Zolletta? No, grazie…
- Rolando Marcodini
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Dal vino analcolico a quello annacquato, dal finto rosato al vino con l’aggiunta di zucchero in polvere.
Queste sono soltanto alcune delle pratiche enologiche che si stanno diffondendo nel mondo e che sono in parte autorizzate anche in Europa. La Coldiretti le ha tutte denunciate con la mostra “Non chiamatelo vino” al Vinitaly di Verona dell’anno scorso. In questo modo viene permesso ancora di chiamare vino un prodotto in cui sono state del tutto compromesse le caratteristiche di naturalità per effetto di trattamenti manipolativi e invasivi nel processo di trasformazione dell’uva in mosto e quindi in vino. Una tendenza che molto spesso coincide con vere e proprie pratiche di contraffazione e che deriva dalla diffusione della produzione vitivinicola a territori che non sono vocati e che non hanno una cultura e una tradizione enologica.
Che il vino sia fatto soltanto di uva dev’essere diventato evidentemente una pretesa assurda.
La Comunità Europea ha sempre autorizzato per esempio l’aggiunta di zucchero (parliamo di saccarosio, quello derivato dalla barbabietola) ai mosti senza dichiararlo in etichetta in tutte le regioni vinicole del nord e dell’est dove il tenore alcoolico del mosto non riesce da solo a raggiungere i minimi previsti. Cosa che invece è espressamente vietata nelle regioni calde, come quelle di Spagna, Grecia, Portogallo, del sud della Francia e dell’Italia, per via delle gradazioni alcooliche che sono normalmente più elevate e i vini non richiedono proprio correzione alcuna. In queste regioni al massimo si autorizza piuttosto l’aggiunta di MCR, il mosto concentrato rettificato ottenuto dall’uva, ma solo nelle annate sfavorevoli e soltanto in quelle provincie veramente penalizzate. Ne siamo proprio sicuri?
Scorrendo ogni tanto le news on line dell’AGI Agenzia Italia, ci si può imbattere ancora in notizie come quelle in cui si parla di sequestri di centinaia di ettolitri di vino, decine di tonnellate di uva, di sacchi di zucchero e di acido tartarico destinati a produrre vino di frodo. Ma è sempre soltanto l’ultima di una lunga serie di queste notizie che puntualmente compaiono a ricordarci che dovremmo ringraziare la Guardia di Finanza e i NAS dei Carabinieri.
E poi ricordo ancora, come se fosse ieri, un commento di Angelo Gaja sulla vendemmia del 2007 in cui evidenziava una sua legittima preoccupazione:
“È da presumere che il mosto concentrato rettificato, comunque prodotto, sia rimasto in larga parte invenduto o inutilizzato nelle cantine per lo scopo al quale era destinato. Poiché è un prodotto di difficile conservazione, che fine farà il MCR prodotto quest’anno? Quanto se n’è prodotto? A quanto ammonta complessivamente il contributo versato dalla Stato in favore della sua produzione? Occorrono un Grillo o un Gian Antonio Stella a richiamare l’attenzione sull’utilizzo che si fa del denaro pubblico, e a chiedere un rendiconto? C’è il pericolo che il MCR di quest’anno, non utilizzato, venga destinato a usi impropri?”.
Insomma, tanto per non cambiare, siamo sempre nella nebbia per quanto concerne le normative, a tutto danno dell’ignaro consumatore che non sa più cosa c’è nel suo vino.
A proporre maggiore chiarezza ci ha provato qualche anno fa la signora Mariann Fischer Boël, quand’era Commissario Europeo, con una proposta di riforma dell’organizzazione comune di mercato del vino, una moderna OCM del vino in cui tra l’altro assumerebbe un valore rilevante la qualità delle produzioni attraverso l’etichettatura, l’indicazione della zona d’origine, il divieto di zuccheraggio e il divieto di utilizzare mosti di provenienza extraeuropea.
Vietando lo zuccheraggio in tutta Europa diminuirebbe certamente ipso facto la produzione di vino che attualmente è in abbondante eccesso e ciò vuol dire spese per lo stockaggio e le distillazioni agevolate.
