormi investimenti, nuove tecnologie e incredibili salti di qualità) è la migliore continuazione di una tradizione secolare.
Tutti sono andati già molto più in là, ma in generale non hanno capovolto sottosopra la personalità di questi vini, anche se, naturalmente, in Austria si sono affacciate le ”nuove mode”, cioè chardonnay, fermentazione a freddo e botti nuove, ma che non appaiono però come dei fenomeni di vasta scala. Cose ugualmente simili (perfino peggiori!) sono avvenute anche in passato e nonostante questo i grandi gioielli e gli astri nascenti dell’enologia hanno mantenuto il proprio stile per tutte le generazioni e sono rimasti tra quelli migliori al mondo nella propria tipologia. Ancora non molto tempo fa i Blaufränkisch etnografici dalle vecchie botti, degustati nelle cantine casalinghe di qualche ”bravo ragazzo” in qualche posto come Horitschon non erano affatto la peggiore personificazione del vino rosso austriaco.
Erano l’alternativa ai Portuguiser e agli Zweigelt prodotti industrialmente, deboli e dolciastri vinelli del livello più basso degli scaffali dei supermercati. Ognuna delle più ambiziose prove intraprese in questo campo non andava oltre la scala degli esperimenti individuali. A quei tempi chi ha mai sentito parlare dei vitigni blaufränkisch, zweigelt o st. Laurent? Per il resto del mondo i nomi di questi vitigni risuonavano ugualmente esotici come garrut o sara-pandas. Invece oggi sono praticamente dei classici nominati in ogni lessico popolare e sono piantati anche in America.
Nell’ambito della produzione dei vini rossi, quindi, oggi l’Austria è una riccona per eccellenza.
A quale livello, dunque, possiamo parlare dello stile di questi vini? Sono possibili dei riferimenti alla tradizione, che invece era contraria proprio a ciò che vogliono adesso quegli ambiziosi vignaioli? Basteranno soltanto i vitigni autoctoni e questi terreni affinché i vini rossi austriaci si differenzino dalla massa di vini che nascono nel nostro mondo? Per avere delle risposte dobbiamo ancora aspettare sicuramente qualche anno. Per ora regna un fermento creativo e possiamo parlare semmai dello stile dei singoli produttori o dei singoli vini, piuttosto che di tendenze generali. Tra i vini rossi austriaci degni di maggiore attenzione troviamo oggi gli incantesimi del tradizionale burgund, il pinot nero, esattamente come nel Nuovo Mondo. Quello che li unisce è innanzitutto una sempre più simile tecnologia di perfezionamento. L’esperienza insegna, però, che in qualsiasi campo, prima o poi, il virtuosismo riesce sempre a sviluppare il tema della propria estetica.
Wojciech Bosak
Ha smesso di giocare in cortile fra i cestelli dei bottiglioni di Barbera dello zio imbottigliatore all’ingrosso per arruolarsi fra i cavalieri di re Nebbiolo e offrire i suoi servigi alle tre principesse del Monte Rosa: Croatina, Vespolina e Uva Rara. Folgorato dal principe Cabernet sulla via dei cipressi che a Bolgheri alti e stretti van da San Guido in duplice filar, ha tentato l’arrocco con re Sangiovese, ma è stato sopraffatto dalle birre Baltic Porter e si è arreso alla vodka. Perito Capotecnico Industriale in giro per il mondo, non si direbbe un “signor no”, eppure lo è stato finché non l’hanno ficcato a forza in pensione da dove però si vendica scrivendo di vino in diverse lingue per dimenticare la bicicletta da corsa, forse l’unica vera passione della sua vita, ormai appesa al chiodo.