C’è chi parla di una riduzione percentuale notevole, circa il 15%, che riequilibrerebbe il mercato. Inoltre vi sarebbero ulteriori altri vantaggi. Le regioni meridionali, invece di trasformare tutti i mosti in vini, potrebbero produrre normalmente anche mosti concentrati rettificati per aumentare il tenore alcoolico di altri mosti che altrove, per cause climatiche, non raggiungono il minimo. Di conseguenza si ridurrà anche la produzione eccedente di vini da tavola in quelle regioni meridionali dove s’imbottiglia di tutto e di più e si ricorrerà in misura minore alle distillazioni agevolate e alle estirpazioni dei vigneti.
Non mi azzarderei però a prevedere anche una benvenuta riduzione dei costi di produzione e dei prezzi di mercato, anche se in cuor mio plaudo senz’altro alle speranze di chi lo ha fatto, per esempio Romano Satolli del Giornale del Consumatore in un pezzo riportato dal sito di Teatro Naturale che definisce lo zuccheraggio del vino senza tanti mezzi termini come una grande truffa.
Anzi, se dovessi azzardare un pronostico, penso che data l’opposizione di quasi tutti i Paesi comunitari, ognuno dei quali ha pensato esclusivamente in termini di interessi di cortile, la proposta di quella signora Commissario Europeo sarà talmente stravolta dai compromessi che anche chi lo zuccheraggio non l’avrebbe voluto potrebbe firmare tutto il contrario. Valga per tutti la linea negoziale di allora del nostro ministro che avrebbe dichiarato di poter allentare la posizione dura sullo zuccheraggio di altri Paesi europei soltanto se fossero stati parallelamente previsti degli aiuti comunitari all’uso dei mosti concentrati”. Abbiamo capito benissimo: fatti fummo per essere fottuti…
Ma allora, visto che se ne sono ormai sbattuti altamente di approfittare dell’occasione per eliminare lo zuccheraggio del vino, che almeno l’uso di questa pratica venga dichiarato in etichetta come si fa ormai anche per i solfiti.
Il consumatore ha diritto di sapere cosa beve, o no?
Ho assaggiato molti vini austriaci e tedeschi con gradazioni del tutto naturali e devo dire che indipendentemente dal tenore alcolico, quando sono fatti bene sono veramente gustosi, buoni, floreali, fa piacere berli. E ne ho assaggiati anche di addizionati in vinificazione con il saccarosio. Posso dire che quelle correzioni servivano soltanto per poterne autorizzare la vendita, ma non è che ne abbiano migliorato la qualità. Perciò rimango del parere che nelle annate sfavorevoli, se il vino non raggiunge quel minimo che si è stabilito come giusto, allora è meglio destinarne l’uva, o i mosti, a qualcos’altro. Con il riscaldamento globale in aumento del pianeta non c’è proprio bisogno di bere un vino corretto con la stessa zolletta di zucchero che usiamo per il tè o il caffè.
E poi, diciamocelo francamente, che ci si decida finalmente a mantenere in vita solo quei vigneti dove si sa che il tenore alcolico lo si raggiunge comunque, estirpando gli altri, dove si potrebbe magari coltivare la rosa canina o insediare un impianto di elicicoltura, visto che non di solo vino vive l’uomo…
Ha smesso di giocare in cortile fra i cestelli dei bottiglioni di Barbera dello zio imbottigliatore all’ingrosso per arruolarsi fra i cavalieri di re Nebbiolo e offrire i suoi servigi alle tre principesse del Monte Rosa: Croatina, Vespolina e Uva Rara. Folgorato dal principe Cabernet sulla via dei cipressi che a Bolgheri alti e stretti van da San Guido in duplice filar, ha tentato l’arrocco con re Sangiovese, ma è stato sopraffatto dalle birre Baltic Porter e si è arreso alla vodka. Perito Capotecnico Industriale in giro per il mondo, non si direbbe un “signor no”, eppure lo è stato finché non l’hanno ficcato a forza in pensione da dove però si vendica scrivendo di vino in diverse lingue per dimenticare la bicicletta da corsa, forse l’unica vera passione della sua vita, ormai appesa al chiodo.